• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. I, 07/05/2021, n. 12205

Cassazione civile sez. I, 07/05/2021, n. 12205

Massima

In materia di protezione internazionale, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, la Corte di Cassazione stabilisce che il giudice ha il dovere di applicare il principio dell’onere probatorio attenuato e di valutare la credibilità del richiedente anche in relazione alla capacità dello Stato d’origine di offrire adeguata protezione.

Supporto alla lettura

PROTEZIONE INTERNAZIONALE

La protezione internazionale è la categoria generale delle figure del diritto di asilo, che l’art. 10 Cost. riconosce allo straniero che nel suo Paese non può esercitare le libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

Il nostro sistema prevede tre figure di protezione:

  • status di rifugiato: riguarda il cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può, o non vuole, avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le medesime ragioni sopra esposte e non può, o non vuole, farvi ritorno (nell’ambito di tali forme di persecuzione, sono state ricomprese alcune specifiche ipotesi fra cui la condizione degli omosessuali incriminati o a rischio di incriminazione perché nei loro Paesi gli atti omosessuali sono reato; la condizione delle donne a rischio di mutilazioni genitali femminili; la condizione dei fedeli di pratiche religiose proibite);
  • protezione sussidiaria:  concerne il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati  motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe il rischio effettivo di subire un grave danno, da individuarsi nella condanna a morte o nell’esecuzione della pena di morte, oppure nella tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante oppure, infine, nella minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale;
  • protezione umanitaria: non è uno status, è prevista da leggi nazionali che attuano il suggerimento europeo di proteggere persone in stato di vulnerabilità, per le quali sussistano gravi motivi umanitari (es. le ipotesi di minori non accompagnati; persone a rischio di epidemie nel proprio Paese; persone provenienti da paesi in cui vi è un conflitto armato non così grave da giustificare la protezione sussidiaria; richiedenti che, avendo in attesa della decisione sulla domanda avuto modo di inserirsi stabilmente nella società nazionale, non vanno sradicate dal nuovo contesto di vita).

Lo status di rifugiato è tendenzialmente permanente mentre la protezione sussidiaria dura cinque anni rinnovabili; entrambi possono essere revocati per seri motivi (es. commissione di reati gravi) oppure per il miglioramento radicale della situazione del Paese di origine. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari dura di solito due anni rinnovabili ed è rilasciato dal Questore (non dal giudice o dall’organo amministrativo, che si limitano a dichiarare che ve ne sono le condizioni).

La domanda di protezione è proposta in via amministrativa alle forze di polizia ed esaminata dalle Commissioni territoriali insediate nelle sedi stabilite dalla legge. La domanda è istruita con l’ascolto del richiedente asilo (la c.d. intervista) sulla vita passata e sulle ragioni dell’emigrazione, esaminati alla luce delle informazioni sul Paese di origine, le country of origin information (Coi). Decide poi con provvedimento motivato sia rispetto alla credibilità intrinseca che ai riscontri e alle Coi disponibili. Il richiedente può impugnare il provvedimento in tutto o in parte sfavorevole davanti al tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello dove ha sede la commissione territoriale o la sua sezione distaccata che ha emesso il provvedimento, oppure il Cara che ospita il richiedente asilo.

Il giudice decide sul rapporto; non può annullare l’atto perché mal motivato o viziato, ma esamina il merito. Avendo pieni poteri ufficiosi, può ricercare le Coi attraverso riviste, rapporti di ong, siti Internet specializzati (ma non deve chiedere al Paese di provenienza, il quale potrebbe fornire informazioni falsate o svolgere attività intese a perfezionare la persecuzione dedotta dal richiedente). E’ obbligatorio l’intervento del Pm.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Catania con cui è stato negato che al ricorrente (omissis), originario del (omissis), potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

Motivi della decisione

1. – Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007artt. 3 e 5. La sentenza impugnata è censurata per non avere il Tribunale applicato il principio dell’onere probatorio attenuato e per non aver valutato la credibilità del richiedente alla luce dei parametri di cui ai citt. artt. 3 e 5.

Col secondo motivo si oppone la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007art. 14, lett. c). Il ricorrente lamenta, anzitutto che il giudice del merito non abbia preso in considerazione il dato dell’inesistenza in Pakistan di un’adeguata protezione da parte della polizia locale; ricorda, in proposito, come in sede di audizione personale egli avesse dichiarato come le autorità locali, cui egli si era rivolto per chiedere protezione, non avessero accettato la denuncia e gli avessero richiesto “di portare qualche politico” e avesse inoltre precisato che “quella zona era comandata da un politico e la polizia voleva che noi prima ci rivolgessimo a lui”. Il motivo, poi, contiene una doglianza circa il mancato riconoscimento della sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata.

I due mezzi, che possono esaminarsi congiuntamente, sono fondati nei termini che si vengono a esporre.

Mette conto di premettere, con particolare riguardo al secondo motivo, che l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass. 7 novembre 2017, n. 26310Cass. 27 ottobre 2017, n. 25557Cass. 20 febbraio 2014, n. 4036). Ciò posto, il ricorrente ha inteso evidentemente lamentare, col secondo mezzo, l’omesso esame di quanto da lui dichiarato avanti alla Commissione territoriale; e le circostanze riferite in quella sede non possono non assumere rilevanza decisiva. Per un verso, infatti, in punto di diritto, è da considerare che ai fini della valutazione della domanda di protezione internazionale, i responsabili della persecuzione o del danno grave sono anche soggetti non statuali, se lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione (D.Lgs. n. 251 del 2007art. 5): in altri termini, il diritto alla protezione sussidiaria non può essere escluso dalla circostanza che agenti del danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati qualora nel paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Cass. 6 luglio 2020, n. 13959Cass. 20 luglio 2015, n. 15192). Per altro verso, in punto di fatto, quanto dichiarato dal ricorrente – documentato nel verbale di audizione (cfr. pag. 9 del ricorso) che, giusta il D.Lgs. n. 25 del 2008art. 35 bis, comma 8, era nella disponibilità dell’organo giudicante – è rappresentativo proprio del detto rifiuto di accordare protezione da parte dell’autorità di polizia.

Quanto riferito dal richiedente con riguardo alla posizione assunta dalle autorità di pubblica sicurezza non poteva essere del resto espunto dagli elementi da valutare ai fini della pronuncia, giacchè il Tribunale, come si è visto, ha ritenuto credibile la vicenda narrata dal richiedente.

3. – Il terzo motivo, con cui l’istante si duole della violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 112, 19 e D.Lgs. n. 25 del 2008art. 32 e che ha ad oggetto la pronuncia reiettiva della domanda di protezione umanitaria, resta assorbito.

4. – In conclusione, i primi due motivi, per quanto di ragione, devono essere accolti, mentre va dichiarato l’assorbimento del terzo. Il decreto è cassato, con rinvio della causa al Tribunale di Catania che, in diversa composizione, statuirà pure sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie i primi due motivi di ricorso e dichiara assorbito il terzo; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2021

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi