La Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 4827/2024, pubblicata e notificata l’8/7/2024, ha confermato la decisione di primo grado del Tribunale per i Minorenni del 5/4/2023, che aveva dichiarato lo stato di adottabilità del minore Ca.Ma., nato il […], dalla coppia Ca.Cr. (già padre di una figlia, nata da una precedente relazione, affidata in via esclusiva alla madre) e Me.Da. (già madre di altri quattro figli, collocati presso familiari o in Casa Famiglia), disponendo il divieto di ogni contratto tra il minore e tutti i familiari, confermando il collocamento del minore in Casa Famiglia (già disposto, prima nel settembre 2021, insieme alla madre e poi, nel maggio 2022, senza la madre), in attesa dell’individuazione di una coppia a scopo adottivo.
In particolare, i giudici d’appello, ripercorso l’iter processuale (avviato, nel giugno 2021, dalla Procura della Repubblica di Roma, a seguito di denuncia penale del Ca.Cr. nei confronti della Me.Da., con un ricorso ex art.330 e 336 c.c., cui era seguita, nell’aprile 2022, l’apertura del procedimento per l’accertamento dello stato di abbandono) hanno rilevato, in fatto, che:
a) il giudice di primo grado aveva posto a base della decisione gli accertamenti specialistici e le osservazioni degli operatori che avevano evidenziato lo stato di abbandono di Ca.Ma. in quanto i genitori erano risultati privi delle minime competenze genitoriali;
b) in particolare, quanto al padre, era stato rilevato “un basso livello cognitivo ed un funzionamento psicologico caratterizzato da povertà cognitiva, da necessità di tipo infantile non ancora soddisfatte, con conseguente incapacità di comprendere i bisogni del figlio”, essendo lo stesso “apparso astratto dalla realtà, avendo continuato ad affermare il suo desiderio di vedersi ricongiunto con la sig.ra Me.Da. che invece lo rifiutava” e tale “grave incapacità di elaborazione delle esperienze deprivanti e sostanziale superficialità si era osservata anche nella scarsa qualità della relazione con il bambino e costituiva indubbio rischio per il corretto e sereno sviluppo del minore”;c) anche l’osservazione effettuata a seguito del trasferimento del bambino in struttura senza la madre, proseguiva il Tribunale, aveva confermato tale quadro, in quanto Ca.Ma., essendosi ben inserito, non aveva mostrato particolare empatia con i genitori durante gli incontri, spesso essendosi irrigidito e non avendo manifestato particolare attaccamento nei loro confronti;
d) i percorsi recentemente intrapresi dai genitori non consentivano di esprimere una prognosi favorevole rispetto al recupero delle loro funzioni genitoriali e, in ogni caso, ove pure tale recupero fosse stato ipotizzabile, lo stesso sarebbe stato sicuramente incompatibile con i tempi evolutivi di Ca.Ma..
Quindi la Corte d’Appello ha respinto i gravami dei due genitori, osservando che:
a) il piccolo Ca.Ma., alla valutazione effettuata il 23.1.2023 presso il TSMREE , aveva rivelato una “lieve caduta in tutte le aree, con maggiore fragilità nell’area dell’apprendimento ed in quella personale sociale”, mostrando irritabilità e facile frustabilità e scarsa fluidità nei movimenti, discreta rigidità nei passaggi posturali, e il consulente tecnico d’ufficio aveva confermato “un ritardo nel linguaggio e un ritardo psicomotorio presumibilmente anche concausati dalla stimolazione inadeguata ricevuta all’interno del contesto familiare” ;
b) per quanto qui ancora interessa, il padre, come rilevato dal consulente, ponendosi verso la genitorialità in modo superficiale, “tende ad attribuire il fallimento del progetto familiare ai comportamenti, anche aggressivi, della madre del minore, senza riconoscere che la loro coppia mancava già sia di un obiettivo condiviso, sia di modelli accuditivi funzionali viste le loro storie di vita, entrambe connotate da importanti carenze affettive e non elaborate e dunque non superate” e, nella interazione padre/figlio, si è evidenziata “la presenza di familiarità e il calore nell’interazione, mettendo però in luce una considerevole intrusività da parte del sig. Ca.Cr. voi che non è apparso sufficientemente in grado di accogliere le iniziative del figlio senza sostituirvisi”, ma nonostante l’affetto presente nelle comunicazioni nei gesti, il padre non ha lasciato spazio alle proposte del bambino;
c) il giudizio complessivo del consulente è nel senso che si tratta di “soggetto caratterizzato da un livello cognitivo deficitario”, che comunque “presenta un sufficiente adattamento alla vita lavorativa – autotrenista – e relazionale”, e che la personalità del sig. Ca.Cr. “è estremamente semplice, affettivamente dipendente, poco incline ad una riflessione maturativa e migliorativa, molto orientata alla praticità”, non mostra una “una progettualità concreta”, esprimendo solamente “un desiderio “destrutturato” e aprioristico di riavere con sé il figlio”, cosicché appare difficile ipotizzare uno sviluppo delle corrette competenze in ambito genitoriale;
d) il minore, tre anni, vive presso una famiglia collocataria da ottobre 2023 e da allora ha iniziato un percorso di riabilitazione neuro psicomotoria in seguito ad una diagnosi di ritardo psicomotorio, nonché un percorso logopedico, iniziato a febbraio 2024 dopo un intervento chirurgico a causa del “frenulo linguale corto”, riportando grandi miglioramenti;
e) non mostra un legame di attaccamento verso i due genitori biologici, che ha visto fino a 2 anni e due mesi, “di livello e qualità significativa” e da un punto di vista psicologico non si ravvisa l’interesse del minore a mantenere il rapporto con la famiglia d’origine;
f) non possibile un aiuto familiare allargato alla coppia, essendovi “relazioni difficili e conflittuali con le famiglie d’origine che non appaiono dunque possibili risorse”.
