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Cassazione civile sez. I, 07/06/2023, n. 16041

Massima

Nel giudizio di legittimità (Cassazione), l’inammissibilità o improcedibilità del ricorso o controricorso per mancato deposito della procura ad litem si verifica, ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 3, c.p.c., quando quest’ultima sia stata conferita con atto separato e non depositata contestualmente all’atto processuale. Non è invece richiesta, a pena di inammissibilità o improcedibilità, la contestuale produzione delle procure o dei poteri di rappresentanza interni all’ente che hanno autorizzato il soggetto firmatario a rilasciare la procura ad litem, potendo tali documenti essere depositati anche successivamente ai sensi dell’art. 372 c.p.c.

Supporto alla lettura

PROCURA ALLE LITI

Il difensore è colui che compare innanzi al giudice e compie gli atti del processo in nome della parte. Ciò in virtù di un atto che gli attribuisce tale potere: la procura, che è un semplice conferimento di poteri.

La procura alle liti può essere di due tipi:

– generale: quando la parte conferisce all’avvocato il potere di difenderla in tutti i processi che andrà a proporre e che saranno contro di essa proposti;

– speciale: quando la parte conferisce all’avvocato il potere di difenderla solo in un determinato giudizio.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Emerge dalla sentenza impugnata che (omissis) propose opposizione contro il decreto ingiuntivo per la somma di Euro 18.922.677,81, che gli era stato notificato dalla Spa UGF Banca (già Spa Unipol Banca) quale saldo negativo del conto corrente sul quale erano state regolate le operazioni in derivati compiute dalla banca per conto del cliente in esecuzione dei contratti quadro conclusi fra le parti; a fondamento dell’opposizione l’investitore addusse una serie di contestazioni in ordine allo svolgimento delle operazioni in strumenti finanziari da cui era scaturita l’esposizione debitoria.

Il Tribunale di Ravenna rigettò l’opposizione al decreto, senza, peraltro, pronunciarsi sulla reconventio reconventionis proposta dalla banca per ottenere il pagamento dell’ulteriore somma di Euro 2.319.222,19, che vantava a seguito della risoluzione del rapporto di conto corrente relativo all’apertura di credito ipotecaria concessa a (omissis) proprio per consentirgli di operare nei derivati in discussione.

La corte d’appello di Bologna ha rigettato sia l’appello principale, sia quello incidentale, che (omissis) e la banca avevano proposto per i profili di rispettiva soccombenza.

A fondamento della decisione il giudice d’appello ha considerato, quanto all’appello principale, che correttamente il tribunale non aveva disposto, perchè di carattere esplorativo, la consulenza tecnica richiesta, la necessità della quale scaturiva, nella prospettazione dell’appellante, da documenti per lo più tardivamente allegati e comunque contestati dalla banca; e altrettanto correttamente non aveva ammesso i capitoli di prova indicati in comparsa conclusionale a conferma dei documenti tardivamente prodotti, nonchè le prove per testi in precedenza dedotte, che vertevano a suo avviso su circostanze generiche e valutative. La corte d’appello ha proseguito esponendo che (omissis) aveva reso nel 2004 la dichiarazione prevista dall’art. 31 del regolamento Consob n. 11522/98, ma che nel 2002, all’atto della sottoscrizione del primo contratto quadro, comunque aveva dichiarato di possedere una specifica competenza e informazione sulla natura e sui rischi delle operazioni del tipo previsto dall’accordo; egli inoltre aveva sottoscritto nel 2007 e nel 2008 dichiarazioni contenenti, ad avviso della corte, il riconoscimento dei debiti maturati ivi indicati, posto che, ha chiosato il giudice d’appello, prendere atto di un documento, senza contestarlo, equivale a riconoscerlo. A ulteriore riprova della consapevolezza dell’andamento negativo del rapporto, d’altronde, ha aggiunto la corte, v’è la circostanza che (omissis) risulta aver dismesso nel 2008 il proprio patrimonio immobiliare.

