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Cassazione civile sez. III, 23/05/2024, n. 14510

Massima

La valutazione del giudice del merito sulla rilevanza causale esclusiva della condotta del danneggiato costituisce un tipico apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità, ove scevro – come nella specie – da quei soli vizi logici o giuridici ancora rilevanti ai fini del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., tra cui l’apparenza della motivazione per manifesta fallacia o falsità delle premesse od intrinseca incongruità o inconciliabile contraddittorietà degli argomenti (fattispecie in tema di giudizio per il risarcimento dei danni da caduta a causa di una strada azionato ex art. 2051 e 2043 c.c.).

Supporto alla lettura

Responsabilità cose in custodia

La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto. pertanto, ai fini della responsabilità delle cose in custodia è sufficiente la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità fra cosa in custodia e danno.

Ambito oggettivo di applicazione

…omissis…

Fatti di causa

So.An. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Sassari l’ANAS, chiedendo la condanna dell’ente convenuto al risarcimento dei danni (che quantificava in Euro 169.444 salvo diversa somma oltre interessi) derivatigli dalle lesioni patite per effetto di una caduta occorsagli in data 9 settembre 2015, allorquando, verso le 7,00 del mattino, mentre stava percorrendo a bordo della sua bicicletta la S.S. 131, giunto all’altezza del km. 209, era rovinato al suolo per essere rimasta la ruota anteriore del mezzo incastrata in un dislivello allungato, presente sul manto stradale, non segnalato e non visibile. Invocava a tale fine la responsabilità ex art. 2051 e 2043 c.c. dell’ANAS, quale proprietario e soggetto responsabile della manutenzione del tratto stradale, teatro del sinistro.

Si costituiva l’ANAS, contestando la verificazione del sinistro, come descritto in citazione, e comunque la sua derivazione causale dalle condizioni della strada, che, a suo dire, era priva di qualsiasi insidiosità. Rilevava altresì che il tratto stradale, su cui l’attore sarebbe transitato, fosse all’epoca dei fatti interdetto al traffico, con la conseguenza che il passaggio dei veicoli era consentito unicamente sulla corsia di sorpasso; e che, prima del punto, teatro del sinistro, erano presenti cartelli stradali, che indicavano una condizione di pericolo della strada. Contestava anche la quantificazione dei danni, dei quali invitava controparte ad offrire rigorosa prova.

Il giudice di primo grado, istruita la causa con prove documentali e testimoniali, con sentenza n. 1882/2019, rigettava la domanda attorea regolando secondo soccombenza le spese di lite. In particolare, fondava il rigetto della domanda attorea ex art. 2051 c.c. sulla carenza di prova del nesso di causalità tra evento e cosa custodita, in quanto non era stato possibile, alla luce dell’istruttoria testimoniale svolta, dichiarare con certezza che il So. fosse caduto dalla bicicletta a causa della buca presente sul manto stradale. Al riguardo, il tribunale evidenziava che l’unico teste escusso, che aveva assistito ai fatti dalla sua posizione di guida del veicolo in fase di sorpasso della bicicletta, aveva soltanto potuto vedere il mezzo barcollare e poi cadere, ma non anche il fatto che la ruota anteriore si fosse incastrata sul dislivello del manto stradale determinando la perdita di equilibrio del conducente del velocipede: detto teste, dunque, non aveva potuto percepire e così riferire quali fossero le effettive cause della caduta né correlarle alle condizioni di dissesto del selciato sicché, in difetto di prova di tale nesso causale, nemmeno era possibile escludere che la caduta fosse dipesa da altre cause, come un capogiro dell’attore o una maldestro o errato movimento del manubrio. L’assenza di prova del nesso causale precludeva anche l’accoglimento della domanda anche ex art. 2043 c.c. rendendo superfluo l’esame delle altre questioni, cui erano riferite le prove orali di parte convenuta.

Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello il So., deducendo: a) l’illogica e contraddittoria motivazione in relazione all’istruttoria e al fatto storico siccome dimostrato dalla prova testimoniale espletata; b) l’erronea mancata ammissione di consulenza tecnica, utile anche in punto di accertamento del nesso causale poiché avrebbe consentito di valutare la compatibilità delle lesioni riportate dal So. con la caduta derivata dall’arresto improvviso delle ruote nella buca stradale.

