…omissis…
Rilevato
D.M.C.A., S.G., Sc.Gi. e S.M.C. convennero in giudizio, nel 2012, davanti al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, L.M.G., la XX Ass.ni S.p.a. e il Comune di Pace del Mela, chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della morte del loro congiunto, S.A., causata dal sinistro stradale verificatosi il —, alle ore 13,30 ca., allorquando quest’ultimo, mentre percorreva alla guida di una motocicletta la via denominata “—” del —, con direzione di marcia mare-monte, nell’affrontare una curva a destra, si scontrava con il veicolo “Ford Fiesta” di proprietà del L.M. e dallo stesso condotto, garantito per la r.c.a. dalla AA Assicurazioni S.p.a. (poi XX Ass.ni S.p.a.);
il Tribunale rigettò la domanda, avendo ritenuto, sulla base della ricostruzione della dinamica effettuata dal consulente del P.M. nel separato procedimento penale e della testimonianza della persona che viaggiava come trasportato nell’auto investitrice, ascrivibile in via esclusiva alla vittima la responsabilità del sinistro, in considerazione della assai elevata velocità tenuta nel tragico occorso e del fatto che la moto risultava aver invaso l’altra corsia di marcia in curva e con la visuale non libera;
la Corte d’appello di Messina ha confermato tale decisione, rigettando, per quanto ancora in questa sede interessa:
a) la censura con la quale gli appellanti si dolevano della mancata ammissione di altri testimoni;
b) la richiesta di nomina di c.t.u. cinematica – ricostruttiva volta a ricostruire l’esatta dinamica del sinistro, onde accertare la condotta di guida tenuta dai due conducenti;
con riferimento alla prima ha rilevato che è in facoltà del giudice ridurre il numero di testimoni anche nel corso del giudizio e che quelli escussi si sono rivelati sufficienti per la ricostruzione dei fatti, considerata la loro presenza sul luogo al momento del sinistro;
quanto alla seconda ha parimenti osservato che la consulenza svolta in sede penale, affiancata alle dichiarazioni rese dai testimoni, era sufficiente al fine di delineare le modalità del sinistro rendendo superflua la disposizione di una nuova c.t.u.;
avverso tale sentenza G., Gi. e S.M.C., in proprio e quali eredi di D.M.C.A., propongono ricorso per cassazione articolando quattro motivi, cui resiste il Comune di Pace del Mela, depositando controricorso;
gli altri intimati sono rimasti tali;
la trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.;
il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni;
il Comune di Pace del Mela, unico controricorrente, ha depositato memoria.
Considerato
i primi due motivi sono rubricati, rispettivamente, “violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., nonché degli artt. 115,116,177,187,188,189,244 e 245 c.p.c., stante la limitazione a due soli testi da escutere a fronte della avvenuta ammissione delle circostanze dedotte invece indicanti distinti e diversi testi, con conseguente impossibilità di provare le medesime circostanze ammesse” e “nullità della sentenza per illogicità manifesta, avendo il giudice di merito dapprima rigettato prove ammissibili e rilevanti e poi ritenuto la domanda non provata” e sono accomunati in ricorso da una unitaria illustrazione (v. pagg. 19 – 25);
essi investono la sentenza nella parte in cui, come detto, ha disatteso la doglianza relativa alla mancata ammissione di altri testimoni;
l’illustrazione che ne è fatta in ricorso – come detto, unitaria – si sofferma però esclusivamente sulla prova per testi che era stata chiesta in primo grado sul capitolo 8) indicato nella memoria ex art. 183 c.p.c., il quale era così formulato: “Vero o no che la — era, all’epoca del sinistro, un tratto di strada aperto al traffico senza le necessarie autorizzazioni ed il preventivo collaudo”;
lamentano i ricorrenti che, da un lato, limitando il numero dei testi da escutere a soli due, il Tribunale aveva reso impossibile provare quella circostanza, di fatto privandola degli specifici testi per essa indicati e, dall’altro, aveva rigettato la domanda sul rilievo che parte attrice non aveva dato prova che il fatto si fosse verificato a causa delle condizioni del manto stradale, né, tantomeno, dell’omesso collaudo della strada ove è avvenuto l’incidente;
i motivi congiuntamente esaminabili si espongono a diversi rilievi di inammissibilità;
anzitutto le critiche prendono di mira le motivazioni della sentenza di primo grado e non quelle della sentenza d’appello, nemmeno precisando se quella motivazione del primo giudice fosse stata attinta da specifico motivo di gravame e con quali argomenti di critica;
