Svolgimento del processo
Con atto notificato in data 22.12.75 la sig.ra (omissis), esercente in Napoli, sulla spiaggia di (omissis), uno stabilimento balneare con annessi bar – ristorante e locale da ballo, citò al giudizio del Tribunale di quella città la s.p.a, “(omissis)”, al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni, che lamentava aver subito per effetto delle immissioni di polveri provenienti dal vicino stabilimento industriale di quella società.
Costituitasi la convenuta, contestava il fondamento della domanda, eccependo comunque la prescrizione dei diritti risarcitori ex adverso vantati.
Nel corso del giudizio di primo grado all’attrice, deceduta, subentravano gli eredi (omissis), (omissis) e (omissis). Veniva espletata consulenza tecnica di ufficio, sulla scorta della quale e delle produzioni documentali con sentenza del 17.2.99 l’adito Tribunale, accogliendo per quanto di ritenuta ragione la domanda e tenuto conto dell’eccepita prescrizione, condannava la convenuta società al pagamento in favore degli attori della somma di 99.750.000, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme devalutate alla data della domanda, a titolo di risarcimento dei danni verificatisi dal 30.5.1966, avuto riguardo alla data, 30.5.1971, di una lettera costituente il primo atto interruttivo, come da ritenuta ammissione della stessa parte convenuta. Avverso tale sentenza proponeva appello la (omissis), lamentando, segnatamente, che la datazione dell’atto interruttivo era derivato da un errore materiale in cui era incorso il proprio precedente difensore, l’erroneità, sotto vari profili, del giudizio di intollerabilità delle immissioni e di rilevanza risarcitoria delle stesse, inadeguata applicazione dei criteri di contemperamento delle esigenze produttive con gli altri interessi dedotti in causa e della priorità dell’uso, nonchè, in subordine l’eccessività della somma riconosciuta alla parte attrice; resistevano gli appellati (dei quali era, nelle more, deceduta (omissis), in luogo della quale si costituivano gli eredi (omissis) e (omissis)), proponendo a loro volta appello incidentale in ordine alla quantificazione dei danni, ritenuta sotto vari profili ingiustamente riduttiva.
Con sentenza in data 24.4-11.7.2001 la Corte d’Appello di Napoli rigettava integralmente l’appello della (omissis), accoglieva il gravame incidentale, per il resto disatteso, limitatamente alla decorrenza degli interessi legali, sulle somme annualmente e gradualmente rivalutate, che fissava a partire dal 30.5.1966, e condannava l’appellante principale al rimborso alle controparti della metà delle spese del giudizio di secondo grado, che compensava per la parte rimanente. Le ragioni della suddetta decisione possono sintetizzarsi nei termini seguenti:
a) ammissione, in comparsa di risposta, dell’esistenza di un atto interruttivo della prescrizione, costituito da una lettera raccomandata del 30.5.71, che per il riferimento ad un preciso “fatto storico”escludeva ogni ipotesi di errore materiale, per confusione sulla data di notifica della citazione, commesso dal primo difensore della convenuta;
b) esistenza di immissioni, accertate dal Tribunale sulla scorta della consulenza tecnica condotta con metodo d’indagine convincente, di polveri provenienti dallo stabilimento industriale (omissis), superanti il limite della normale tollerabilità, pur tenendosi conto degli altri fattori ambientali, tra i quali l’apporto (nella misura del 10% circa) di emissioni provenienti da altri insediamenti industriali della zona;
c) non decisività, ai fini della valutazione di tollerabilità ex art. 844 c.c., dei parametri tecnici fissati dalla normativa (L. 615/66 e D.P.C.M. 28.3.83) sulle emissioni in atmosfera, tenuto conto della diversità degli interessi tutelati dalla norma civilistica e da quelle speciali;