Si costituiva ANAS Spa, contestando i motivi di appello, eccependone l’inammissibilità e, nel merito, l’infondatezza. In via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento delle avverse richieste, chiedeva accertarsi la misura di responsabilità dell’attore nella causazione dell’evento dannoso e, per l’effetto, diminuire l’ammontare del risarcimento a carico di esso ex art. 1227 c.c. In via subordinata istruttoria, insisteva in tutte le proprie richieste istruttorie, già ammesse dal giudice di primo grado con ordinanza 10 aprile 2019 (poi revocata dall’ordinanza del 29 ottobre 2019), con modifica dell’ordinanza 3.12.2020 della corte territoriale.

La Corte d’appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari, con sentenza n. 274/2021, rigettando l’appello, confermava la sentenza del giudice di primo grado, pur seguendo un differente percorso argomentativo, e condannava parte appellante alla rifusione delle spese processuali relative al grado.

Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso il So..

Ha resistito l’ANAS con controricorso e, in via subordinata, nel caso di accoglimento del ricorso, ha chiesto, previa escussione dei testi, accertarsi la misura di responsabilità del So. nella causazione dell’evento dannoso, con conseguente contenimento dell’onere risarcitorio da porsi a suo carico.

Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, ma i Difensori di entrambe le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive ragioni.

Il Collegio si è riservato il deposito della motivazione della decisione entro il termine di sessanta giorni.

Ragioni della decisione

1. Il So. – dopo aver rilevato che le ragioni di fatto che hanno condotto i giudici di merito al rigetto della sua domanda risarcitoria sono diverse (quanto alla dinamica del sinistro, al ruolo svolto dalla res ed ai presupposti della responsabilità), con conseguente inapplicabilità nella specie dell’art. 348 ter comma 5 c.p.c. – articola in ricorso cinque motivi.

1.1. Con il primo motivo (pag. 9) parte ricorrente denuncia: “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1227,2051,2697,2727,2728 e 2729 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c.), in relazione all’art. 360,1 comma, n. 3) c.p.c., e motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria sull’assolvimento dell’onere della prova e l’accertamento del nesso causale, in riferimento all’art. 360,1 comma, n. 5) c.p.c.”.

Censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale, ritenuta l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. (pag. 3, riga 30), pur ritenendo “provata la dinamica del sinistro” (pag. 4, riga 22), e la caduta “a causa del dissesto” (pag. 4, riga 24), “sicché agevolmente poteva essere ricavato il nesso causale materiale tra res ed evento” (pag. 4, righe 31 – 32), gli ha rimproverato di non aver provato di aver adottato “quella cautela che in situazioni analoghe sarebbe stato normale attendersi” (pag. 5, righe 12 – 15), ed anzi di essere venuto meno a “quel dovere di ragionevole cautela, …, che ove adottato … sarebbe stato idoneo a scongiurare l’evento, talché può dirsi che la caduta sia occorsa a causa della mera imprudenza del danneggiato e sia unicamente da ascrivere alla sua condotta risultata da sola idonea ad interrompere il nesso causale riducendo la res a mera occasione dell’evento lesivo” (pag. 5, righe 20 – 25).

Sostiene ch e la corte territoriale, così decidendo, non ha rispettato i principi di diritto richiamati in sentenza: invero, da un lato, ha imposto al danneggiato di provare non soltanto le condizioni peculiari della cosa ma anche il fatto che la caduta era stata determinata dalla mancata adozione del “dovere di ragionevole cautela”; e, dall’altro, ha esonerato ANAS dall’onere di offrire la prova del caso fortuito.

Osserva che la corretta disamina della vicenda oggetto della sentenza impugnata richiedeva di accertare (essendo pacifica la derivazione del danno dalla presenza di un dissesto stradale): a) se lo stato dei luoghi avesse o meno una potenzialità lesiva autonoma capace di porsi quale causa esclusiva dell’evento; b) se la condotta della vittima avesse assunto i caratteri dell’abnormità necessaria per interrompere il nesso causale ovvero se avesse o meno concorso a cagionare l’evento.

Stigmatizza che ANAS, quale proprietario e responsabile della custodia e manutenzione della strada, non aveva segnalato la lunga e profonda buca, né si era adoperato a porvi rimedio, creando una situazione di ingannevole sicurezza, determinata dall’insidia ivi presente, e non ne aveva garantito all’utente della strada l’utilizzo in condizioni di sicurezza.

In definitiva, secondo parte ricorrente, il giudice dell’appello, facendo corretta applicazione delle disposizioni denunciate, in riforma della sentenza di primo grado – che aveva accertato l’esistenza della buca non segnalata, ma non la caduta a causa della stessa (pag. 2, righe 25 – 35), e rigettato la domanda per la mancanza di prova del nesso causale (pag. 2, riga 36) – dopo aver correttamente ritenuto provato il nesso causale tra la cosa e l’evento dannoso (pag. 4, righe 31 – 33), in assenza di prova del caso fortuito, avrebbe dovuto disporre CTU medico – legale e condannare ANAS al risarcimento dei danni come provati e quantificati in corso di causa.