Il giudice d’appello, inoltre, quanto alla dichiarazione sottoscritta nel 2004 ex art. 31 del regolamento Consob n. 11522/98, ha riconosciuto a (omissis) la qualità di operatore qualificato da quella norma contemplata, in quanto, oltre a esercitare l’impresa individuale, egli risultava, in base a documentazione tratta dall’archivio ufficiale della CCIAA, socio amministratore dal 1997 della s.n.c. (omissis), amministratore unico dal 1998 della Srl (omissis) e amministratore unico della Srl (omissis) Immobiliare dal 2000; e l’impresa individuale, da informazioni reperite sul sito internet (omissis), risultava inserita nel gruppo (omissis) costituito da quattro aziende con novanta dipendenti, presente in Italia e in numerosi paesi Europei ed extraEuropei. La corte ha poi ritenuto non contestata la qualità di cliente professionale in base alla cd. direttiva Mifid.

Queste considerazioni, ha specificato il giudice d’appello, non consentono di qualificare (omissis) come consumatore, anche perchè egli ha continuativamente per anni negoziato con la banca sofisticati strumenti finanziari per somme ingenti riconoscendosi debitore per importi assai elevati e, d’altronde, l’impresa individuale s’identifica con chi la esercita. Sicchè ha ritenuto correttamente individuata la competenza per territorio.

Dunque, facendo leva sulla qualità di operatore qualificato dell’investitore, sulla lunga durata dei suoi rapporti con la banca e sui suddetti riconoscimenti di debito, nonchè sulla genericità delle contestazioni della documentazione contabile esibita dalla banca, la corte d’appello ha ritenuto provata l’esposizione debitoria scaturente dalle operazioni in derivati compiuta e regolata sul rapporto di conto corrente posto a fondamento della domanda monitoria, per effetto dell’inconcludenza delle contestazioni mosse dall’investitore sull’operato della banca quale intermediario finanziario. E, sempre valorizzando la qualità di operatore qualificato, ha escluso altresì l’operatività degli artt. 27, 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522/98, aggiungendo, peraltro, che i DVD prodotti dalla banca comunque riportavano la registrazione di lunghe telefonate tra (omissis) e i funzionari Unipol, dalle quali emergeva che egli fosse informato e al corrente dell’andamento del rapporto anche in relazione al mark to market; consapevolezza riscontrata altresì dalla produzione in atti di copia della lettera raccomandata datata 29.8.2007 con la quale la banca informava (omissis) delle perdite subite.

Quanto all’appello incidentale, la corte d’appello ha ritenuto non sufficientemente provata la domanda della banca, che non avrebbe adeguatamente documentato il saldo contabile negativo di Euro 2.319.222,19.

Contro questa sentenza propone ricorso (omissis) in proprio e nella qualità di esercente l’omonima impresa individuale, per ottenerne la cassazione, che affida a sette motivi e illustra con memoria, cui la UnipolRec, sorta a seguito di scissione parziale proporzionale di Unipol Banca, replica con controricorso e ricorso incidentale tempestivo articolato in quattro motivi, pure corredati di memoria, contrastati da (omissis) con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Va preliminarmente respinta l’eccezione d’inammissibilità del controricorso della banca proposta in memoria dal ricorrente.

E ciò perchè la giurisprudenza addottavi a sostegno, concernente l’inammissibilità, nel giudizio di legittimità, dell’intervento del successore a titolo particolare nel diritto controverso, si riferisce all’ipotesi in cui vi sia stata nel giudizio la costituzione del dante causa, che, invece, nel caso in esame manca (Cass. nn. 25423/19 e 6774/22; in termini, da ultimo, Cass. n. 31403/22).

1.1.- Infondata è anche l’eccezione d’inammissibilità del controricorso, sempre proposta in memoria, e basata sulla circostanza che le due procure prodotte dalla banca, conferite per atto notarile una dal legale rappresentante della banca in favore del direttore generale e l’altra da quest’ultimo in favore del dirigente autore della procura ad litem, non sono state allegate al controricorso, ma depositate soltanto nel novembre 2021 ai sensi dell’art. 372 c.p.c.. Questa Corte ha difatti chiarito che il deposito della procura di cui all’art. 77 c.p.c., non è necessario che avvenga unitamente al ricorso, ma ben può essere eseguito successivamente, ai sensi appunto dell’art. 372 c.p.c., rilevando esso ai fini dell’ammissibilità del ricorso (o del controricorso), mentre la necessità del deposito contestuale al ricorso (o controricorso) si pone esclusivamente per la procura ad litem, qualora sia conferita con atto separato, a pena di improcedibilità ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 (cfr. Cass. 6066/23 e ivi ulteriori riferimenti giurisprudenziali).