d) non decisività del “preuso” (desumibile dalla circostanza che il P.R.G.E. di Napoli prevedesse fin dal 1938 la destinazione industriale della zona di (omissis), dove successivamente, nel 1948, erano state intraprese le attività imprenditoriali della parte attrice), trattandosi di criterio “facoltativo e sussidiario”, inidoneo ad escludere, pur nel quadro della necessaria valutazione comparativa tra gli interessi in conflitto, illiceità delle emissioni nella situazione di accertata intollerabilità;
e) sussistenza di danni, in concreto verificatisi per effetto di “invasione continuativa” con conseguenti depositi ed insinuazione anche all’interno dei fabbricati, da parte delle polveri industriali in questione, con “degrado degli immobili” e “decremento dell’attività imprenditoriale”, dovuto al progressivo allontanamento della clientela;
f) attendibilità della stima dei danni subiti dalla parte attrice ed ascrivibili alla (omissis), operata dal c.t.u, sulla base di criteri obiettivi utilizzanti le risultanze delle dichiarazioni dei redditi (con determinazione della percentuale di decremento del 20%, imputabile ai fatti dannosi in questione), pur tenendo conto della concomitanza di altri fattori esterni, di natura ambientale (il degrado generale del comprensorio e l’inquinamento del mare circostante) e congiunturale economica;
g) inammissibilità, perchè domanda nuova rispetto a quella iniziale, limitata ai “danni subiti”, della pretesa attrice relativa ai danni verificatisi successivamente all’anno 1982;
h) non spettanza del richiesto risarcimento del danno da “mancato ammortamento”, essendo stata “nella determinazione del reddito…considerata anche l’incidenza del manufatto facente parte dell’impresa”.
Avverso tale sentenza la (omissis) ha proposto ricorso per Cassazione deducente sei motivi Resistono i (omissis) – (omissis), con controricorso, contenente ricorso incidentale.
La (omissis) ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., avendo gli stessi ad oggetto la medesima sentenza.
Con il primo motivo del ricorso principale viene dedotta “violazione e falsa applicazione degli) artt. 1219, 2730, 2731, 2732 e 2944 cod. civ. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360, n.ri 3 e 5 c.p.c.).
Oggetto di censura è la valutazione, quale ammissione di un atto interruttivo della prescrizione, della menzione in comparsa di costituzione e rispostala parte del difensore in primo grado della società convenutaci una presunta lettera inviata alla (omissis) il 30.5.1971.
Si ribadisce, al riguardosa tesi dell’errore materiale (confusione sulla data di notificazione dell’atto di citazione), richiamando la successiva rettifica al riguardo operata dal legale e, comunque, si contesta che l’ipotizzata menzione, per la sua provenienza e genericità, potesse comportare l’ammissione, con rilevanza confessoria, di un atto formalmente idoneo ad interrompere il corso della prescrizione.
La doglianza non merita accoglimento, risolvendosi in una palese censura in fatto, nella parte in cui pone in discussione l’accertamento compiuto dai giudici di merito in ordine alla verificazione di un fatto storico ben individuato, costituito dalla ricezione da parte della convenuta società di una lettera raccomandata in data 30.5.1971 contenente la richiesta risarcitoria, la cui sussistenza è stata desunta dall’espressa ammissione contenuta nella comparsa di costituzione e risposta, nella quale la scelta di una ben precisa condotta difensiva, preliminarmente diretta a contenere temporalmente la pretesa ex adverso formulata (sulla rilevanza indiziaria delle ammissioni provenienti al difensore, ove non esulanti dalla linea difensiva assunta, v. Cass. lav. n. 7561/01), non poteva lasciare adito a dubbi in al riguardo. Risulta pertanto incensurabile, perchè palesemente esente da vizi logici, l’apprezzamento di merito con il quale si è respinto il motivo di gravame, disattendendo la successiva “rettifica” che la difesa convenuta, melius in re perpensa, aveva successivamente ritenuto di operare, prospettando la tesi dell’equivoco (peraltro prima facie implausibile, tenuto conto dell’oggettiva non confondibilità delle due date, 30.5.1971 e 22.12.1975) con gli estremi cronologici della notifica dell’atto introduttivo.