Avverso la suddetta pronuncia, Ca.Cr. propone ricorso per cassazione, notificato il 3/8/24, affidato a unico motivo, nei confronti di Ca.Ma., rappresentato dal curatore speciale, Avv. to La.Id. (che resiste con controricorso), di Me.Da., Sindaco del Comune di […], nella qualità di tutore provvisorio del minore, Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Roma (che non svolgono difese).
1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, ex art. 360, comma 1 n. 3 e n. 4 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto e, nello specifico, del disposto della Legge n. 184/1983 e nullità della sentenza, in ragione della carente e/o omessa e/o soprattutto apparente motivazione del provvedimento della Corte di Appello, in violazione degli art. 111, comma 6, Cost. e dell’art. 118,1 comma, disp. att. cod. proc. civ., con specifico riferimento alla ripresa dei rapporti tra il minore e il Sig. Ca.Cr. pur nell’ambito di un affido etero-familiare.
Il ricorrente motiva l’impugnazione, ritenendo che “la Corte di Appello di Roma addiviene al rigetto del reclamo/appello proposto dal Sig. Ca.Cr. sotto il profilo della ripresa della frequentazione tra il medesimo ed il figlio minore con una sentenza affetta da nullità in quanto evidentemente apparente”, non essendo in alcun modo rinvenibile, dall’esame della sentenza, il percorso logico e motivazionale della Corte territoriale, allorché addiviene al convincimento che il mantenimento del legame del minore con i genitori naturali non corrisponda alle esigenze di accudimento ed educative dello stesso bambino.
La Corte di Appello, in violazione del disposto di cui alla Legge n. 184/1983 e “malgrado il diverso avviso e parere del Procuratore Generale”, aderisce “acriticamente al convincimento del CTU in merito alla non significatività del rapporto tra il minore ed il genitore naturale”. Dalla sentenza impugnata emerge che il Procuratore Generale aveva espresso parere contrario alla revoca dello stato di adottabilità ma favorevole alla “ripresa dei rapporti con entrambi i genitori tramite un percorso adeguato”.
2. La censura infondata.
La sig.ra Me.Da., madre del minore, non ha presentato ricorso per cassazione.
La ripresa dei rapporti tra il padre e il figlio, pur nell’ambito del disposto affidamento etero-familiare del minore, è stata ritenuta non rispondente all’interesse del minore, in quanto, come ritenuto dal consulente tecnico, con motivazione condivisa dalla Corte territoriale, stante il non significativo attaccamento al genitore, per il minore risulterebbe “troppo difficile e confusivo sviluppare e saper gestire nel contempo l’affidamento per i genitori biologici e per la famiglia affidataria”.
Il ricorrente obietta che ciò è frutto del tempo molto ridotto trascorso con il figlio, “istituzionalizzato all’età di 4 mesi”, essendo stata data al padre la possibilità di frequentarlo “dapprima una sola ora a settimana ed, indi, addirittura un’ora ogni 15 giorni”. Si rileva che il Ca.Cr. comunque frequenta regolarmente l’altro figlio, affidato in via esclusiva alla madre, e che non può essere discriminante, ai fini del mantenimento di un rapporto affettivo padre/figlio “la povertà cognitiva, la semplicità o la scarsa presenza di una riflessione maturativa e migliorativa”, in assenza di ipotesi di abuso, maltrattamenti o violenze.