Infondata è poi l’eccezione di nullità e genericità delle due procure, di cui si è detto, formulata dal ricorrente principale sul rilievo, non meglio precisato, della loro “indeterminatezza non essendo specificate a quali partite creditorie o supposte tali, siano riferite” e non essendovi “alcun riferimento alla posizione (omissis)”.

Invero la procura rilasciata il 22 febbraio 2018 dal legale rappresentante della banca in favore del Dott. (omissis), direttore generale, non è indeterminata, bensì ampia, come si confà appunto a un direttore generale, e contempla espressamente il potere di “23. Attribuire e revocare poteri di rappresentanza sociale, sia a dipendenti della Società che a terzi…”. La procura rilasciata il 2 marzo successivo dal direttore generale in favore della Dott.ssa (omissis) (nonchè, disgiuntamente, di altri soggetti), autrice della procura ad litem per il controricorso, contempla poi il potere di “1. Rappresentare la Società davanti a qualsiasi organo giurisdizionale e arbitrale… in qualunque procedimento, stato, grado e sede, con attribuzione di tutti i poteri sostanziali, compresi quelli di conciliare, transigere, rendere interrogatori formali e rilasciare dichiarazioni di terzo, con facoltà di nominare avvocati e consulenti tecnici, liquidandone i compensi, nonchè di eleggere domicilio”. Un espresso riferimento alla posizione del (omissis) in tali procure non è affatto necessario, essendo sufficiente, invece, che tale posizione sia chiaramente in esse compresa.

1.2.- Generica è poi l’eccezione concernente la pretesa omessa dimostrazione della titolarità in capo alla banca controricorrente del rapporto controverso, che non si misura con l’atto di scissione allegato al controricorso, dal quale emerge che il compendio acquisito da UnipolRec comprende anche l'”intero portafoglio di crediti in sofferenza alla data di approvazione, da parte della scissa, della situazione patrimoniale della stessa al 30.6.2017″, e, in particolare, i “contenziosi e rapporti processuali attivi e passivi…relativi o comunque attinenti alle sofferenze comprese nel compendio medesimo”.

2.- Col primo motivo del ricorso principale (omissis) lamenta la violazione e falsa applicazione della combinazione degli artt. 342345 c.p.c., art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., art. 29 del regolamento Consob n. 15222/98, nonchè l’omessa e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, perchè la corte d’appello:

a) ha convenuto col tribunale circa l’irrilevanza e la tardività dei documenti esibiti, sebbene fossero in parte già inseriti nei fascicoli processuali e in parte acquisiti solo in prossimità del termine di deposito;

b) non ha ammesso la prova testimoniale, nonostante la specificità di alcuni capitoli volti a dimostrare l’illiceità della condotta dei funzionari Unipol;

c) ha qualificato come ricognizioni di debito atti con i quali il ricorrente si era limitato a prendere atto del contenuto dei documenti, comunque contestandoli e disconoscendone le firme.

Il motivo, di là dai profili d’inammissibilità sollevati in controricorso per la commistione di diverse censure e per l’applicabilità della ragione d’inammissibilità dovuta alla cd. doppia conforme, quanto all’aspetto concernente la motivazione, è comunque inammissibile in relazione a tutti i punti in cui è articolato:

– quanto a quello sub a), nella ricostruzione dei motivi di gravame che si legge in sentenza (al fondo di pag. 5), i documenti in questione erano funzionali all’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio volta ad accertare le gravi anomalie della condotta della banca nei confronti della clientela e, in questo contesto, quante e quali operazioni fossero state eseguite da (omissis) per il tramite di quella banca e con quali modalità.

Con la censura ci si limita ad affermare che parte dei documenti era già stata depositata, senza illustrarne compiutamente contenuto e rilievo (a pag. 7 del ricorso v’è un elenco dei documenti prodotti con l’opposizione e non tutti sono allegati al ricorso), e che altra parte era stata acquisita in prossimità del deposito, senza specificare quali fossero e quando fossero stati acquisiti. La giurisprudenza di questa Corte ha, di contro, chiarito che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), è compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, come interpretato alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, qualora, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, di modo è da ritenere rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, e il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (Cass., sez. un., n. 8950/22n. 12481/22).

