Svolgimento del processo
Con sentenza 11-15 maggio 1978 il Tribunale di Forlì respingeva la domanda proposta da (omissis), nato a (omissis) il (omissis), nei confronti dell’Amministrazione della Difesa esercito, in persona del Commissario di Leva di Forlì, e diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità, in quanto cittadino sammarinese, della sua iscrizione nella lista di Leva di Ravenna, disposta con provvedimento del 10.6.1968 del predetto Commissario di Leva, regolarmente costituitesi in giudizio. In particolare il tribunale, con l’intervento del P.M., riteneva irrilevanti le questioni di illegittimità costituzionale degli artt. 10 e 11 della L. n. 1955 del 1912 e manifestamente infondata quelle degli artt. 3, 9, 12 della stessa legge in relazione agli artt. 2, 3 e 10 della Costituzione, dichiarava lo status di cittadino italiano iure sanguinis dell’attore osservando, a tal fine, che il nonno paterno, (omissis), aveva riacquistato, ai sensi dello art. 9, comma 1, n. 3 della predetta legge, la cittadinanza italiana e suo padre (omissis), benché nato cittadino sammarinese,l’aveva acquistata, a sua volta, ai sensi dell’art. 12, comma I della stessa legge.
La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza 21 novembre 1980 – 17 febbraio 1981, respingeva l’appello proposto dal (omissis) confermando, quindi, la sentenza impugnata.
Accertava la Corte di merito:
a) che il nonno del ricorrente, il (omissis), era nato cittadino italiano il 31.1.1984a Serravalle nella Repubblica di San Marino, che era divenuto, poi, per naturalizzazione, cittadino sammarinese il 6.8.1914 e che aveva recuperato infine, la cittadinanza italiana (ai sensi dell’art. 9, n. 3 della legge 13.6.1912 n. 555) avendo successivamente stabilito e protratto la residenza in Italia per oltre un biennio. Il padre del ricorrente, il (omissis), nato cittadino sammarinese il 30 giugno 1926, si era trasferito con il di lui padre in Italia ed, essendo ancora minorenne, aveva acquistato la cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 12, comma 1, della predetta legge: che il ricorrente era nato a (omissis) il 16 luglio 1948 ed era cittadino italiano fin dalla nascita.
b) che risultava dalla documentazione rilasciata dalla stessa Repubblica di San Marino (certificato rilasciato il 22.1.1971) che (omissis) e suo padre (omissis), nato nella predetta Repubblica il 13 marzo 1865, erano divenuti cittadini sammarinesi per naturalizzazione il 6.8.1914; che, comunque, era evidente che i predetti, prima della naturalizzazione, non erano cittadini sammarinesi.
c) che (omissis) – nonno dell’appellante – si era trasferito in Italia ed aveva preso la residenza, nel Comune di S. Clemente, il 29 maggio 1945 e, poi, il 21 dicembre 1953, nel Comune di Ravenna; che egli, pertanto, il 2 maggio 1947, in base all’art. 9, n. 3 della L. 13 giugno 1912 n. 555, aveva riacquistato la cittadinanza italiana facendo trascorrere il biennio di residenza in Italia senza manifestare alcuna volontà contraria, nonostante avesse avuto allora già inizio la prassi, seguita dal Ministero degli Esteri, di riconoscere efficacia ad un siffatto atto di volontà trasferendosi in Italia il 29 maggio 1945, (omissis) aveva condotto suo figlio (omissis) (padre del ricorrente), allora ancora minorenne e non ancora emancipato, il quale aveva preso, anche egli, la propria residenza a S. Clemente e da allora aveva sempre risieduto in Italia. Allorché (omissis), era ridivenuto, con il decorso del biennio di residenza in Italia, cittadino italiano, il 2 maggio 1947, (omissis) era ancora minorenne, essendo egli nato il 30 giugno 1926 e non essendosi emancipato, aveva acquistato la nostra cittadinanza in base all’art. 12 della predetta legge; raggiunta la maggiore età, il padre dell’odierno ricorrente non aveva dichiarato di optare per la cittadinanza sammarinese consolidando così l’acquisto della cittadinanza italiana, alla quale non aveva mai, poi, rinunciato, continuando, anzi a risiedere ininterrottamente nel nostro territorio. d) che l’appellante era nato in (Italia), quando suo padre era già divenuto definitivamente italiano, e che, pertanto, egli era cittadino italiano per ius sanguinis;
