Massima

In tema di giudizio di legittimità, anche un solo precedente, se univoco, chiaro e condivisibile, integra l’orientamento della giurisprudenza della S.C. di cui all’art. 360 bis, n. 1, c.p.c., con conseguente dichiarazione di inammissibilità del relativo ricorso per cassazione che non ne contenga valide critiche.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione (artt. 360 e ss. c.p.c.) è un mezzo di impugnazione ordinario che consente di impugnare le sentenze pronunciate in unico grado o in grado d’appello, ma solo per errori di diritto, non essendo possibile dinanzi alla Suprema Corte valutare nuovamente il merito della controversia come in appello. Di solito è ammessa solo la fase rescindente in quanto il giudizio verte sull’accertamento del vizio e sulla sua eventuale cassazione, il giudizio rescissorio spetta al giudice di rinvio. Solo nel caso in cui non dovessero risultare necessari ulteriori accertamenti in cassazione, avvengono entrambi i giudizi.

La sua proposizione avviene nel termine (perentorio) di 60 giorni (c.d. termine breve), è previsto un ulteriore termine (c.d. lungo) che scade 6 mesi dopo la pubblicazione della sentenza.

Per quanto riguarda i motivi di ricorso l’art. 360 c.p.c dispone che le sentenze possono essere impugnate:

  • per motivi attinenti alla giurisdizione,
  • per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
  • per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
  • per nullità della sentenza o del procedimento;
  • per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Inoltre può essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale se le parti sono d’accordo per omettere l’appello (art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.), mentre non sono immediatamente impugnabili per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, in questo caso il ricorso può essere proposto senza necessità di riserva quando sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente il giudizio.

Il ricorso per cassazione è inammissibile (art. 360 bis c.p.c) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, oppure quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.

A pena di inammissibilità sono previsiti determinati requisiti di forma:

  • la sottoscrizione da parte di un avvocato iscritto in apposito albo e munito di procura speciale;
  • l’indicazione delle parti;
  • l’illustrazione sommaria dei fatti di causa;
  • l’indicazione della procura se conferita con atto separato e dell’eventuale decreto di ammissione al gratuito patrocinio;
  • l’indicazione degli atti processuali, dei contratti o accordi collettivi o dei documenti sui quali si fonda il ricorso;
  • i motivi del ricorso con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano.

Il ricorso va depositato, a pena di improcedibilità, entro 20 giorni dall’ultima notifica fatta alle parti contro le quali è proposto.

Chi intende resistere al ricorso per cassazione può depositare controricorso e deve essere fatto entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso, insieme agli atti e ai documenti, e con la procura speciale se conferita con atto separato.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTO E DIRITTO

rilevato che:

(omissis) e (omissis) ricorrono, affidandosi ad un motivo e con atto notificato il 02/01/2017, per la cassazione della sentenza della corte di appello di Palermo n. 1909 del 19/10/2016, di reiezione dell’appello proposto da loro e da (omissis) avverso la reiezione, da parte del tribunale di Agrigento, dell’opposizione da loro dispiegata contro il precetto per Euro 171.570,87 (oltre interessi e spese), notificato da Aspra Finance spa e fondato su decreto ingiuntivo n. 107 del 1983 di quell’ufficio giudiziario in favore del Banco di Sicilia, dante causa di essa precettante;

per l’intimata – che nelle more del giudizio ha ceduto il credito ad Arena NPL One srl – si costituisce la procuratrice della cessionaria, DoBank spa (già Unicredit Credit Management spa), protestando l’irrilevanza della tardività della notifica del suo controricorso (avvenuta peraltro il 10/02/2017) alla luce della nullità della notifica del ricorso, eseguita al domicilio indicato in precetto (via (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. Giuseppe Piazza, il 02/01/2017) e quindi non a quello, unico ad essere corretto, del procuratore costituito in appello (risultante, dall’intestazione della sentenza di secondo grado, in via (OMISSIS) presso lo studio dell’avv. Giuseppe Caruso);

è formulata proposta di definizione – per manifesta infondatezza – in camera di consiglio ai sensi del primo comma dell’art. 380 bis c.p.c., come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

la controricorrente deposita memoria ai sensi del medesimo art. 380 bis, comma 2, ultima parte;

considerato che:

il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata;

va preliminarmente rilevato che la notifica del controricorso pare tempestiva, siccome avvenuta il 10/02/2017 in relazione ad un ricorso per cassazione notificato, sia pure in effetti ad un domicilio non corretto per la prevalenza dell’elezione di domicilio nel primo grado del giudizio ordinario di cognizione in cui si risolve almeno in fase di merito – senza più rilevanza dell’elezione di cui all’art. 480 c.p.c. – ogni opposizione esecutiva, il 02/01/2017; ad ogni buon conto, effettivamente la controricorrente avrebbe potuto beneficiare delle conseguenze della nullità della notifica del ricorso ai fini di sanare un’eventuale tardività della notifica del proprio atto difensivo davanti a questa Corte;