Ciò che più rileva, tuttavia, è che la censura non adduce elementi utili a incrinare la qualificazione del carattere meramente esplorativo della consulenza tecnica d’ufficio allo svolgimento della quale i documenti erano volti, che anzi, finisce col confermare, come emerge anche dalla memoria illustrativa, in cui si legge, a pag. 7, che “con la CTU si sarebbero ricostruiti i veri rapporti…”.

Al riguardo, proprio la giurisprudenza delle sezioni unite che il ricorrente cita in memoria ha ribadito che non si può disporre la consulenza tecnica al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, mediante un’indagine alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non debitamente provati e magari neanche allegati; il divieto discende dal principio dispositivo e da quello della domanda (Cass., sez. un., n. 6500/22, punto 15);

– in relazione al profilo sub b), generica è la critica concernente la mancata ammissione dei capitoli di prova, di cui solo assertivamente e soltanto in relazione a uno dei capitoli si allega il carattere specifico, in considerazione del dichiarato fine, effettivamente generico ed esplorativo, di dimostrare un non altrimenti individuato comportamento illecito dei funzionari Unipol;

– in ordine al profilo sub c), relativo alla contestazione concernente la qualificazione delle scritture come riconoscimenti di debito, per un verso, si tratta di una proposta di lettura dei documenti contrastante col motivato apprezzamento del giudice di merito e, in quanto tale, sottratto al sindacato di legittimità; per altro verso, ci si limita ad affermare che (omissis) contestò con l’atto di opposizione e disconobbe la propria firma apposta sui documenti in questione, senza contrastare adeguatamente, dunque, anche mediante riproduzione per stralcio dell’opposizione, la statuizione della sentenza d’appello che “…trattandosi di scritture prodotte da UGF Banca in allegato al ricorso monitorio il (omissis) avrebbe dovuto disconoscerle in atto di opposizione al d.i. ai sensi dell’art. 215 c.p.c., e ciò non fece essendosi limitato, in quella sede, a “disconoscere sin da subito di aver eseguito e/o dato ordine di eseguire le operazioni in Derivati che gli vengono imputate”, senza negare, in maniera chiara e univoca, la paternità della firma apposta sulle suddette scritture”.

Considerazioni, queste, che consentono di superare le obiezioni sulla rilevanza dei documenti in questione sulle quali il ricorrente torna nella parte iniziale del terzo motivo del proprio ricorso. Le contestazioni svolte sull’idoneità probatoria dei documenti, in ragione della datazione antecedente a quella del decreto ingiuntivo, non superano difatti il vaglio di ammissibilità, posto che la valutazione del materiale probatorio è espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali di questa Corte (Cass. n. 9507/23, punto 14).

3.- Col secondo e col terzo motivo del ricorso principale, da esaminare congiuntamente perchè connessi, il ricorrente lamenta, rispettivamente:

– la violazione e falsa applicazione degli artt. 26, 29, e 31 del regolamento Consob n. 11522/98, del regolamento Consob n. 16190/07, delle direttive Europee nn. 39/04 e 93/22, degli artt. 6 e 21 del T.U.F., nonchè degli artt. 1175 e 1137 c.c., là dove la corte d’appello l’ha ritenuto operatore qualificato sebbene egli non fosse munito dei necessari requisiti soggettivi, in quanto persona fisica, nonchè di quelli oggettivi, perchè privo di specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari (secondo motivo), nonchè – la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 214 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., perchè la corte d’appello ha riconosciuto in capo al ricorrente la qualifica di operatore qualificato sulla base di una scheda personale estratta dagli archivi della Camera di commercio cinque anni dopo la presentazione della dichiarazione ex art. 31 del regolamento Consob n. 11522/98 e perdipiù con un’aggiunta a penna, non riconducibile alla grafia di A.A., apposta sul bordo inferiore del documento (terzo motivo).

La censura complessivamente proposta, di là anche in questo caso dal profilo d’inammissibilità sollevato in controricorso per la commistione di più censure, è comunque inammissibile perchè non congruente col contenuto della decisione.