e) che egli aveva perduto la cittadinanza italiana per effetto dell’opzione per la conservazione della cittadinanza della Repubblica di San Marino, da lui effettuata il 27.3.1970, quando non aveva ancora raggiunto la maggiore età. Tale opzione infatti non poteva ancora produrre effetti perché il (omissis) non aveva acquistato la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 12 (il quale consente ai figli minori non emancipati di eleggere la cittadinanza di origine entro l’anno del raggiungimento della maggiore età), poiché egli era nato italiano ai sensi dell’art. 1, comma 1 n. 1 e, pertanto, avrebbe potuto perdere, la cittadinanza soltanto trasferendo fuori d’Italia la propria residenza (art. 8). Invece, egli, anche dopo quell’atto di opzione, aveva continuato a risiedere a Ravenna; pertanto l’opzione, pur se ricevuta dall’ufficiale dello Stato civile, non era stata di per sé idonea ad integrare la fattispecie dismessiva della cittadinanza italiana. La Corte di Bologna concludeva affermando che, pertanto, egli era tuttora cittadino italiano, ed aveva il dovere giuridico di compiere il servizio militare in Italia (art. 52, comma I, Cost.) e che il provvedimento del Commissariato di Leva impugnato era di conseguenza legittimo.
La Corte di merito giungeva a tali conclusioni dopo aver dichiarato irrilevanti, ai fini della decisione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 della L. 13 giugno 1912 n. 555 e dopo aver dichiarato manifestamente infondata quelle relativa agli artt. 9 e 12 della stessa legge, che erano state prospettate con riferimento agli artt. 2, 3 e 10 della Costituzione.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione fondata su cinque motivi illustrati con memoria, Ciavatta Sergio.
Resiste con controricorso l’Amministrazione dello Stato.
Motivi della decisione
I. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 4 della Convenzione di amicizia e buon vicinato tra la Repubblica di S. Marino e l’Italia del 31.3.1939 ratificata con L. 1320-39 in quanto la Corte di merito avrebbe ignorato tale norma. Sostiene che la sentenza impugnata non ha applicato l’art. 4 della predetta convenzione secondo cui “I cittadini di ciascuno dei due stati saranno ammessi, nel territorio dell’altro, all’esercizio di qualsiasi industria, commercio, professione e arte e potranno accedere a qualsiasi pubblico impiego a parità di condizioni con i nazionali”. Ne deduce che “la posizione del cittadino sammarinese è diversa da quella di qualsiasi altro cittadino straniero poiché egli deve essere equiparato al cittadino italiano anche per il rispetto dei diritti costituzionali”. La censura è inammissibile perché propone una questione priva di rilevanza in ordine al “thema decidendum”. Lo stesso ricorrente non chiarisce le conseguenze che intende trarne a tutela dell’interesse perseguito con il presente giudizio. La predetta norma afferma, infatti, che i cittadini dei due Stati hanno parità di diritti sul territorio dell’altro e possono esercitare qualsiasi attività ed accedere ai pubblici impieghi.
Essa, quindi, è del tutto irrilevante, sia al fine di dimostrare che il Ciavatta è cittadino della repubblica di San Marino (accertamento di status che è essenziale per l’applicazione della prima), sia al fine di sostenere che egli non deve adempiere agli obblighi militari nello Stato italiano. Al Ciavatta, infatti, non è negato alcun diritto di accedere ad un impiego o ad esercitare alcuna attività nel territorio italiano; al contrario è lui stesso che sostiene di non essere tenuto a prestare il servizio militare.
