RILEVATO CHE
A.G. ha proposto ricorso per cassazione, esponendo che il tribunale di Imperia, con sentenza definitiva nel giudizio di cessazione effetti civili del matrimonio, ha revocato l’assegnazione alla D. della casa coniugale e posto a carico di esso A. l’obbligo di versare, con decorrenza dal mese successivo al rilascio della casa coniugale, un assegno divorzile dell’importo mensile di Euro 400,00; espone altresì di avere proposto appello in punto di riconoscimento di assegno di divorzio, deducendo che in ragione dei principi affermati dalle sezioni unite il divario economico tra i coniugi dovrebbe essere causalmente collegato alle scelte fatte durante il matrimonio e non è questo il caso di specie. La Corte d’appello ha respinto il gravame rilevando la sussistenza di disparità economica tra le parti (2.500,00 Euro mensili contro 1.250,00 Euro mensili) e di diverse professionalità dei coniugi (lui funzionario poste, lei operatore socio sanitario), per cui “appare verosimile” e “non è mai stato contestato” che la D. si sia occupata per la durata dei vent’anni del matrimonio nel tempo libero dal lavoro, della famiglia e dei figli e che in ragione dell’età e dello stato di salute -essendo invalida al 50%- non è verosimile che ella possa migliorare la propria situazione economica. Ha altresì rilevato che A. beneficia dell’utilizzazione della casa coniugale rilasciata dalla moglie e della cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli mentre la ex moglie dovrà corrispondere un canone di locazione.
A. ha censurato la predetta sentenza affidandosi a due motivi. Si è costituita con controricorso D.. Entrambe le parti hanno depositato memoria; la causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 2 marzo 2023.
Diritto
RITENUTO CHE
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. 898-70, art. 5 comma 6 in tema di riconoscimento, determinazione e quantificazione dell’assegno di divorzio, per avere il giudice di merito ritenuto ricorrere il presupposto per il riconoscimento dell’assegno di divorzio, rinvenuto nella differenza economica tra le due parti. Il ricorrente deduce che la Corte d’appello di Genova, nonostante il richiamo ai principi affermati dalle sezioni unite della Corte di Cassazione nel 2018, non ha fatto buon governo dei criteri indicati, avendo conferito una portata determinante alla differenza reddituale tra gli ex coniugi, senza porre detto squilibrio in relazione agli altri parametri di legge e, in particolare, alla ricorrenza del contributo fornito dalla donna alla formazione del patrimonio familiare e di quello personale del coniuge, ossia alla circostanza che lo squilibrio sia dipendente da scelte fatte e condivise durante la vita matrimoniale con il sacrificio di proprie aspettative professionali. Il giudice, infatti, nel valutare l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge che faccia richiesta di assegno, deve accertare se il richiedente sia in condizione di vivere autonomamente e dignitosamente con le proprie risorse e a tal fine non hanno rilievo le migliori condizioni dell’altro coniuge, posto che il confronto tra le condizioni reddituali e patrimoniali delle parti è irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno. E’ necessario che il divario economico sia causalmente collegato alle scelte fatte durante il matrimonio. E’ erronea l’affermazione della Corte laddove ha fondato la sua decisione sulla tesi che “appare verosimile che la D. si sia occupata, nel tempo libero dal lavoro, alla famiglia provvedendo a curare ed allevare i figli“. L’assunto, oltre che erroneo è in violazione delle norme generali in tema di onere della prova e omette di dare applicazione ai principi in materia di assegno così come elaborati dalla Corte di legittimità principi che dispiegano effetti sulla ripartizione dell’onere probatorio tra le parti. La signora D., infatti, non ha allegato i fatti costitutivi posti a fondamento della domanda di assegno essendosi limitata a proporre una domanda di assegno, riconvenzionale, subordinata al venir meno del mantenimento dei figli e della revoca dell’assegnazione della casa coniugale, come se esistesse un “automatismo” tra di essi. Osserva che peraltro figli avevano da tempo raggiunto l’autonomia economica per cui la ex moglie aveva beneficiato senza ragione della casa familiare e che attualmente non paga canone di locazione, perché risulta residente in un indirizzo corrispondente al villino di proprietà del fratello.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché l’incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, per avere il giudice errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto l’onere della prova. La Corte nel ritenere verosimile che la ex moglie abbia sacrificato le proprie possibilità di carriera per occuparsi della famiglia osserva che “non è mai stato contestato che a ciò non abbia provveduto” e così facendo ha erroneamente applicato il principio di non contestazione, in assenza di specifica allegazione di un fatto posto a fondamento della domanda, ragion per cui non opera neppure il dovere di contestazione ex art. 115 c.p.c., dovere che nasce solo a fronte delle altrui allegazioni.