1.2. Con il secondo motivo (pag. 17), strettamente connesso al precedente, parte ricorrente denuncia: “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2051 c.c.), in riferimento all’art. 360,1 comma, n. 3) c.p.c., nonché motivazione contraddittoria in relazione all’efficienza causale del bene nella verificazione del danno, in riferimento all’art. 360,1 comma, n. 5 c.p.c.”.

Dopo aver censurato la sentenza impugnata nella parte che è già stata oggetto di censura con il motivo primo, sostiene che la corte territoriale ha violato il disposto dell’art. 2051 c.c., perché, essendo la strada un oggetto inerte, privo di un proprio dinamismo, può dirsi potenzialmente dannosa o pericolosa quando la sua conformazione o condizione conferisca al suo percorso “un rischio di caduta” superiore alla media.

Aggiunge che tanto nel caso di specie era stato dimostrato per la mancanza di presidi di sicurezza.

Si duole che, assenza di prova del caso fortuito da parte di ANAS, la motivazione sul punto sia stata illogica e contraddittoria.

Sostiene che la corte territoriale, dando corretta applicazione ai principi richiamati, accertata l’esistenza del dissesto del manto stradale e la caduta a causa dello stesso (pag. 4, righe 22 – 24), avrebbe dovuto dichiarare ANAS unico ed esclusivo responsabile del sinistro, quale proprietario e responsabile della custodia e manutenzione della strada, il quale non aveva segnalato il dissesto, né si era adoperato a porvi rimedio, creando una situazione di ingannevole sicurezza, non garantendone l’utilizzo in condizioni di sicurezza.

1.3. Con il terzo motivo (pag. 26) parte ricorrente censura la sentenza per “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1227, 2051, 2697, 2727, 2728 e 2729 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c.), in riferimento all’art. 360,1 comma, n. 3) c.p.c.”.

Censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale, ritenuta l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. (pag. 3, riga 30), pur ritenendo “provata la dinamica del sinistro” (pag. 4, riga 22), e la caduta “a causa del dissesto” (pag. 4, riga 24), “sicché agevolmente poteva essere ricavato il nesso causale materiale tra res ed evento” (pag. 4, righe 31 – 32), ha riversato sul danneggiato l’onere di dimostrare di aver anche adottato “quel dovere di ragionevole cautela, …, che ove adottato … sarebbe stato idoneo a scongiurare l’evento, talché può dirsi che la caduta sia occorsa a causa della mera imprudenza del danneggiato e sia unicamente da ascrivere alla sua condotta risultata da sola idonea ad interrompere il nesso causale riducendo la res a mera occasione dell’evento lesivo” (pag. 5, righe 2025), pur avendo affermato che la difesa di ANAS si era “piuttosto incentrata a negare l’esistenza di una insidia o trabocchetto, e sulla negazione di intrinseca pericolosità della irregolarità stradale valorizzando il principio di autoresponsabilità del danneggiato” (pag. 4, righe 29 – 31).

Sostiene che la corte territoriale, così contraddittoriamente motivando, ha fatto violazione e falsa applicazione di norme di diritto imponendo al danneggiato l’onere di provare una condotta di guida adeguata alle condizioni della strada in assenza di prova del caso fortuito, ivi compresa la colpa del danneggiato, da parte di ANAS.

1.4. Con il quarto motivo (pag. 31) parte ricorrente censura la sentenza per la violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4 c.p.c., e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. e dunque la nullità della sentenza, per irriducibile contraddittorietà ed illogicità.

Censura la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale, ritenuto applicabile l’art. 2051 c.c. (pag. 3, riga 30), ritenuta “provata la dinamica del sinistro” (pag. 4, riga 22), come pure la caduta “a causa del dissesto” (pag. 4, riga 24), “sicché agevolmente poteva essere ricavato il nesso causale materiale tra res ed evento” (pag. 4, righe 31 – 32), ha compiuto l’errore di rilevare d’ufficio il “caso fortuito”, esonerandone ANAS, ed imponendo al danneggiato l’onere di provare l’assenza di eventi interruttivi del nesso di causalità.

Osserva che detto errore è stato macroscopico ed ha avuto una influenza decisiva sulla ricostruzione del fatto e, quindi, sull’applicazione della norma di diritto.