2. Con il secondo motivo si sostiene, deducendo falsa applicazione dell’art. 9 n. 3 della L. 1912 n. 555 anche in relazione agli artt. 2, 3 e 10 Cost. che tale norma è in contrasto con la Costituzione perché prevede il riacquisto automatico della cittadinanza italiana da parte di colui che l’ha perduta per effetto dell’acquisto di una cittadinanza straniera dopo due anni di residenza nella Repubblica.
La norma, in quanto prevede un automatico mutamento di cittadinanza, sarebbe in contrasto con gli artt. 2, 3 e 10 Cost. che garantirebbero il principio della volontarietà in tema di mutamento della cittadinanza.
con il terzo motivo si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe fatto un’erronea applicazione dell’art. 12 della stessa L. 1912-555 e si insiste nella incostituzionalità di tale norma per contrasto con gli artt. 2, 3 e 10 Cost. Si sostiene che l’acquisto di una cittadinanza e contemporaneamente la perdita di un’altra, non può, data la sua importanza, essere un fatto meramente automatico rimesso al semplice decorso del tempo, senza l’intervento di un atto di volontà dell’interessato; l’illegittimità costituzionale colpirebbe, in particolare, la seconda parte del I comma, il quale consente solo al minore, figlio di straniero per nascita che abbia acquistato la cittadinanza italiana di eleggere la cittadinanza d’origine, e non consente tale elezione anche al figlio del cittadino che, perduta la cittadinanza italiana, l’abbia poi recuperata, così violando anche il principio di eguaglianza.
Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata per omessa e contraddittoria motivazione e falsa applicazione dell’art. 12 della legge 555-1912, in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. La Corte d’appello dopo aver accertato che (omissis), avo del ricorrente (omissis), era nato cittadino italiano ed era divenuto cittadino sammarinese per naturalizzazione, ne ha tratto la conseguenza che (omissis) (figlio del primo e padre del secondo) era divenuto anch’esso cittadino italiano, ai sensi dell’art. 12 della legge 1912.555, per decorso del biennio di residenza in Italia, dato, che, raggiunta la maggiore età, non aveva dichiarato di optare per la cittadinanza sammarinese. Tale interpretazione della norma – sostiene il ricorrente – sarebbe erronea in quanto l’art. 12 riserva il diritto d’opzione ai figli degli stranieri tali per nascita e non anche ai figli degli stranieri divenuti tali per naturalizzazione.
Anche il quinto motivo denuncia violazione, sotto un diverso profilo, dell’art. 12 della legge 555 del 1912. Sostiene il ricorrente che la Corte di merito ha erroneamente ritenuto priva di valore l’opzione per la cittadinanza di origine da lui formulata ai sensi del capoverso del predetto art. 12, ritenendo che il predetto diritto potesse essere esercitato soltanto dal figlio dello straniero tale per nascita divenuto cittadino dopo la nascita del figlio stesso e non anche al figlio di colui, che, nato straniero, era divenuto cittadino italiano prima della nascita del figlio medesimo; ipotesi quest’ultima ricorrente nella fattispecie.
Questi motivi, poiché prospettano la violazione delle stesse norme costituzionali ovvero la violazione sotto diversi profili delle stesse norme vengono esaminati congiuntamente.
3. Le questioni di legittimità costituzionali sono irrilevanti e manifestamente infondate.
Infatti le questioni vengono proposte con riferimento al riacquisto della cittadinanza italiana da parte degli ascendenti dell’odierno ricorrente. Occorre ricordare – come ha accertato la Corte di merito e si è visto nella parte narrativa della presente sentenza – che il nonno Luigi si trasferì in Italia il 29.5.1945 conducendo con sé il figlio (omissis), padre del ricorrente, minorenne e non emancipato. Il (omissis) così ha riacquistato la cittadinanza italiana in data 2.5.1947 per effetto del decorso del biennio di residenza e, divenuto maggiorenne, come ha insindacabilmente accertato la Corte di merito ed è del resto incontroverso, non fece alcuna opzione per la cittadinanza sammarinese ma continuò a risiedere ininterrottamente in Italia, il ricorrente (omissis) acquistò, invece, la cittadinanza italiana “iure sanguinis” perché figlio di cittadino italiano.
