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Cassazione penale sez. V, 10/03/2025, n.9578

Massima

È affetta da nullità di ordine generale a regime intermedio la sentenza di non doversi procedere per la sussistenza di una causa di non punibilità adottata de plano dal giudice a seguito di richiesta del pubblico ministero formulata prima dell’esercizio dell’azione penale. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato la sentenza senza rinvio disponendo la restituzione degli atti al pubblico ministero onde consentire il rispetto del modulo procedimentale previsto dal legislatore che impone che la fase delle indagini si concluda o con l’esercizio dell’azione penale o con la richiesta di archiviazione).

 

Supporto alla lettura

PUNIBILITA

La punibilità si definisce come l’insieme delle eventuali condizioni, ulteriori ed esterne rispetto al fatto antigiuridico e colpevole, che fondano o escludono l’opportunità di punirlo. Ad esempio, l’art. 131-bis c.p. prevede l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto quando l’offesa è, per le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, particolarmente tenue e se il comportamento non è abituale.

Sulla base della teoria generale del reato, secondo la concezione tripartita (maggioritaria), l’ illecito penale si scompone in:

1) Il fatto : è l’insieme degli elementi oggettivi che individuano e caratterizzano ogni singolo reato come offesa a uno o più beni giuridici.

2) l’antigiuridicità: esprime il rapporto di contraddizione tra il fatto e l’ordinamento giuridico

3) la colpevolezza:  l’insieme dei requisiti dai quali dipende la possibilità di muovere all’agente un rimprovero per aver commesso il fatto antigiuridico ( dolo, colpa, dolo misto a colpa, assenza di scusanti, la conoscenza o la conoscibilità della legge penale violata)

Invero, alla luce della teoria quadripartita del reato, anche la punibilità assurgerebbe ad elemento costitutivo del reato anziché costituire una mera “normale conseguenza” del reato. In altri termini, ove la punibilità difetti per qualsiasi ragione, non sarebbe ravvisabile reato nonostante la compresenza degli altri elementi.

Le cause di esclusione della punibilità sono:

  • cause personali concomitanti di non punibilità:  alcune situazioni che attengono
    alla posizione personale dell’agente o ai suoi rapporti con la vittima; cause personali
    sopravvenute di non punibilità: comportamenti dell’agente susseguenti alla commissione
    del fatto antigiuridico e colpevole;
  • cause oggettive di non punibilità: situazioni che ineriscono all’entità dell’offesa;
  • cause di estinzione del reato: fatti naturali o giuridici successivi alla commissione del fatto antigiuridico e colpevole, che o sono del tutto indipendenti da comportamenti dell’agente o che non esauriscono in un comportamento dell’agente. Il legislatore rimette al giudice il compito di valutare l’opportunità di un’effettiva punizione dell’autore di un fatto antigiuridico e colpevole.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza impugnata è stata deliberata dal Giudice monocratico del Tribunale di Bergamo che, su istanza formulata ex art. 129 cod. proc. pen. dal pubblico ministero una volta terminate le indagini, ha prosciolto ex art. 131 -bis cod. pen. Ga.Kh., imputato del reato di cui agli artt. 477,482 cod. pen. per avere formato una falsa patente di guida italiana, apponendovi o facendovi apporre la propria fotografia e le proprie generalità; tale patente era stata mostrata dall’imputato ad agenti della Polizia stradale durante un controllo avvenuto il 13 febbraio 2020.

2. Ricorre avverso la predetta sentenza il Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia, che lamenta violazione degli artt. 129,469 e 529 cod. proc. pen. e 131-bis cod. pen.

Le ragioni di ricorso sono due.

2.1. La prima attiene all’irritualità della sentenza impugnata siccome pronunziata su richiesta del pubblico ministero e senza avere prima fissato udienza, in spregio agli insegnamenti di Sezioni Unite n. 12283 del 25 gennaio 2005.

2.2. La seconda, riguarda il giudizio di particolare tenuità perché:

– la contraffazione del documento, lungi dall’essere non particolarmente accurata, era invece idonea ad ingannare la pubblica fede;

– l’imputato stava guidando con il documento contraffatto ed era sprovvisto di patente di guida, creando pericolo per la pubblica incolumità.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere accolto.

1. È assorbente la fondatezza del primo motivo di ricorso, che deduce l’irritualità della pronunzia della sentenza ex art. 129 cod. proc. pen. al di fuori della sede propria, vale a dire quella del “processo”.