3.1.- Quanto alla contestazione concernente la qualifica di operatore qualificato, a norma dell’art. 31, comma 2, del Regolamento Consob, adottato con Delib. 1 luglio 1998, n. 11522, in attuazione del D.Lgs. n. 58 del 1998 (successivamente abrogato dal regolamento approvato con Delib. 29 ottobre 2007, n. 16190), sono considerati operatori qualificati, tra gli altri, le persone fisiche che siano in possesso dei requisiti di professionalità previsti dal T.U.F. per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione mobiliare; e l’art. 1, comma 1, lett. a), del regolamento adottato (ai sensi dell’art. 13, comma 1, del T.U.F.) con D.M. 11 novembre 1998, n. 468, attribuisce, appunto, l’idoneità all’esercizio delle funzioni di consigliere di amministrazione o di sindaco presso una società di intermediazione mobiliare a chi abbia esercitato attività di amministrazione e controllo oppure compiti direttivi presso imprese per almeno un triennio. E senz’altro occorre, come il ricorrente evidenzia in ricorso, che l’intermediario accerti, al momento dell’instaurazione del rapporto, il pregresso svolgimento da parte dell’investitore dei ruoli e dei compiti al riguardo necessari, poichè non è sufficiente ad escluderne la responsabilità la semplice dichiarazione del cliente di esonerarlo dalla verifica (Cass. n. 13872/17n. 2530/23).

Le persone fisiche devono, inoltre, aver manifestato all’intermediario la volontà di essere considerate tali, non essendo sufficiente che esse siano in possesso degli indicati requisiti di professionalità (Cass. n. 23805/15): nessuno, infatti, meglio dell’investitore conosce il proprio livello di comprensione dei meccanismi del mercato finanziario e, conseguentemente, il proprio bisogno di quella protezione che è dovere dell’intermediario offrire.

Si esige quindi un elemento “volontaristico”, rivelato dall’esigenza di documentazione delle qualità rilevanti, e coerente con la natura protettiva della disciplina (da ultimo, Cass. n. 20249/21 e n. 5493/22, punti 15.2-15.3).

3.1.1.- Nel caso in esame, la corte d’appello ha appunto accertato che (omissis) “dichiarò, con scrittura in data 9.7.2004, di essere in possesso di specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari e ciò ai sensi e per gli effetti della Delib. Consob n. 11522 del 1998, art. 31, e successive modifiche e diede atto di aver consegnato alla Banca “copia mia posizione camerale comprovante la mia qualifica di operatore qualificato in quanto amm.re di società di capitali da oltre 3 anni””; dichiarazione, questa, specifica la corte, prodotta in sede monitoria e non tempestivamente disconosciuta con la citazione in opposizione. Non solo: la corte d’appello ha evidenziato che la banca, a supporto e conferma della dichiarazione, produsse la scheda personale relativa a (omissis), tratta dall’archivio ufficiale della camera di commercio, da cui emergevano le qualità di socio amministratore di cui si è riferito in narrativa, e l’importanza, anche internazionale, dell’impresa individuale che egli esercitava. E sul punto, nell’esaminare l’eccezione concernente l’interpolazione della visura camerale mediante un’aggiunta nel bordo inferiore, il giudice d’appello ne ha affermato l’irrilevanza perchè “…non sono state contestate le risultanze della scheda personale in questione in ordine alle cariche sociali da lui rivestite all’epoca il che rende ininfluente la rilevata discrasia temporale”. E, ancora, ha escluso la rilevanza del verbale dell’ispezione della Banca d’Italia eseguita presso l’Unipol, in considerazione della genericità del riferimento a (omissis), ritenuto inidoneo a incrinare il compendio probatorio acquisito.

3.2.- Quanto al periodo precedente, in relazione al quale e specificamente all’atto della sottoscrizione del primo contratto quadro del 21 ottobre 2002, (omissis) effettivamente non rilasciò la specifica dichiarazione prevista dall’art. 31 del regolamento Consob, limitandosi ad affermare di possedere una specifica competenza e informazione sulla natura e sui rischi delle operazioni del tipo previsto dall’accordo, la corte d’appello ha sottolineato che l’investitore non aveva dedotto nè fornito elementi utili a “individuare quale dell’operatività nei primi due anni in questione abbia avuto conseguenze per lui pregiudizievoli e in quale misura”.

3.3.- In relazione, poi, al periodo successivo all’entrata in vigore del regolamento Consob n. 16190/07, la corte d’appello ha anzitutto evidenziato la novità della questione concernente l’esclusione della qualità di cliente professionale in base alle nuove regole, posta soltanto in appello, e comunque ha sottolineato che la banca già in allegato al ricorso monitorio aveva prodotto tutta la documentazione, sottoscritta da (omissis), comprovante il possesso da parte sua dei requisiti richiesti per ritenerlo cliente professionale in base al nuovo regolamento, e da lui non disconosciuta.

4.- Col secondo e col terzo motivo del ricorso principale non ci si confronta con queste statuizioni:

a.- di là dal riferimento alla pretesa alterazione della visura camerale, il ricorrente non contesta che, all’epoca in cui ha reso la dichiarazione ex art. 31 del regolamento Consob n. 15222/98, rivestisse le cariche sociali ivi indicate e dinanzi richiamate; quanto al verbale d’ispezione della Banca d’Italia, ne afferma la decisività, senza illustrare, tuttavia, le ragioni, trascurate dal giudice d’appello, per le quali il contenuto del documento giustifichi le proprie deduzioni, di modo che in realtà richiede la rivisitazione del giudizio di fatto compiuto (Cass., sez. un., n. 4835/23);

b.- quanto al periodo precedente, non obietta che, diversamente da quanto stabilito dalla corte d’appello, egli aveva indicato gli elementi ad avviso del giudice d’appello mancanti (cfr. Cass. n. 14335/19, che onera l’investitore della prova del danno subito);

c.- in relazione al periodo successivo all’entrata in vigore del regolamento n. 16190/07, si limita ad escludere che gli si potesse essere riconosciuta la qualità di cliente professionale ivi disciplinata, senza prendere posizione nè sulla statuizione d’inammissibilità per novità della questione, nè su quella concernente la documentazione comprovante il possesso dei requisiti previsti dal nuovo regolamento esibita dalla banca.

5.- Il che determina l’inammissibilità anche del quarto motivo del ricorso principale, col quale (omissis) lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1469-bis, e l’incompetenza territoriale, dovuta alla necessità di applicare il foro del consumatore, posto che col motivo appunto si assume, in contrasto con gli accertamenti compiuti in sentenza, la spettanza della qualità di consumatore: la corte d’appello, al riguardo, ha escluso, con accertamento al quale il ricorrente prova a sovrapporre la propria diversa impostazione, che il ricorrente abbia concluso le operazioni d’investimento per esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio della sua attività d’impresa, e ciò per “il fatto che il (omissis) si sia qualificato operatore qualificato, che sussistano i presupposti documentali che confermano tale qualifica, che abbia continuativamente per 7 anni negoziato con la banca…sofisticati strumenti finanziari per somme ingenti riconoscendosi debitore per importi assai elevati…”.

Ne deriva l’irrilevanza della giurisprudenza unionale citata anche in memoria, che pur sempre si riferisce alla disciplina consumeristica (in termini, vedi Cass. n. 3070/23).

6.- Inammissibile è altresì il quinto motivo del ricorso principale, col quale il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 1453 c.c., dell’art. 36 c.p.c., della L. n. 108 del 1996, art. 644, comma 1, nonchè degli artt. 1283 e 1284 c.c., là dove, per un verso, sono state respinte le contestazioni riguardanti la mancanza di prova del credito dell’applicazione di tassi usurari e di addebiti per oneri non dovuti e, per altro verso, il giudice ha omesso di pronunciarsi sulla domanda riconvenzionale proposta.

Le contestazioni sono difatti assertive, e riferite alle statuizioni di primo grado (si leggano il primo e il terzo capoverso di pag. 19 del ricorso, che riferiscono la censura a errori od omissioni del giudice di primo grado), ignorando le statuizioni del giudice d’appello, che ha evidenziato la genericità dei corrispondenti motivi di gravame in base alla considerazione che nessun elemento era stato fornito a conferma, ad esempio, del ritenuto superamento del tasso usura, dell’anatocismo concretamente applicato, nonchè delle spese e delle commissioni ritenute non dovuti.