Le questioni sollevate, secondo le motivazioni addotte, concernono, quindi, il riacquisto della cittadinanza italiana da parte del padre del ricorrente; esse, sono quindi, inammissibili perché il ricorrente non è legittimato a mettere in discussione una questione di status concernente il suo genitore; il riacquisto della cittadinanza italiana da parte del (omissis) costituisce per il figlio ricorrente un mero fatto da lui non impugnabile.
Le questioni di costituzionalità comunque sono irrilevanti anche per una seconda ragione e cioé perché gli artt. 9, 3 e 12 della legge del 1912 sono stati interpretati dalla Corte d’Appello nel senso auspicato dal ricorrente; infatti essa ha affermato che l’espressione manifestazione di volontà contraria esclude il riacquisto automatico della cittadinanza italiana ed è pervenuta, però, all’affermazione che il (omissis) aveva acquistato questa cittadinanza perché egli non aveva mai manifestato tale volontà contraria. Quest’ultima affermazione, costituiscono un accertamento di fatto sorretto da idonea motivazione, non è censurabile in questa sede di legittimità. Le questioni di costituzionalità sono, quindi irrilevanti perché l’eventuale eliminazione delle predette norme dall’ordinamento giuridico non potrebbe produrre alcun effetto né sullo status civitatis del (omissis) che non ha mai formulato opzione per la cittadinanza della Repubblica di San Marino e non è parte del processo né sullo status di cittadino del (omissis) divenuto cittadino “iure sanguinis”.
4. L’irrilevanza delle questioni autorizzerebbe la Corte a non esaminarne la fondatezza, ma non appare fuori luogo – per completezza di motivazione – soffermarsi anche sulla loro manifesta infondatezza.
Esse sono comunque manifestamente infondate per le ragioni esposte nella sentenza impugnata e che questa Corte ha già enunciato (Cass. 5530-84; 5531-84; 4047-84).
L’asserito contrasto tra gli artt. 9 n. 3 e 12 della legge di cui trattasi e gli artt. 2 e 3 della Costituzione è manifestamente inesistente, in quanto non vi è (e non viene nemmeno precisata quale essa sia) alcuna lesione di diritti inviolabili dell’uomo e non sussiste, altresì, violazione del principio di eguaglianza in quanto le situazioni cui si fa riferimento sono diverse (figlio dello straniero che abbia acquistato la cittadinanza italiana, da una parte, figlio del cittadino che, perduta la cittadinanza italiana, l’abbia poi recuperata, dall’altra) e sarebbe, quindi, in contrasto con il principio di eguaglianza regolarle in modo uniforme.
Non sussiste, nemmeno, violazione dell’art. 10, I comma della Cost. il quale stabilisce che “l’ordinamento giuridico italiano si conferma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute”. Non esistono, infatti, principi generali di tale ordinamento che attribuiscono alla volontà del soggetto valore assoluto nell’acquisizione della cittadinanza. In questa materia non vi sono norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, salvo il principio di oggettività, che si concretizza nel legame intercorrente tra l’individuo e lo stato e che nella nostra legislazione trova riconoscimento nei criteri dello ius sanguinis, dello ius soli e dello ius comunicatio che regolano l’attribuzione della cittadinanza.
Le stesse convenzioni internazionali, finora stipulate, si limitano a disciplinare profili particolari (come quella dell’Aja del 1930 e quella di Pontevideo del 1933) ed hanno una sfera di applicazione limitata a determinati stati con tradizioni affini.
Sicché tuttora si riconosce a ogni Stato il potere di fissare, nel proprio ambito interno, la regolamentazione sulla cittadinanza. Il principio della volontà, richiamato dal ricorrente, non è stato recepito nell’ambito del diritto internazionale come norma generalmente riconosciuta. Al contrario, molti Stati condizionano l’efficacia della rinuncia alla cittadinanza ad una propria autorizzazione, ed altri che, pur lo accolgono, non gli attribuiscono un valore assoluto, bensì una portata meramente tendenziale.