1.5. Con il quinto motivo (pag. 35) parte ricorrente censura la sentenza per la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c. e artt. 1227, 2051, 2697, 2727, 2728 e 2729 c.c.): motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria sull’assolvimento dell’onere della prova in relazione alla richiesta di ammissione della CTU medico – legale”.

Sottolinea che la richiesta di ctu medico legale era stata da lui formulata in sede di atto introduttivo, note conclusionali di primo grado, atto di appello e successive note di trattazione scritta per valutare la nature e l’entità delle lesioni subite, il nesso eziologico e la congruità delle spese sostenute.

Sostiene che la corte territoriale, facendo corretta applicazione dell’art. 2051 c.c., in assenza di prova del caso fortuito, avrebbe dovuto disporre CTU medico-legale e condannare ANAS Spa, in persona del legale rappresentante in carica, al risarcimento dei danni come provati e quantificati in corso di causa.

2. Il ricorso è infondato.

2.1. In parte inammissibili e in parte infondati sono i primi quattro motivi, che, in quanto connessi, sono qui trattati congiuntamente.

A) I motivi sono inammissibili nella parte in cui evocano la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. al di fuori del paradigma elaborato da questa Corte.

Al riguardo, si rileva che, come le Sezioni Unite hanno precisato (ad es., con sent. n. 16598/2016), per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c..

D’altra parte (tra le tante, Sez. U. n. 34474/2019, con richiami pure a Cass. n. 13960/2014, ovvero a Cass. n. 26965/2007), la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento.

Nulla di tutto questo nel caso di specie, nel quale il ricorrente, richiamando l’art. 115 c.p.c., si duole sostanzialmente che il giudice ha valutato le prove attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 cod. proc. civ., che non a caso è dedicato alla valutazione delle prove; Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598), mentre, richiamando l’art. 116 c.p.c., si duole sostanzialmente che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, essendo tale censura consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014, vizi che nella specie non ricorrono.

B) I motivi sono infondati nella parte in cui deducono la violazione e comunque la falsa applicazione da parte della corte territoriale dei principi in materia di responsabilità per danni da cose in custodia.

Invero, questa Corte, con ordinanza 01/02/2018, n. 2482 (e, nello stesso senso, con ordinanze nn. 2479 e 2480 del 2018) ha avuto modo di precisare che: “In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro”.

Tale principio di diritto è stato successivamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 27724/2018; n. 20312/2019; n. 38089/2021; n. 35429/2022; nn. 14228 e 21675/2023), anche a Sezioni Unite (Cass. n. 20943/2022).

In particolare, “inesatta interpretazione” che, ai sensi dell’art. 65 ord. giud., le Sezioni Unite hanno dato dell’art. 2051 c.c., per quanto qui rileva, può così riassumersi (Cass. n. 8346/2024):

a) la responsabilità del custode è esclusa dalla prova del “caso fortuito”;

b) il caso fortuito può consistere in un fatto naturale, in una condotta d’un terzo estraneo tanto al custode quanto al danneggiato; del terzo, in un comportamento della vittima;

c) se il caso fortuito è consistito in un fatto naturale o del terzo, esso in tanto esclude la responsabilità del custode, in quanto sia oggettivamente (e cioè per qualunque persona, e non solo per il custode) imprevedibile ed inevitabile;

d) se il caso fortuito è consistito nella condotta della vittima, al fine di stabilire se esso escluda in tutto od in parte la responsabilità del custode debbono applicarsi i seguenti criteri: d’) valutare in che misura il danneggiato avrebbe potuto prevedere ed evitare il danno; d”) valutare se il danneggiato ha rispettato il “generale dovere di ragionevole cautela”; d”’) escludere del tutto la responsabilità del custode, se la condotta del danneggiato ha costituito una evenienza “irragionevole o inaccettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale”; d””) considerare irrilevante, ai fini del giudizio che precede, la circostanza che la condotta della vittima fosse astrattamente prevedibile.

Nel solco tracciato dalla richiamata giurisprudenza, ancor più di recente è stato statuito (Cass. n. 11152 e n. 33074/2023; n. 8346/2024) che la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva – in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode – e può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 c.c. (bastando la colpa del danneggiato: Cass. n. 21675/2023; n. 2376/2024) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e non prevenibilità rispetto all’evento pregiudizievole.