3.- Il primo motivo del ricorso è fondato nei termini di cui appresso si dirà.
Preliminarmente si osserva che nel valutare il diritto alla corresponsione dell’assegno di divorzio deve tenersi conto di tutte le allegazioni difensive delle parti -nei limiti in cui esse risultino provate, anche per presunzioni- e non solo di come nelle conclusioni è stata sintetizzata la domanda. La controricorrente osserva, infatti, che pur se ella ha proposto la domanda di assegno divorzile contemplando l’ipotesi di revoca dell’assegnazione della casa coniugale e facendo riferimento alla necessità di pagare un canone, ha tuttavia ricostruito la complessiva vicenda familiare, allegando che si è sempre dedicata alla famiglia, che ha contribuito all’acquisto della casa familiare e che si è occupata dei figli dopo la separazione, nel disinteresse del padre.
La Corte di merito, tuttavia, non ha indagato sulla effettività e sulla incidenza di questi elementi sull’attuale condizione delle parti, ma si è limitata a valorizzare la sperequazione economica esistente tra esse, incrementata dalla riduzione degli oneri di mantenimento dei figli già gravanti sull’ex marito, e dalla revoca dell’assegnazione della casa, commisurando l’assegno al canone di locazione che D. dovrà “verosimilmente” sostenere, così non correttamente applicando i criteri di valutazione della funzione assistenziale e perequativo-compensativa dell’assegno di divorzio.
3.1.- Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., s.u. n. 18287 dell’11/07/2018), infatti, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudice deve quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza ma ancorata ad un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive (Cass., 07/12/2021, n. 38928; Cass., 08/09/2021, n. 24250). Di contro, la differenza reddituale, coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale, è oramai irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno perché l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. 09/08/2019, n. 21234).
La regola di giudizio, ispirata al canone dell’auto-responsabilità, in affermazione della funzione oltre che assistenziale anche perequativa e compensativa dell’assegno, vuole che il giudice del merito, investito della domanda di corresponsione di assegno divorzile, accerti l’impossibilità dell’ex coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi (Cass. 09/08/2019 n. 21234; Cass. 28/02/2020, n. 5603; Cass. n. 5603 del 28/02/2020).
3.2.- Poiché la funzione assistenziale dell’assegno resta imprescindibile, in ragione dei principi solidaristici di derivazione costituzionale che informano i modelli relazionali familiari e potrebbe anche essere considerata prevalente sulle altre (in arg. Cass. n. 21926 del 30/08/2019; Cass. n. 5055 del 24/02/2021) la Corte di merito avrebbe dovuto verificare in primo luogo se le risorse di cui dispone la D. siano effettivamente sufficienti a consentirle una vita dignitosa in autonomia – cosa ben diversa dal mantenimento del tenore di vita matrimoniale- e segnatamente se i suoi mezzi fossero sufficienti alla soddisfazione (anche) delle primarie esigenze abitative, e se ella fosse nella oggettiva impossibilità di procurarseli, e non già semplicemente valorizzare la circostanza che dovrà sostenere una spesa dalla quale prima era esente. Questa finalità dell’assegno di divorzio non è stata indagata, limitandosi a mettere in relazione il venir meno della assegnazione della casa coniugale con il dovere dell’ A. di corrispondere alla ex moglie una somma sufficiente a coprire i costi di un canone di locazione, senza valutare che l’assegnazione della casa coniugale ha la finalità di assicurare l’habitat domestico dei figli minorenni o privi di autonomia economica e non già a beneficiare economicamente l’ex coniuge, pur se si tratta un’utilità suscettibile di apprezzamento economico (Cass. sez. I, 21/09/2022, n. 27599; Cass., Sez. I, 12/10/2018, n. 25604; Cass., Sez. VI, 7/02/2018, n. 3015). Questa utilità – e cioè il risparmio di spesa per l’abitazione personale- è una conseguenza in punto di fatto dell’assegnazione della casa familiare, ma non può fondare alcun automatismo tra la revoca dell’assegnazione e il riconoscimento di un contributo economico in favore di colui che perde questo diritto personale di godimento (Cass. 24/06/2022, n. 20452). Ciò non significa che l’evento sia irrilevante, quanto piuttosto che se ne deve valutare in concreto l’effettiva incidenza sulle complessive condizioni economiche delle parti, ma non già per la mera sperequazione -sopravvenuta- delle risorse, bensì pur sempre in relazione alla funzione assistenziale e perequativo-compensativa dell’assegno, nei termini e limiti sopra precisati. Diversamente ragionando si riconoscerebbe un assegno divorzile anche al soggetto dotato di mezzi adeguati per il sol fatto che la revoca dell’assegnazione ne comporta un impoverimento, senza valutare se abbia risorse sufficienti a provvedere da sé e ricollegando la sopravvenuta sperequazione delle condizioni economiche non già ai sacrifici sostenuti nell’interesse della famiglia, ma alla circostanza -peraltro fisiologica- che ad un determinato momento cessano gli obblighi di mantenimento e cura nei confronti dei figli.