in secondo luogo, sono gli stessi ricorrenti che riferiscono che quel capitolo di prova era stato espressamente espunto dal Tribunale, con ordinanza del 18/03/2015, dall’oggetto della prova per testi per il resto ammessa, in quanto ritenuto irrilevante “alla luce di quanto indicato nell’atto introduttivo”;
ciò posto, va ricordato che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e che va qui ribadito, “la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni poiché, diversamente, le stesse debbono intendersi rinunciate e non possono essere riproposte in appello; tale onere non è assolto attraverso il richiamo generico al contenuto dei precedenti atti difensivi, atteso che la precisazione delle conclusioni deve avvenire in modo specifico, coerentemente con la funzione sua propria di delineare con precisione il thema sottoposto al giudice e di porre la controparte nella condizione di prendere posizione in ordine alle (sole) richieste – istruttorie e di merito – definitivamente proposte” (Cass. n. 19352 del 03/08/2017; v. anche, in precedenza, Cass. n. 16290 del 04/08/2016);
tale onere non può dirsi assolto nel caso di specie attraverso il generico richiamo, che si dice effettuato nelle note conclusive del giudizio di primo grado, alla “ulteriore prova per testi, così come già articolata in atti e verbali di causa”;
in ogni caso, manca nella doglianza alcuna illustrazione della decisività del mezzo di prova di cui si lamenta la mancata ammissione, atteso che non è in alcun modo indicata l’efficacia causale che, nella dinamica del sinistro, si assume abbia avuto la circostanza posta ad oggetto del capitolo di prova (vale a dire l’essere stato il tratto di strada teatro dell’incidente “aperto al traffico senza le necessarie autorizzazioni ed il preventivo collaudo”), non essendo stato nemmeno specificamente indicato quali fossero le allegazioni iniziali poste a fondamento della responsabilità ascritta al Comune;
giova al riguardo rammentare che il provvedimento reso sulle richieste istruttorie e’, in astratto, censurabile, o per inosservanza di norme processuali o per vizio di motivazione, ma in tale secondo caso solo nei ristretti limiti nei quali è oggi deducibile secondo il ristretto paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
non può, in via di principio, essere posto in dubbio il rilievo che il diritto alla prova assume quale strumento di un effettivo esercizio del diritto di agire e difendersi in giudizio attraverso un giusto processo (artt. 24 e 111 Cost.; art. 6, p. 1, CEDU) di guisa che la sua violazione, ove per l’appunto si risolva in violazione anche di tali diritti-fine, è certamente censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;
una tale violazione e’, però, configurabile allorquando il giudice del merito rilevi decadenze o preclusioni insussistenti (cfr. Cass. 05/03/1977, n. 910) ovvero affermi tout court l’inammissibilità del mezzo di prova richiesto per motivi che prescindano da una valutazione, di merito, della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite;
ove invece ci si muova in tale seconda prospettiva, ancorché la decisione del giudice di merito si risolva pur sempre nel rifiuto di ammettere il mezzo di prova richiesto, non viene in rilievo una regola processuale rigorosamente prescritta dal legislatore ma piuttosto – come è stato rilevato – “il potere (del giudice) di operare nel processo scelte discrezionali, che, pur non essendo certamente libere nel fine, lasciano tuttavia al giudice stesso ampio margine nel valutare se e quale attività possa o debba essere svolta” (Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077);
in tal caso, “la decisione si riferisce, certo, ad un’attività processuale, ma è intrinsecamente ed inscindibilmente intrecciata con una valutazione complessiva dei dati già acquisiti in causa ed, in definitiva, della sostanza stessa della lite. Il che spiega perché siffatte scelte siano riservate in via esclusiva al giudice di merito e perché, quindi, pur traducendosi anch’esse in un’attività processuale, esse siano suscettibili di essere portate all’attenzione della Corte di cassazione solo per eventuali vizi della motivazione che le ha giustificate, senza che a detta Corte sia consentito sostituirsi al giudice di merito nel compierle” (Cass. Sez. U. n. 8077 del 2012, cit.);