La nostra legislazione attribuisce rilievo alla volontà del singolo entro determinati limiti ed in precise situazioni ed in ciò essa non si differenzia dalla legislazione di altri Stati anche di elevata civiltà giuridica.
In particolare, gli artt. 9 e 12 della legge n. 555 del 1912, denunciati dal ricorrente, non prescindono affatto dalla violazione dell’interessato. Tali articoli riconnettono lo acquisto dello status di cittadino ad una fattispecie complessa, costituita da vari elementi, fra i quali si include un atteggiamento esplicitamente o implicitamente favorevole della volontà dell’interessato. Così l’art. 12 attribuisce la cittadinanza ai figli minori non emancipati, residenti in Italia (principio di effettività) di chi acquista la cittadinanza, ma consente agli stessi di eleggere la cittadinanza di origine entro l’anno dal raggiungimento della maggiore età e dalla conseguita emancipazione (Cass. 84-5530).
L’ipotesi prevista dall’art. 9 n. 3, secondo il quale l’ex cittadino riacquista la cittadinanza dopo due anni di residenza nella Repubblica se l’aveva perduta per acquistarne una straniera, attribuisce rilievo alla volontà del soggetto giacché l’assunzione della residenza e il protrarsi della medesima per un biennio sono dati che presuppongono la volontà dell’interessato favorevole al riacquisto della cittadinanza, specie se si consideri che il legislatore esige, altresì, che l’ex connazionale l’abbia perduta per il solo effetto dell’acquisto della cittadinanza straniera, cioé senza uno specifico atto dismessivo, e che la norma non esclude che l’interessato possa impedire il perfezionamento della fattispecie acquisitiva prima della decorrenza del biennio con uno specifico atto di volontà contrario.
La norma, d’altra parte, fu inserita, non per coartare la persone a divenire cittadini italiani, ma per avvantaggiare il concittadino che aveva dovuto espatriare per ragioni di lavoro dispensandole da lunghe e dispendiose pratiche amministrative e per assicurargli, in difetto di una sua contraria volontà, il conseguimento della cittadinanza sottraendole dalla discrezionalità del’Amministrazione.
In ciò l’art. 9 n. 3 differenza notevolmente la nostra legislazione da quegli ordinamenti statuali nei quali la perdita della cittadinanza per rinuncia del singolo ovvero l’acquisto della stessa, è subordinata all’esclusiva o talvolta insindacabile volontà dello Stato (ad es. Cass. 85-2373) che deve rilasciare un’autorizzazione.
D’altra parte occorre ricordare che la stessa Corte Costituzionale (ord. 31 dicembre 1982 n. 258) ha limitato l’operatività degli automatismi a quelli che operano nell’acquisto della cittadinanza a titolo non originario ed ha fatto discendere tale principio, non dalle norme invocate dal ricorrente, ma dall’art. 22, secondo cui nessuno può essere privato per motivi politici della cittadinanza.
Poiché nella fattispecie in esame il ricorrente ha, invece, acquisito la cittadinanza a titolo originario iure sanguinis la questione di costituzionalità degli artt. 9 n. 3 e 12 della Legge 1912-555 non può essere accolta nemmeno sotto quest’aspetto.
