Massima

In materia di tutela del diritto d’autore, i bozzetti pubblicitari sono suscettibili di protezione autonoma come opera dell’ingegno (ai sensi dell’art. 2 della legge n. 633 del 1941) qualora il giudice di merito ne accerti l’originalità e la novità, desunte dall’elaborazione originale e artistica/creativa, quale la scelta di colori, la tecnica di pittura, la valorizzazione dei contrasti o la scelta di un atteggiamento particolare del protagonista che lo renda emblematico dell’intero film cui si associa. Tale proteggibilità è riconosciuta sul presupposto che l’opera implichi una creazione originale e che l’originalità e la novità non sono escluse dal carattere associato del bozzetto ad un prodotto industriale o ad altra opera (come un film).

Supporto alla lettura

PROPRIETA’ INTELLETTUALE 

La proprietà intellettuale consiste in un sistema di tutela giuridica dei beni immateriali che sono il risultato dell’attività inventiva e creativa dell’uomo. In particolare, si tratta di un insieme di diritti esclusivi riconosciuti sulle creazioni intellettuali, articolandosi, da un lato, nella proprietà industriale relativa a invenzioni (brevetti), marchi, disegni e modelli industriali e indicazioni geografiche e, dall’altro, nei diritti d’autore a copertura delle opere letterarie e artistiche.

Sebbene regolamentati da diverse normative nazionali e internazionali, i diritti di proprietà intellettuale (DPI) sono anche disciplinati dalla legislazione dell’Unione europea.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Con citazione del 13 febbraio 1986 la (omissis) srl riassumeva davanti al Tribunale di Roma il giudizio da essa a suo tempo instaurato a mezzo ricorso di cui all’art. 700 c.p.c. davanti al Pretore nei confronti della srl (omissis), della (omissis) spa e della srl (omissis). Il giudice della urgenza aveva pronunciato a conclusione del suo giudizio ordinanza di inibizione della diffusione del bozzetto riproducente l’attore (omissis) protagonista del film “(omissis)”, nell’atto di imbracciare un fucile mitragliatore lanciarazzi, realizzato dal pittore (omissis), pubblicato da (omissis) nel proprio mensile (omissis) distribuito dalla (omissis).

La (omissis) srl riassumeva il giudizio. Si costituivano (omissis) ed (omissis). Il Tribunale dapprima con sentenza non definitiva dichiarava la propria competenza e rigettava l’eccezione della (omissis) circa la legittimazione della (omissis). Quindi con sentenza definitiva del 1995 respingeva la domanda nei confronti della (omissis) e la accoglieva nei confronti della (omissis) condannandola a risarcire i danni in favore della (omissis) che liquidava in via equitativa nella somma di L. 100.000.000.

La Corte d’appello di Roma adita dalla (omissis) accoglieva parzialmente l’impugnazione quanto alla misura del danno da risarcire che riduceva a L. 41.933.600, confermando le altre statuizioni della prima sentenza.

Il secondo giudice anzitutto negava la affermata nullità della sentenza del tribunale che a dire dell’appellate derivava dall’essere stato costituito il tribunale che aveva pronunciato definitivamente da giudici diversi da quelli che avevano pronunciato non definitivamente. Quindi riteneva provata la trasmissione dei diritti di utilizzazione del bozzetto in questione in favore della attrice (omissis) e dunque legittimata la stessa a richiedere i danni da contraffazione. Negava che la (omissis) potesse invocare per giustificare la propria pubblicazione alcuna forma di diritto di informazione, riguardando la vicenda il diritto allo sfruttamento dell’opera d’arte, sussistente nel bozzetto in considerazione della originalità e novità.

Infine liquidava in via equitativa e prendendo a parametro anche gli introiti realizzati da (omissis) con la vendita del poster riproducente il predetto bozzetto.

Contro questa sentenza ricorre per cassazione con quattro motivi (omissis). Resiste con controricorso la spa (omissis) già (omissis) srl.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 3 e 5 c.p.c. con riferimento all’art. 25 Cost. e agli artt. 189276 e 279 c.p.c. ed al principio della immodificabilità del Collegio.