ciò posto, in disparte pure seri profili di inammissibilità del ricorso (difettando in esso un’adeguata rappresentazione dello svolgimento del processo e, soprattutto, la trascrizione degli atti pure indispensabili alla decisione, prima fra tutti l’ordinanza che aveva dichiarato l’estinzione della procedura esecutiva immobiliare n. 187/1985 r.g.e.), la questione di diritto agitata dalle odierne ricorrenti riguarda l’applicazione alla fattispecie del D.L. 17 marzo 1999, n. 64, art. 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 1999, n. 134: la quale è stata appunto risolta in senso sfavorevole alle ricorrenti dalla chiara pronuncia di Cass. 11/10/2006, n. 21733, invocata dalla stessa controricorrente;

si è in quella sede invero statuito che “per i procedimenti esecutivi immobiliari pendenti alla data dell’8 settembre 1998, anche se dichiarati estinti per effetto della L. 3 agosto 1998, n. 302, art. 1, (in deroga a quanto previsto dall’art. 2945 c.c., comma 3), l’effetto interruttivo della prescrizione – ai sensi del D.L. 17 marzo 1999, n. 64, art. 1 bis, convertito, con modificazioni ed integrazioni, dalla L. 14 maggio 1999, n. 134, rimaneva fermo fino alla dichiarazione di estinzione ed il nuovo periodo di prescrizione iniziava a decorrere dalla data di tale dichiarazione, quale che fosse stata la sua ragione”;

nessun argomento nuovo è stato arrecato dalle ricorrenti, che acriticamente ripropongono la tesi della necessità, ai fini dell’eccezionale operatività dell’effetto interruttivo previsto dall’art. 2945 c.c., comma 3, anche per i procedimenti esecutivi immobiliari dichiarati estinti, della diligenza del creditore e quindi almeno del deposito della c.d. documentazione ipocatastale: avverso la quale è tuttavia qui sufficiente richiamare l’elaborazione dell’eccezionale istituto come operata nel precedente di questa Corte, in ogni caso perchè rivolto a neutralizzare i potenziali effetti negativi per i creditori dalla rilevante innovazione normativa consistente nell’introduzione di un regime di ufficioso rilievo di condotte inerti dei creditori quali causa di un’estinzione della procedura, contrario alle – benché non condivisibili – prassi interpretative in genere applicate negli uffici giudiziari italiani nei decenni precedenti;

pertanto, qualunque procedimento esecutivo immobiliare, sol che pendesse – come è pure pacifico che succedeva nella specie, trattandosi di pignoramento del 1987 – al dì 08/09/1998, avrebbe comportato l’eccezionale effetto dell’interruzione-sospensione dell’ordinario termine di prescrizione del credito azionato anche in ipotesi di declaratoria di estinzione, per qualunque causa questa fosse stata pronunciata;

la gravata sentenza si sottrae pertanto alle critiche ad essa mosse;

vi è da aggiungere, solo quanto a tale limitato profilo non condividendo il Collegio la proposta del relatore, che la formulazione del ricorso senza presa di posizione sul precedente richiamato integra un’ipotesi di inammissibilità;

infatti, la presenza di un precedente di legittimità, quand’anche unico e perfino remoto, ma univoco e chiaro (ed a maggior ragione, benchè tanto non sia affatto indispensabile, quando pacifico nel panorama della scienza giuridica nazionale) è idonea a fare ritenere la sussistenza di un orientamento interpretativo da qualificarsi consolidato, visto che non si è mai evidentemente apprezzata la necessità di rimetterlo in discussione: e tanto costituisce a sua volta il valido presupposto, beninteso se condiviso dal Collegio cui esso è sottoposto nuovamente, dello scrutinio imposto oggi dall’art. 360 bis c.p.c., n. 1;

pertanto, ove invece detto orientamento sia stato totalmente pretermesso da parte ricorrente, ricorre l’ipotesi di inammissibilità di cui alla norma appena richiamata: questa dovendo ormai interpretarsi alla stregua di Cass. Sez. U. 21/03/2017, n. 7155, secondo la quale “in tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348 bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi inconsistenti”;

deve allora applicarsi il seguente principio di diritto: “in tema di ricorso per cassazione, anche un solo precedente, se univoco, chiaro e condivisibile, integra l’orientamento della giurisprudenza della Corte di legittimità cui si sia conformata la pronuncia gravata ed in mancanza, nel ricorso, di valide critiche al quale il ricorso stesso va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1”;

il ricorso non va allora rigettato per manifesta infondatezza, ma dichiarato inammissibile: a tanto ben potendosi provvedere, nonostante la proposta del relatore nel primo senso, in presenza comunque di una delle fattispecie integranti il presupposto per la pronuncia con il rito qui seguito, disciplinato dall’art. 380 bis c.p.c., cioè di una di quelle disciplinate dall’art. 375 c.p.c., anche dopo la richiamata novella del 2016;

alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna delle ricorrenti, soccombenti e tra loro in solido per l’evidente pari interesse in causa, alle spese in favore della controricorrente;

infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna le ricorrenti, tra loro in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso da loro proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2018

Allegati

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