Non giova poi al ricorrente il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale 16 aprile 1975 n. 87, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 in esame, nella parte in cui prevedeva che la donna cittadina che sposava uno straniero perdeva, indipendentemente dalla sua volontà, la cittadinanza sempreché il marito ne possedesse, che per effetto del matrimonio, a lei si comunicasse. L’illegittimità, invero, è stata pronunciata sotto un diverso profilo; la Corte Costituzionale investita dalla questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, II comma della legge n. 555, del 1912 e dell’art. 143 ter, cod. civ.,nella parte in cui prevedevano che la cittadina straniera sposa di cittadino italiano non potesse rinunziare alla cittadinanza italiana acquisita per matrimonio ha ritenuto pregiudizievole la verifica della legittimità costituzionale del principio della iuris comunicatio per matrimonio, ravvisandovi il possibile contrasto con gli artt. 3 e 29 Cost.; e ciò, sia per la posizione d’inferiorità in cui poneva la moglie rispetto al marito, sia per la disparità che ingenerava tra cittadino e cittadina stranieri, acquisendo solo quest’ultima la cittadinanza italiana per matrimonio e comportando tale condizione d’inferiorità nell’ambito familiare la lesione dei diritti inviolabili della persona, nonché dell’art. 22 Cost; con l’ordinanza prima citata, quindi, ha sollevato innanzi a se stessa la questione di legittimità della ricordata norma, risolvendola poi con la sentenza 16.4.1975 n. 87, prima citata, con la dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma terzo (non secondo) dell’art. 10, nella parte in cui prevedeva che la donna cittadina che si maritava ad uno straniero perdeva, indipendentemente dalla sua volontà, la cittadinanza, sempreché il marito possedesse una cittadinanza, che per effetto del matrimonio a lei si comunicasse. La pronuncia di illegittimità si fonda, quindi, sul contrasto con gli artt. 3 e 29 Costituzione e, quindi, sulla violazione del principio d’eguaglianza fra uomo e donna stranieri (nel senso prima indicato) e fra coniugi.
La fattispecie non ha, quindi, alcuna analogia con quella oggi in esame.
Al contrario, poiché il ricorrente ha acquistato la cittadinanza italiana per nascita da padre italiano, è pertinente il riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale 9 febbraio 1983 n. 30 che ha riconosciuto la legittimità dell’acquisto della cittadinanza iure sanguinis, pur avendo dichiarato l’illegittimità dell’art. 1 n. 1 della legge del 1912 nella parte in cui non prevedeva che fosse cittadino italiano per nascita anche il figlio di madre cittadina e dell’art. 1 n. 2 perché non prevedeva l’acquisto della cittadinanza italiana per il figlio di madre cittadina e lo collegava solo ad ipotesi di carattere residuale.
5. Superate le questioni di legittimità costituzionale, la Corte può esaminare la censura concernente la violazione dell’art. 12 della legge del 1912 la quale, non è fondata perché, essendo esatto il principio di diritto secondo cui la norma consente al figlio minore di chi abbia riacquistato la cittadinanza italiana di optare per la cittadinanza di origine, l’accertamento di fatto della Corte di merito secondo cui il (omissis) non aveva mai manifestato la volontà di conservare la cittadinanza italiana, essendo congruamente motivato, non è censurabile in questa sede di legittimità.
Non è fondata nemmeno la censura di violazione dell’art. 12 prospettata sotto il profilo che la Corte di merito avrebbe dovuto riconoscere il diritto di opzione anche al figlio di persona che, nata straniera, era divenuta cittadina italiana prima (e non dopo) la nascita del figlio optante.
Infatti l’art. 12 prevede al I comma due diverse ipotesi. La prima prevede l’acquisto della cittadinanza italiana da parte dei figli minori di chi acquista o recupera la cittadinanza italiana e la regola nel senso che tale acquisto si verifica automaticamente salvo che essi risiedano all’estero; l’esistenza di questo presupposto da rilievo alla volontàdei soggetti interessati. La seconda ipotesi deroga a tale previsione per il figlio dello straniero per nascita divenuto successivamente cittadino. Solo in questo caso il figlio può, entro l’anno dal raggiungimento della maggiore età, dichiarare di eleggere la cittadinanza di origine.
Nella fattispecie in esame, avendo la Corte d’Appello, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede di legittimità, stabilito che il padre del ricorrente non era cittadino italiano per nascita, ha correttamente applicato la prima delle due ipotesi indicate, stabilendo che il ricorrente è cittadino italiano.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato; alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, e degli onorari, in favore della resistente Amministrazione, che vengono liquidati con in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di L. 50.000 per spese processuali e di L. 600.000 per onorari, oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte di Cassazione il 17 giugno 1985.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 4 FEBBRAIO 1986