Ma si invoca non la revoca dello stato di adottabilità, in conseguenza dell’accertato stato di abbandono del minore, quanto la violazione del disposto dell’art.44 lett. d) L. 184/1983, non avendo la Corte di merito vagliato la possibilità di ricorso ad adozione “mite”.
2.1. Orbene, è anzitutto infondato il primo motivo, con il quale si denuncia la motivazione apparente di cui sarebbe affetta la sentenza impugnata.
Come osservato dalle S.U. di questa Corte (Cass. S.U 22232/2016) “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”.
In realtà, i motivi sottendono una censura di insufficienza motivazionale che non può essere più avanzata, in sede di legittimità, attesa la nuova formulazione dell’art.360 n. 5 c.p.c..
Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione.
Né si verte in ipotesi di motivazione apparente per il fatto che la Corte d’Appello abbia aderito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio.
Qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poiché l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche per relationem dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente; diversa è l’ipotesi in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori: in tal caso, il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c., è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (Cass. 15147/208; Cass. 11917/2021). Si è poi rilevato che “se, in via generale, il giudice di merito che aderisce alle conclusioni del consulente tecnico esaurisce l’obbligo di motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, non dovendo necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, ove, invece, le censure all’elaborato peritale si rivelino non solo puntuali e specifiche, ma evidenzino anche la totale assenza di giustificazioni delle conclusioni dell’elaborato, la sentenza che ometta di motivare la propria adesione acritica alle predette conclusioni risulta affetta da nullità” (Cass. 15804/2024).
Nella specie, la Corte d’Appello ha riportato anche la risposta del consulente alle deduzioni critiche inoltrategli dal consulente di parte del Ca.Cr. (pag. 12) e dalla difesa della Me.Da., ritenendo il ragionamento tecnico e logico impiegato dal consulente del tutto persuasivo.
E il ricorso non introduce o offre diversi elementi valutativi che non siano stati considerati dal consulente e dalla Corte d’Appello.
2.2. L’adozione di minorenni si distingue in adozione “piena” (già definita legittimante) e in adozione “particolare”.
La prima si caratterizza per una specifica procedimentalizzazione, sotto il controllo del giudice, al fine di assicurare, per i minori che versino in situazione di abbandono, una adeguata scelta dell’adottante, e fa venire meno, nell’impostazione più rigorosa, ogni rapporto e quindi ogni diritto e dovere con la famiglia d’origine (art. 27, disposizione che la Corte Costituzionale n. 131 del 2022 ha dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevede che il figlio l’adottato assume il cognome degli adottanti, anziché prevedere che “l’adottato assume i cognomi degli adottanti, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, raggiunto nel procedimento di adozione, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto” ).
L’adozione in casi particolari (art. 44 legge n. 184/1983: “1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7: a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge; c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre; d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. 2. L’adozione, nei casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli. 3. Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi. 4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del comma 1 l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare”) opera, invece, in ipotesi tassative, nelle quali non ricorrono i presupposti per l’adozione “piena”, per mancanza dello stato di abbandono del minore o di alcuni requisiti dell’adottante. Essa tende a rendere giuridicamente rilevante un vincolo affettivo, di fatto, tra il minore e altro soggetto, mantenendo in vita i rapporti fra l’adottato e la sua famiglia d’origine”.
Il principio caratterizzante l’intera disciplina è enunciato dall’art. 1 della Legge n. 184/1983: “1. Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia. 2. Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto. 3. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia. Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell’opinione pubblica sull’affidamento e l’adozione e di sostegno all’attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori. I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma. 4. Quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’eduzione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge. 5. Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento”.
Il principio, che si ricava anche dall’art.30 Cost.(“il minore ha diritto di essere educato nell’ambito della propria famiglia”), trova oggi conferma nell’art. 315 bis c.c. (comma 2: “il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti” ).
Esso comporta che l’adozione costituisce sempre l’extrema ratio, il rimedio che deve intervenire quando altre strade risultino non percorribili, tanto che è imposto anzitutto allo Stato ed agli enti locali di assicurare i mezzi di sostegno necessari alla famiglia bisognosa per impedire lo sradicamento del minore da essa.