1a) Il motivo è infondato. Come ha chiarito il giudice del merito la tutela costituzionale in questione intende assicurare che a decidere sia il giudice cui spetta sulla base dei criteri ordinari di competenza di esaminare il fatto della causa. Il che è esattamente ciò che in entrambi i giudizi di primo grado, sia quello che si è concluso con la sentenza non definitiva che quello che ha dato luogo alla sentenza definitiva, è accaduto. Quanto alle norme processuali invocate dalla ricorrente è giurisprudenza di questa corte suprema dalla quale il collegio non ha motivo per discostarsi secondo cui la composizione del collegio è immodificabile solo dall’inizio della discussione, e riguarda lo svolgersi di ciascun giudizio e non lo svolgersi di diversi giudizi quali sono quello definitivo e quello non definitivo (Cass. n. 4589 del 91 e n. 6797 del 99).

2) Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente (omissis) lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 100 e 214 c.p.c. e degli artt. 2702 e 2709 c.c. nonché la falsa motivazione e la errata valutazione giuridica dei documenti. Sostiene che la domanda della (omissis) doveva essere preceduta dall’accertamento del suo titolo in ordine ai diritti di cui affermava la lesione. Poiché la legge sul diritto di autore all’art. 100 c.p.c. richiede la forma scritta per l’atto di trasmissione del diritto di sfruttamento sull’opera dell’ingegno, il giudice avrebbe dovuto pretendere la esibizione di tale atto di trasmissione. Contesta che la documentazione in atti sia stata bene esaminata e nega in via di principio che essa contenga siffatto contratto o atto di trasmissione.

2a) Osserva il Collegio che è ben vero come il ricorrente afferma che la legge (art. 110 L.a. ed art. 2581 c.c.) richiede per la trasmissione dei diritti di sfruttamento dell’opera dell’ingegno l’atto scritto, ma siffatto requisito è anzitutto richiesto “ad probationem” e non “ad substantiam”. Quindi e sulla base di tale premessa la giurisprudenza ha sempre avuto chiaro che altro è il conflitto tra titoli, ovvero tra pretesi titolari del medesimo dritto di sfruttamento nel qual caso la controversia si decide sulla base del documento in questione, ed altro è il caso in cui il trasferimento ovvero l’acquisto venga invocato da chi si assume leso dal terzo che, senza vantare analogo diritto ha compiuto atti di sfruttamento del medesimo bene. In tal caso l’acquisto può essere provato anche mediante altri mezzi diversi dal documento (Cass. nn. 13937 del 19994273 del 1998, 1392 del 994, 2780 del 1963).

Movendo da tale premessa la corte di merito ha esaminato il materiale probatorio sottoposto al suo esame ed ha respinto la eccezione della (omissis) rilevando il possesso da parte di (omissis) del bozzetto pittorico rappresentante al centro l’immagine in questione, la fattura rilasciata dalla (omissis) alla (omissis) per l’acquisto dei diritti sui bozzetti ideati e realizzati per il film (omissis), la lettera di tale società e del pittore (omissis) avente valore ricognitivo della precedente cessione e delle sue modalità. Tali elementi sono stati prima accertati e poi ritenuti congrui a dimostrare, relativamente alla funzione processuale in questione, la trasmissione a (omissis) del diritti di sfruttamento e la sua legittimazione alla domanda di cui è causa. Il motivo è infondato.

3) Con il terzo motivo la ricorrente censura la violazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 633 del 1941 (l.a.) conseguenti alla ritenta possibilità di tutela i bozzetti pubblicitari in via autonoma e quindi nell’avere riconosciuto a quello di cui è causa la originalità e la novità dell’opera dell’ingegno protetta.

3a) Osserva anzitutto il collegio che non sussiste l’impossibilità, affermata in via di principio dal ricorrente, di proteggere ai sensi dell’art. 2 della legge sul d.a. i bozzetti pubblicitari. Basta riflettere, a riprova, sul fatto che il n. 4 di tale norma elenca, tra le altre, le opere della scenografia, la quale per l’appunto adopera come strumento proprio il bozzetto. Rispetto ad esso infatti è risalente la giurisprudenza che ne riconosce la proteggibilità quale opera dell’ingegno, beninteso sul presupposto che implichi una creazione originale (Cass. n. 1838 del 1942).