Di tali principi di diritto ha fatto buon governo nel caso di specie la corte territoriale, che – dopo aver accertato in fatto (sulla base della dichiarazione resa da un testimone oculare, nonché dei rilievi fotografici in atti, raffiguranti il dissesto del manto stradale, ed in difetto di specifiche contestazioni sul punto; o comunque, in definitiva, con apprezzamento qui incensurabile) che il So., mentre percorreva con la bicicletta il tratto di strada sulla statale 131, era caduto all’altezza del Km 209 a causa del dissesto ivi presente – ha in primo luogo ritenuto provato il nesso causale materiale tra res ed evento, compito da assolvere anche d’ufficio.

La corte territoriale, ritenuta la sussistenza del nesso causale tra la res e l’evento, è passata ad esaminare se detto nesso fosse stato o no eliso dalla condotta colposa del soggetto danneggiato. In tale prospettiva, ha considerato che: a) l’incidente era avvenuto alle ore 7 del mattino del mese di settembre in condizioni di illuminazione naturale e giornata serena, quindi in buone condizioni di visibilità; b) il tratto di strada, interessato dal sinistro, era inibito al transito di qualsiasi mezzo, per esservi lavori in corso (opportunamente segnalati); c) la visibilità dei segnali di lavoro in corso e di interdizione al traffico del tratto di strada, non risultava occultata dalla presenza di ingombri o ostacoli (macchinari ovvero vegetazione). E, sulla base di tali circostanze (e in particolare del fatto che il tratto stradale era inibito al transito per lavori in corso), ha ritenuto che, al momento del sinistro, era del tutto prevedibile una situazione di dissesto o irregolarità del manto stradale.

In definitiva, la Corte – non accollando a carico del danneggiato alcun innecessario onere di diligenza, ma escludendo positivamente che lo stesso avesse adottata la necessaria diligenza normalmente esigibile in relazione allo stato dei luoghi, la prova del quale ha tratto dal materiale istruttorio acquisito – ha ritenuto che “le condizioni dei luoghi, la intrinseca staticità dell’anomalia, le buone condizioni di visibilità, la assenza di ostacoli e di ingombri in loco ad occultare sia la presenza del dissesto, sia la presenza di segnaletica di inibizione al transito nella corsia, siano tutti elementi che imponevano al danneggiato quel dovere di ragionevole cautela, …, che ove adottato -ad esempio inducendolo a transitare ove consentito quindi nell’altra corsia per evitare il rischio prevedibile di incorrere in avvallamenti, buche o irregolarità della strada derivanti dai lavori in corso – sarebbe stato idoneo a scongiurare l’evento, talché può dirsi che la caduta sia occorsa a causa della mera imprudenza del danneggiato e sia unicamente da ascrivere alla sua condotta risultata da sola idonea a interrompere il nesso causale riducendo la res a mera occasione dell’evento lesivo, con conseguente esenzione dell’ente da ogni responsabilità sia ai sensi dell’art. 2051 c.c. sia, per le stesse ragioni, ai sensi dell’art. 2043 c.c.”.

Dalla corretta applicazione dei principi di diritto in materia da parte della corte territoriale discende la infondatezza dei motivi in esame, non senza ribadire che la valutazione del giudice del merito sulla rilevanza causale esclusiva della condotta del danneggiato costituisce un tipico apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità, ove scevro – come nella specie – da quei soli vizi logici o giuridici ancora rilevanti ai fini del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (tra cui l’apparenza della motivazione per manifesta fallacia o falsità delle premesse od intrinseca incongruità o inconciliabile contraddittorietà degli argomenti: Cass. 16502/17).

2.2. Il quinto motivo è inammissibile.

Il ricorrente inammissibilmente sostiene che erroneamente entrambi i giudici di merito avrebbe dovuto disporre CTU medico-legale sulla sua persona, avendo il giudice di primo grado financo escluso sulla base di altri elementi il nesso causale tra la res e l’evento dannoso ed avendo la corte territoriale ritenuto eliso detto nesso per effetto della condotta colposa del danneggiato: la decisione di disporre o meno una consulenza tecnica di ufficio, la quale non costituisce neppure un mezzo istruttorio in senso stretto, è normalmente incensurabile in cassazione.

3. Infine, una volta disatteso il ricorso, la richiesta, formulata dall’ente resistente in via subordinata nel controricorso, è insuscettibile di essere considerata ricorso incidentale (benché condizionato), per assoluto difetto di autosufficienza, ma è comunque assorbita dal rigetto del ricorso.

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).

5. Infine, per la natura della causa petendi, va di ufficio disposta l’omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle generalità e degli altri dati identificativi del ricorrente, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida in Euro 6.800 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1 – bis del citato art. 13, se dovuto; dispone che, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi del ricorrente.

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