1.1. In ordine logico-giuridico è necessario precisare preliminarmente che il Collegio ha ritenuto il ricorso del Procuratore generale ammissibile siccome sorretto dal necessario interesse ex art. 568, comma 4, cod. proc. pen., dal momento che la parte ricorrente non pone solo la questione in rito, ma contesta l’ari della decisione avversata, in quanto non ritiene corretta la valutazione circa la particolare tenuità del fatto.

1.2. Venendo al vizio dedotto, l’esame degli atti del procedimento – possibile in ragione della natura processuale della censura – ha consentito di verificare che la sentenza impugnata è stata emessa dal Giudice monocratico de plano, richiamando l’art. 129 cod. proc. pen., a seguito di richiesta del pubblico ministero formulata prima dell’esercizio dell’azione penale, senza contraddittorio con l’indagato e al di fuori di qualsiasi modulo procedimentale previsto dal legislatore.

La pronunzia è, pertanto, affetta da nullità di ordine generale a regime intermedio ex art. 178, lett. b) e c) cod. proc. pen. perché non assunta nel contraddittorio delle parti. A questo riguardo, vanno richiamati gli insegnamenti di Sez. U, n. 12283 del 25/01/2005, De Rosa, Rv. 230529 – 01, che ha ben delineato la portata della regola di cui all’art. 129 cod. proc. pen., stabilendo che essa non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo liberatorio nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo – artt. 425, 469, 529, 530 e 531 stesso codice -, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che, operando in ogni stato e grado del processo, presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio. Particolarmente confacente al caso di specie è poi l’osservazione che pure si legge nella sentenza De Rosa, secondo cui: “L’operatività dell’art. 129, implicando comunque un accertamento sul fatto, presuppone necessariamente un’azione penale già esercitata e, pertanto, non può essere attivata nel corso delle indagini preliminari, proprio perché manca l’imputazione, la quale soltanto investe il giudice dei relativi poteri cognitivi e decisori sul fatto. Nella fase delle indagini preliminari, le situazioni ipotizzate dalla norma in esame trovano soluzione nel diverso istituto dell’archiviazione”.

In applicazione di questo principio, le Sezioni Unite hanno sancito la nullità di ordine generale ai sensi dell’art. 178, lett. b) e c) cod. proc. pen., della sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto pronunziata dal giudice dell’udienza preliminare, investito della richiesta del pubblico ministero di rinvio a giudizio dell’imputato, senza la previa fissazione dell’udienza in camera di consiglio.

L’applicazione al caso di specie – in cui addirittura la pronunzia si è collocata prima dell’esercizio dell’azione penale – del principio segnato dall’autorevole ed insuperato approdo di questa Corte comporta la necessità di annullare la sentenza impugnata al fine di consentire l’ulteriore corso del procedimento secondo la sua fisiologia, che avrebbe imposto, ai sensi dell’art. 407-bis cod. proc. pen., che la fase delle indagini preliminari si concludesse con uno degli unici due momenti terminativi previsti dal codice di rito, vale a dire l’esercizio dell’azione penale ovvero la richiesta di archiviazione, che, peraltro, ove fondata sulla ritenuta particolare tenuità del fatto, prevede l’attivazione del contraddittorio anche con l’indagato ex art. 411, comma 1 -bis cod. proc. pen.

È questa la ragione per cui all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata deve seguire non già la restituzione degli atti al Tribunale, ma al pubblico ministero, dal momento che, come già osservato, non vi è stato esercizio dell’azione penale e, quindi, è mancata l’unica, possibile modalità di transizione dalla fase delle indagini a quella del giudizio che il codice di rito conosce. Diversamente opinando – ossia rimettendo gli atti al Tribunale – si avallerebbe la deformazione della sequenza procedimentale voluta dal legislatore cui hanno dato luogo l’errore del pubblico ministero e del giudice monocratico, dando per avvenuto l’esercizio dell’azione penale; così peraltro determinando una mortificazione della possibilità dell’indagato di dimostrare l’assenza di responsabilità legata, da una parte, al difetto degli adempimenti prodromici alla citazione a giudizio – si pensi alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e alle possibilità sollecitatorie di cui all’art. 415-bis , comma 3, cod. proc. pen. – e, dall’altra, alla mancata possibilità della difesa di esercitare il contraddittorio a seguito della notifica del decreto di citazione a giudizio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone rimettersi gli atti al Procuratore della Repubblica di Bergamo per l’ulteriore corso.

Così è deciso in Roma, il 23 gennaio 2025.

Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2025.

Allegati

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