3.3.- La Corte di merito, oltre a non valutare la finalità assistenziale, ha fatto cattivo uso dei criteri di accertamento della funzione perequativo- compensativa: pur consapevole che, al fine di ritenere sussistente detta componente la differenza di reddito e patrimonio delle parti rileva in quanto sia in relazione casuale con la scelte di dedicarsi alla famiglia, ha invertito i termini dell’accertamento, muovendo dal dato di fatto della disparità economica tra le parti e ritenendo che è la differente posizione economica a far ritenere “verosimile” che la donna si era dedicata alla famiglia, rovesciando così il percorso logico dall’accertamento causa-effetto e -piuttosto che indicare su quali presunzioni gravi precise e concordanti ha fondato le proprie deduzioni- si è limitata ad un apodittico rifermento al criterio della verosimiglianza.
Sarebbe stato invece necessario accertare, -ove la funzione assistenziale dell’assegno non fosse ritenuta di per sé sufficiente ed assorbente gli altri profili- sulla base di tutti i fatti rappresentati ed emersi nel corso del giudizio e non solo limitandosi alla qualificazione giuridica ad essi datane dalle parti, se emerge la circostanza che la donna nel corso del matrimonio, in esso compreso il periodo di separazione, si fosse dedicata alla famiglia ed ai figli ed in che misura, in ipotesi anche prevalente all’impegno profuso dall’altro coniuge, e se ciò aveva determinato una riduzione delle sue possibilità di guadagno e lavoro.
Ed infatti, il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto in sé che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull’esistenza in sé di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi – che costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui alla l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, – essendo invece necessaria un’indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, la quale assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali (Cass. n. 29920 del 13/10/2022; Cass. n. 21234 del 09/08/2019)
4.- Ne consegue, in accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione per un nuovo esame sulla domanda di assegno di divorzio in favore di D.M.G., valutandone la funzione assistenziale nonché la funzione perequativo-compensativa nei termini sopra precisati. In particolare, escluso qualsiasi automatismo tra il venir meno dell’assegnazione della casa coniugale il diritto all’assegno, la Corte di merito dovrà valutare se le risorse di cui dispone la D. sono sufficienti a fare fronte alle sue attuali esigenze esistenziali, in esse comprese le esigenze abitative, e se la funzione assistenziale possa considerarsi o meno, nel caso concreto, assorbente rispetto alla funzione perequativo- compensativa, il cui accertamento richiede comunque di valutare se la sperequazione delle condizioni di reddito e patrimonio tra le parti è conseguenza della scelta di dedicarsi prevalentemente alla famiglia, eventualmente anche per compensare il minor impegno dell'(ex) coniuge, e nei limiti in cui abbia comportato sacrifici di aspettative professionali e reddituali. La Corte territoriale provvederà altresì sulle spese anche del giudizio di legittimità.
PQM
accoglie il primo motivo di ricorso assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame alla Corte di appello di Genova in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti, riportati nella ordinanza.
Così deciso in Roma, il 2 marzo 2023.