Al fine di evitare lo sradicamento del minore, nell’adozione piena, a livello giurisprudenziale, si è parlato, in ipotesi specifiche, di “adozione aperta”, in base alla quale il giudice consente, “di fatto”, al minore di continuare a frequentare la famiglia d’origine. Ad essa si aggiunge altra figura, di creazione sempre giurisprudenziale (di merito, T. min. Bari 2008, e di legittimità, Cass. 3643/2020 e Cass. 40308/2021), la c.d. adozione “mite”, in base alla quale, in situazioni di semi-abbandono del minore, si consente, allo stesso essendo opportuno non recidere del tutto il rapporto con la famiglia d’origine, di conservare (“dal punto di vista giuridico” e non solo “di fatto”) i rapporti con la famiglia d’origine, mediante una interpretazione “estensiva” dell’art.44 lett. d). Al riguardo, si possono richiamare Cass. 21024/2022, Cass. n. 20322/2022, Cass. 1476/2021, Cass. 3643/2020.
L’accertamento di una condizione di abbandono e la conseguente dichiarazione di adottabilità, condizioni richieste per l’adozione piena, non sono, invece, il necessario antecedente processuale del procedimento ex art. 44 L. 184/1983, che è un modello di filiazione adottiva caratterizzato dalla partecipazione dei genitori biologici del minore, i quali, ove esistenti, devono prestare, ai sensi del successivo art. 46, comma 1, il loro consenso, salvo l’intervento sostitutivo del Tribunale, secondo le modalità procedimentali stabilite nel successivo capoverso. Ciò nonostante, ha osservato questa Corte, “nel procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità, proprio perché finalizzato in via pressoché esclusiva a creare le condizioni per la successiva pronuncia di adozione piena o legittimante (ovvero per la forma di adozione che impone la recisione, nel nostro ordinamento, di ogni legame con il nucleo genitoriale originario), è necessario che l’indagine sulla condizione di abbandono morale e materiale del minore, e sulla correlata capacità genitoriale dei genitori biologici, sia completa e non trascuri alcun rilevante profilo inerente i diritti del minore”, anche verificando “se l’opzione per la recisione del legame con i genitori naturali debba prevalere o meno rispetto al quadro deficitario delle loro capacità genitoriali” (Cass. 21024/2022). Ne consegue che la verifica in concreto dei margini di conformazione della situazione del minore ai modelli di filiazione adottiva previsti all’interno dell’art. 44 L. n. 184 del 1983 può adottarsi, nel caso in cui sia stata domandata la dichiarazione dello stato di adottabilità, soltanto dopo l’eventuale accertamento negativo della condizione di abbandono.
Il principio è stato ribadito in Cass. 28371/2023: “Il giudizio di accertamento dello stato di adottabilità di un minore, ai sensi degli artt. 8 e ss. della L. n. 184 del 1983, e il giudizio volto a disporre un’adozione “mite”, ex art. 44, lett. d) della medesima legge, costituiscono due procedimenti autonomi, di natura differente e non sovrapponibili fra loro: ciò nondimeno, nel procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità, è possibile verificare se l’interesse del minore a non vedere recisi i legami con i genitori naturali debba prevalere o meno rispetto al quadro deficitario delle loro capacità genitoriali, potendosi prevedere, almeno in via temporanea, un regime di affidamento extrafamiliare, potenzialmente sostituibile da un’adozione ex art. 44 della L. n. 184 del 1983″.
Orbene, nella specie, si verteva in ambito di procedimento per la dichiarazione di adottabilità e la Corte d’Appello, ritenuti sussistenti lo stato di abbandono del minore, stante l’incapacità del padre (e della madre), e la necessità di interrompere il legame fra il padre biologico e il minore, all’esito di un’attenta valutazione, ha escluso, alla luce dei predetti principi di diritto, che vi fosse spazio per un’adozione ex art. 44 L. 184/1983, come richiesto dall’appellante Ca.Cr. (e dal PG).
In tale senso, deve essere intesa la motivazione della decisione impugnata laddove si è ritenuto dimostrato il presupposto, necessario per l’adozione “piena” (e non richiesto per quella in casi particolari) dello stato di abbandono del minore e si è rilevato che, all’esito di un percorso psicologico di ascolto e approfondimento del vissuto di Ca.Ma., il mantenimento di rapporti con il padre risulterebbe pregiudizievole per il bambino, in quanto gli incontri con il padre, non richiesti dal bambino, “costituirebbero soltanto un fattore di importante destabilizzazione del minore”.
3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Ricorrono giusti motivi, considerate tutte le peculiarità della concreta vicenda, vertendosi in tema di tutela di diritti della persona, per compensare integralmente tra le parti le spese processuali.
Essendo il procedimento esente, non si applica l’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002.
La Corte respinge il ricorso e dichiara compensate integralmente tra le parti le spese processuali del presente giudizio di legittimità.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2025.
Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2025.