Le contestazioni sono inoltre generiche e corredate di stralci di trascrizioni di telefonate raccolte su DVD di per sè irrilevanti, anche perchè sollecitano un apprezzamento di merito inibito a questa Corte.

7.- Parimenti inammissibile è il sesto motivo del ricorso principale, con cui il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 27, 28, 29, 30, 31, 32, 35 e 37 del regolamento Consob n. 16190/07, del D.Lgs. n. 58 del 1998artt. 21 e 23, del regolamento Consob n. 11522/98, degli artt. 26283233606162 e 63 del T.U.F., nonchè degli artt. 1175 e 1375 c.c., là dove si è escluso che la banca mediante la propria condotta, che sarebbe consistita nel consigliargli la conclusione e la continuazione di operazioni inadeguate e onerose, senza informarlo dei rischi relativi, sia incorsa in responsabilità precontrattuale e contrattuale.

Col motivo ci si continua difatti a riferire alla “parte opposta”, all'”opponente” e all'”appellante”, senza aggredire le statuizioni della sentenza d’appello, calibrate, oltre che sul riconoscimento della qualità di operatore professionale e sulla conseguente inapplicabilità degli obblighi informativi di profilazione, sulla rilevanza della richiesta di affidamenti per diversi milioni di Euro, sulle registrazioni di lunghe telefonate con i funzionari Unipol, sulla lettera raccomandata con la quale la banca aveva informato il ricorrente delle perdite subite e sulla circostanza che, nel mese di ottobre 2008, egli ha dismesso il proprio patrimonio immobiliare, così mostrando consapevolezza dell’andamento negativo del rapporto.

8.- Da ultimo, è inammissibile anche il settimo motivo del ricorso principale, col quale si procede a un’astratta dissertazione sulla clausola generale di buona fede e correttezza contestando i “documenti ex adverso prodotti con il D.I. e la comparsa”, senza confrontarsi con le statuizioni della sentenza d’appello.

Il ricorso principale è dunque inammissibile per l’inammissibilità dei motivi nei quali esso è articolato.

9.- Con i quattro motivi del ricorso incidentale la banca lamenta:

– la nullità del processo per violazione degli artt. 112115 e 116 c.p.c., là dove la corte d’appello ha ritenuto non sufficientemente provata, perchè non adeguatamente documentata, la reconventio reconventionis proposta, concernente il pagamento della somma dovuta per effetto della risoluzione del rapporto di c/c n. (omissis) relativo all’apertura di credito ipotecaria concessa a (omissis) con atto pubblico del 01 luglio 2008 per consentirgli l’operatività nei derivati in discussione (primo motivo);

– la violazione o falsa applicazione della combinazione degli artt. 1713, 1832, 2698, 2697, 2709, 2710, 2727 e 2729, nonchè degli artt. 13211322 e 1372 c.c., poichè le risultanze degli estratti conto mai sono state oggetto di specifica contestazione da parte di (omissis) (secondo motivo);

– la radicale inesistenza della motivazione circa la prova del credito in questione (terzo motivo);

– l’omesso esame del fatto decisivo dato dal deficitario apprezzamento della prova fornita, oltre che del comportamento processuale delle parti (quarto motivo).

9.1.- Va esaminato preliminarmente, per priorità logica, il secondo motivo. A fondamento di esso la banca sottolinea l’idoneità probatoria delle risultanze degli estratti conto agli atti (che sostiene siano quelli dal 31 dicembre 2008 fino al passaggio in sofferenza, avvenuto in data 19 novembre 2009) e precisa che non si rendeva necessario procedere alla rideterminazione contabile del saldo del c/c n. (omissis) per mezzo della ricostruzione integrale del reciproco dare/avere, posto che non si era fatta questione della validità di poste del conto.

Il motivo è fondato.

La corte d’appello ha rigettato la domanda relativa al saldo del c/c in questione perchè, a suo giudizio, la produzione degli estratti conto, “peraltro (non) completi” (sottolineatura aggiunta), da parte della banca era insufficiente ai fini della prova del credito del relativo saldo, essendo invece necessaria una “ulteriore… specificazione contabile”: per provare il credito, dunque, secondo la corte non bastavano gli estratti conto prodotti, ma occorrevano altri documenti.