la mancata ammissione della prova pone, dunque, in tale ipotesi, solo un problema di coerenza e completezza della ricostruzione del fatto in rapporto agli elementi probatori offerti dalle parti e può pertanto essere denunciata in sede di legittimità (solo) per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione (Cass. n. 20693 del 2015; n. 66 del 2015; n. 5377 del 2011; n. 4369 del 1999);
nel caso di specie si verte, evidentemente, in questa seconda ipotesi;
la riduzione del numero dei testi esprime, infatti, anch’essa un giudizio di irrilevanza (per ragioni di merito) della prova con essi richiesta, in quanto inutilmente sovrabbondante rispetto agli elementi offerti e/o acquisiti;
non può essere pertanto essa ad evidenziare un error in procedendo, tanto più nella specie, ove, come detto, l’illustrazione della censura rende evidente che non è il limitato numero dei testi che ne costituisce oggetto quanto la circostanza sulla quale i testi non ammessi avrebbero dovuto deporre ad essere stata ritenuta irrilevante;
il terzo e il quarto motivo sono così rispettivamente intitolati: “violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., nonché degli artt. 115,116,177,187,188,189 e 191 c.p.c. in riferimento alla mancata ammissione della CTU cinematica – ricostruttiva atta ad accertare la dinamica dell’incidente, le condotte di guida tenute nell’occorso da entrambi i conducenti il mancato rispetto delle norme del C.d.S. e/o di regole di diligenza e prudenza, in che misura e perché dette violazioni abbiano inciso sulla dinamica dell’incidente per appurare il grado di responsabilità di ciascuno dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro”; “Nullità della sentenza per illogicità manifesta, avendo il giudice di merito adottato un criterio illogico nella valutazione delle prove”;
anche tali motivi sono, a loro volta, considerati unitariamente nella successiva illustrazione (pagg. 26 – 36), la quale però si sostanzia nella formulazione di varie e diffuse considerazioni critiche sul merito degli accertamenti condotti e delle valutazioni espresse dal consulente della Procura, poste a base della decisione impugnata e, di conseguenza, nella affermazione secondo cui sarebbe stato, alla luce di tali limiti, necessario disporre una c.t.u. cinematica;
anche tali doglianze non possono dunque trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità;
la Corte d’appello ha motivato il rigetto della richiesta di c.t.u. in ragione della ritenuta irrilevanza della stessa alla luce degli elementi traibili dalla acquisita consulenza tecnica espletata in sede penale (la cui produzione – è appena il caso di ribadire – è ammissibile quale prova atipica nel processo civile, dove il contraddittorio è assicurato attraverso le modalità tipizzate per l’introduzione dei mezzi istruttori atipici nel giudizio, volte ad assicurare la discussione delle parti sulla loro efficacia dimostrativa in ordine al fatto da provare: v., da ultimo, Cass. n. 5947 del 28/02/2023);
tale motivazione non risulta pertinentemente attaccata dai motivi di ricorso, se non -come detto- alla stregua di mere contestazioni oppositive circa il merito e l’attendibilità degli accertamenti peritali condotti;
gli elementi che, a dire dei ricorrenti, non sarebbero stati adeguatamente considerati (v. ricorso pag. 32) non costituiscono fatti che solo una consulenza tecnica avrebbe fatto emergere, ma piuttosto circostanze riferite dai testi, o emergenti dai rilievi sui luoghi, che come tali risultano già comprese nel compendio degli elementi istruttori complessivamente considerato dai giudici di merito e motivatamente valutato inidoneo a giungere ad una diversa ricostruzione della relativa dinamica e delle responsabilità;
non viene invece indicato alcun fatto storico che, decisivo ai fini di una diversa ricognizione e valutazione della fattispecie concreta, sarebbe potuto emergere, con sufficiente grado di probabilità, solo da una c.t.u., apparendo piuttosto evidente il carattere meramente esplorativo della richiesta integrazione istruttoria;
la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è dedotta in modo del tutto generico e comunque certamente al di fuori dei paradigmi indicati dalla giurisprudenza di questa Corte, inaugurati da Cass. n. 11892 del 2016, ribaditi, in motivazione non massimata, ma espressa, da Cass., Sez. U., n. 16598 del 2016 e, quindi, ex multis, da Cass. Sez. U. n. 20867 del 2020, cui si rinvia;
tanto meno alcuna conferente illustrazione viene dedicata alla dedotta inosservanza delle altre numerose norme processuali evocate in rubrica;
il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