Parimenti il bozzetto sul quale viene poi realizzato il manifesto pubblicitario, del quale contiene l’intero messaggio e tutte le caratteristiche eventualmente anche creative, assurge alla medesima protezione sulla base dell’accertamento, che spetta al giudice del merito, dei caratteri dell’opera dell’ingegno.

Non viene in rilievo la giurisprudenza che la ricorrente cita giacche non vi è dubbio che siffatta originalità e novità presuppongono la scindibilità dell’opera dal prodotto industriale al quale essa, economicamente, si associa, ma ciò appunto è quanto il giudice del merito ha accertato.

La sentenza impugnata infatti ha escluso che il bozzetto sia una riproduzione di un fotogramma del film ma invece ha accertato che essa è elaborazione originale ed artistica (“recte” creativa, ndr), per scelta di colori, tecnica di pittura, valorizzazione dei contrasti, scelta di un particolare atteggiamento del protagonista che pertanto risulta emblematica dell’intero film cui si associa, e da ciò, si può concludere, deriva il suo pregio di mercato.

Osserva peraltro il Collegio che la doglianza della ricorrente sembra nascondere l’equivoco della esclusione della novità ed originalità ogni qual volta un’opera tragga ispirazione da altra perché ad essa è collegata. Esito interpretativo che la legge sul diritto di autore non consente, giacché la nozione generale dell’art. 1 anzitutto fa riferimento ad opere che “appartengono” alla letteratura, alla musica, alla cinematografia e così via, e dunque indica solo il genere e non la forma specifica di espressione, la cui libertà è funzionale alla libertà dell’arte. Quindi la elencazione dell’art. 2 espressamente cenna ad opere collegate ad altre ovvero a prodotti industriali. L’originalità e la novità pertanto attengono al contenuto creativo della singola opera il quale che non è escluso da siffatto carattere associato, come il ricorrente in qualche modo adombra.

Il giudice del merito ha individuato nel bozzetto il contenuto innovativo che rende un manifesto, o poster, su di esso realizzato, benché associato al film che richiama, opera di distinta originalità. Alle specifiche osservazioni relative alle circostanze integranti la novità ed originalità ed alla capacita emblematizzante della immagine prescelta, il ricorrente oppone la sua generica affermazione di principio di non proteggibilità di un bozzetto in quanto tale.

Il motivo è dunque infondato.

4) Con l’ultimo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 12262056 e 2697 c.c. conseguente alla mancata prova del danno ed alla errata applicazione dell’equità. Sostiene che il danno lamentato dalla (omissis) non è stato provato e che il secondo giudice ricalcando pedissequamente il percorso logico del primo benché ne abbia ridotto la misura della condanna al risarcimento, ha utilizzato il dato del ricavo di essa (omissis) dallo sfruttamento del poster per dedurne un analogo ma mai provato danno di (omissis).

4a) Osserva il collegio che, accertato lo sfruttamento abusivo dell’opera, la quantificazione del pregiudizio si è mostrata particolarmente difficile. Il giudice del merito, pervenendo peraltro ad una significativa riduzione della somma fissata in primo grado, ha adoperato tra i parametri di riferimento, al fine di non dare luogo ad una valutazione sganciata dalla realtà nella quale l’illecito si è perfezionato, quello del lucro che dalla operazione abusiva ha ricavato (omissis). Tale utilizzazione non è affatto illogica o arbitraria né contraddice il presupposto della impossibilità di accertare il preciso ammontare del danno, ma invece una volta che il giudice del merito ha espressamente individuato lo sfruttamento del bozzetto nella parte di mercato abusivamente occupata da (omissis) (il mercato dei poster), ha amministrato il suo potere equitativo in modo da renderlo il più possibile ragionevole.

A torto dunque la ricorrente censura un “modus procedendi” che è conforme alla giurisprudenza della corte di cassazione (da ultimo Cass. n. 10271 del 2002). Il motivo è infondato.

5) Il ricorso deve essere respinto. La ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 100,00 oltre ad € 2.500,00 per onorari di difensore.

In Roma il 5 novembre 2002.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 07 MAR. 2003

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