Al contrario, ai sensi dell’art. 1832 c.c., richiamato dal successivo art. 1857, l’estratto conto, da intendersi come il documento, redatto dalla banca, contenente l’indicazione delle movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall’ultimo saldo precedente (cfr. Cass. n. 2751/02n. 12233/03n. 21092/16), prova il saldo a favore della banca ove il correntista non sollevi specifiche contestazioni (giurisprudenza costante: cfr., tra le più recenti, Cass. n. 17242/06n. 29415/2020). La corte d’appello avrebbe dunque dovuto accertare se (omissis) avesse sollevato (come lui sostiene) o no (come sostiene invece la banca) specifiche contestazioni avverso gli estratti conto prodotti; di ciò invece non si è data carico.

Nè si può valorizzare l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui gli “estratti conto non risultano peraltro completi”, ossia integrali, relativi all’intero periodo in cui si era svolto il rapporto di conto corrente, dall’apertura sino alla fine. Ciò perchè la necessità della produzione integrale degli estratti conto, a decorrere dall’inizio del rapporto, si può porre solo allorquando sia stata accertata la illegittimità di addebiti annotati dalla banca a carico del correntista, che alterano le risultanze del conto e impongono quindi la rettifica di tali risultanze, ai fini della quale può anche rendersi necessaria, appunto, in difetto di altri appaganti dati istruttori (Cass. n. 9526/19n. 11543/2019), la produzione degli estratti conto integrali. Nel caso in esame, invece, non sono evidenziati dalla Corte d’appello illegittimi addebiti a carico del correntista.

Il motivo va quindi per quest’aspetto accolto.

9.2.- Inammissibile è, invece, l’ulteriore profilo del motivo, col quale la banca fa leva sul contenuto delle clausole incluse nelle norme generali di disciplina del rapporto di conto corrente, con le quali il cliente avrebbe riconosciuto che i libri e le altre scritture contabili della banca facciano piena prova nei propri confronti. E ciò perchè la censura postula degli accertamenti in fatto, quelli concernenti il contenuto delle clausole, che il giudice di merito non ha compiuto, e ai quali non si può procedere in sede di legittimità.

10.- L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento del primo, col quale nella sostanza la banca lamenta che la corte d’appello sia andata oltre le eccezioni di (omissis), che non aveva contestato gli estratti conto, nonchè del quarto, col quale si ripropone sempre, questa volta sotto il profilo dell’omesso esame di fatto decisivo, la questione della genericità delle contestazioni di (omissis).

11.- Il terzo motivo, è, invece, inammissibile per difetto di attinenza alla ratio decidendi.

La ricorrente, infatti, denuncia un difetto assoluto di motivazione in quanto la corte d’appello avrebbe disatteso la domanda proposta “a fronte…di contestazioni del (omissis) che la stessa Corte ha reputato assolutamente generiche (pag. 17 sentenza impugnata)”. In realtà, la corte d’appello, a proposito della domanda della banca di cui si discute, ha affermato che “A prescindere dalla valutazione dell’ammissibilità o meno di tale reconventio reconventionis a fronte delle (generiche) contestazioni del (omissis) su tutti i rapporti di c/c intrattenuti con Unipol Banca, ciò che rileva è che tale pretesa non appare sufficientemente provata”; e l’impiego dell’espressione “a prescindere” non consente di ritenere che abbia proceduto ad accertare alcunchè e, in particolare, che abbia considerato le contestazioni agli estratti conto prodotti in giudizio dalla banca, riguardanti il conto n. (omissis), non sufficientemente specifiche nel senso voluto dall’art. 1832 c.c., come interpretato dalla giurisprudenza richiamata.

12.- In accoglimento del secondo motivo, quindi, la sentenza è cassata per il profilo corrispondente, con rinvio, anche per le spese, alla corte d’appello di Bologna in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, accoglie, nei limiti indicati in motivazione, il secondo motivo di quello incidentale, assorbiti il primo e il quarto, dichiara inammissibile il terzo motivo di questo ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di Bologna in diversa composizione.

In relazione alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso principale, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2023

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