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Cassazione 15 novembre 2018, n. 57788

Massima

La consapevolezza di trovarsi nelle mani un assegno ricettato che non avrebbe mai potuto andare a buon fine e l’averlo utilizzato compilandolo personalmente davanti al venditore della merce è condotta idonea ad integrare il raggiro della truffa, avendo, infatti, prodotto lo scopo di far ottenere al ricorrente la partita di merce senza pagarne il corrispettivo.

Supporto alla lettura

La truffa è un delitto caratterizzato da un dolo generico. Rileva pertanto la volontà di spingere qualcuno in errore, mediante una condotta che tragga in inganno cagionando un danno patrimoniale e traendone un ingiusto profitto.

Ambito oggettivo di applicazione

Per l’integrazione della truffa occorrono artifizi or aggiri; induzione in errore; atto di disposizione che comporti un danno di natura patrimoniale e per altro verso un profitto ingiusto.

RITENUTO IN FATTO

  1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Como del 26 maggio 2015 che aveva condannato il ricorrente alla pena di giustizia in relazione ai reati di ricettazione di un assegno.

di provenienza illecita e di truffa, per avere acquistato materiale tessile per oltre cinquemila euro utilizzando come mezzo di pagamento l’assegno ricettato. 2. Ricorre per cassazione Luigino Grassi, a mezzo del suo difensore, deducendo: violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente, avendo la Corte omesso di considerare l’assenza di artifici e raggiri idonei a configurare il reato di truffa, tale non potendo considerarsi la semplice consegna di un assegno per di più post-datato e l’assenza degli elementi costitutivi del reato di ricettazione, non essendo stato provato il reato presupposto e l’elemento psicologico in capo al ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato. 

1.La Corte di Appello, sia pure sinteticamente, ha sottolineato che il ricorrente aveva ottenuto una fornitura di materiale tessile da parte della persona offesa dal reato di truffa, pagando tale fornitura per mezzo di un assegno tratto da un conto corrente di una terza persona, Ruggeri Aurelio, che non era andato a buon fine. Il titolare del conto corrente dal quale era stato tratto l’assegno in possesso dell’imputato, aveva denunciato il fatto che la banca aveva spedito il carnet ad un indirizzo ove egli non aveva mai abitato ed a soggetto sconosciuto. Ne consegue, pertanto, che era stato correttamente individuato il reato di truffa commesso da ignoti, che avevano ottenuto e fatto circolare indebitamente gli assegni provenienti dal carnet del Ruggieri. Tale reato si pone come presupposto rispetto a quello di ricettazione contestato al ricorrente e serve a delineare uno degli aspetti oggettivi di tale ultima fattispecie, la provenienza da delitto del bene. La giurisprudenza di legittimità, condivisa dal collegio, ritiene che la responsabilità per il delitto di ricettazione non richiede l’accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, né dei suoi autori, né dell’esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l’esistenza attraverso prove logiche (Sez. 2, n. 29685 del 05/07/2011, Tartari, Rv. 251028), così come verificatosi nel caso di specie. 

  1. La sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di ricettazione, è stata descritta dalla Corte sottolineando la circostanza, non contestata, che il ricorrente avesse la disponibilità del titolo di provenienza illecita. L’elemento soggettivo, invece, è stato tratto dalla mancata giustificazione di tale possesso, che integra pacificamente il dolo del delitto di ricettazione, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità cui la Corte di merito ha aderito, poiché consente di ritenere provata la consapevolezza della provenienza delittuosa dei beni (da ultimo, Sez. 1, n.13599 del 13/03/2012, Pomella). In proposito, le giustificazioni sul possesso del titolo, che l’imputato avrebbe fornito e che sono contenute nel ricorso, non erano state indicate nell’atto di appello, sicché, presupponendo accertamenti di merito sottratti al sindacato di legittimità, esse non possono essere valutate in questa sede. 
  2. La consapevolezza di trovarsi nelle mani un assegno ricettato che non avrebbe mai potuto andare a buon fine e l’averlo utilizzato compilandolo personalmente davanti al venditore della merce, secondo quanto indicato nella sentenza impugnata, è condotta idonea ad integrare il raggiro della truffa, avendo, infatti, prodotto lo scopo di far ottenere al ricorrente la partita di merce senza pagarne il corrispettivo. Il risultato era stato raggiunto, a conferma del comportamento fraudolento adottato dal ricorrente, anche attraverso il rapporto di conoscenza che esisteva con il venditore e che il ricorrente aveva sfruttato, così come si evince dalla sentenza di primo grado, il cui contenuto si fonde con la motivazione della sentenza impugnata stante l’omogeneità del giudizio di condanna. Ne consegue che correttamente le sentenze di merito hanno ritenuto configurato il reato di truffa di cui al capo B). Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. 

P.Q.M. 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

 Sentenza a motivazione semplificata. 

Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 15.11.2018. 

Allegati

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