Nè coglie nel segno la censura, laddove sostiene, in subordine (ed introducendo in diritto una doglianza che non risulta esplicitata nei gradi di merito), che comunque non risulterebbero verificati la sussistenza, nella lettera in questione, degli estremi dell’atto interruttivo.
Al riguardo è sufficiente osservare che, ai sensi dell’art. 2943 co. 3 c.c., “la prescrizione è inoltre interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore…” e che, a termini dell’art. 1219 co. 1 c.c. “il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto”; sicchè, l’acclarata circostanza che la (omissis) avesse ricevuto una lettera raccomandata del 30.5.71 contenente la richiesta di risarcimento dei danni derivanti dalle immissioni in contestazione, come da espressa ed esaustiva ammissione della parte convenuta, esimeva il giudice di merito da ogni ulteriore indagine in ordine al tenore letterale della missiva, il cui essenziale contenuto era, inizialmente) pacifico e solo successivamente si è ritenuto di rimettere in discussione, con comportamento processuale che i giudici di merito hanno, nel corretto esercizio dei poteri discrezionali di merito conferiti dall’art. 116 c.p.c., ritenuto non attendibile ai fini della rimeditata tesi difensiva.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 844 c.c., con connesse carenze e contraddittorietà della motivazione, lamentandosi che i giudici di merito avrebbero del tutto ignorato, in tema di valutazione della tollerabilità delle immissioni da sostanze polverose sedimentose provenienti da impianti industriali, parametri tecnici fissati dalla legislazione speciale in materia, genericamente demandando al c.t.u. il compito di valutare tale tollerabilità a termini del codice civile, senza tener conto della specificità della problematica e dell’esigenza di certezza imponente, nel campo della produzione industriale, l’adozione di “parametri fissi”, aventi come riferimento quelli previsti dalla suddetta normativa, come sarebbe ormai ammesso dalla giurisprudenza nell’analoga materia dell’inquinamento acustico; in difetto di specifici parametri fissi di tollerabilità, stabiliti dal legislatore o elaborati dalla giurisprudenza, dovrebbero trovare necessaria applicazione quelli tecnici stabiliti dalla normativa in materia di inquinamento ambientale, nella specie dalla tab. 1^ A del D.P.C.M. 28.3.1983.
La censura è infondata, ponendosi in contrasto con il costante indirizzo, dal quale il collegio non ritiene di doversi discostare, della giurisprudenza di legittimità, univoca nell’escludere la necessaria applicabilità ai fini dell’art. 844 c.c. dei parametri fissati dalle norme speciali a tutela dell’ambiente, evidenziando la diversità dei campi di applicazione, in ragione dei differenti interessi rispettivamente protetti, della norma civilistica, posta preminentemente a tutela di situazioni soggettive privatistiche, segnatamente della proprietà, e di quelle speciali, dirette alla protezione di esigenze della collettività, di rilevanza pubblicistica. Ne consegue che i parametri da queste ultime fissate secondo la quale “l’invasione continuativa delle polveri prodotte dal cementificio costituiva un fenomeno certamente produttivo di effetti dannosi rilevanti.”, tanto più che tali effetti sarebbero stati solo ipotizzati “in via generale” e non anche concretamente riscontrati dall’ausiliare.
La censura, nella parte deducente l’omessa considerazione dell’occasionalità e casualità delle disfunzioni degli impianti, irrilevante, tenuto conto di quanto si è già precisato nell’esame del precedente motivo, circa la non decisività, ai fini del giudizio di intollerabilità ex art. 844 c.c., dei parametri fissati dalla legislazione ambientale;sicchè poco o punto rileva se il superamento dei limiti di accettabilità fissati dal D.P.C.M. 28.3.83 fosse stato dal c.t.u. riscontrato solo in occasione di quattro, sulle complessive ventisei misurazioni eseguite presso gli impianti, e quali fossero state, in tali particolari circostanze, le cause di tale superamento, essendo stata comunque, e sulla base di altri elementi e dei diversi criteri consentiti dalla norma civile, accertata l’intollerabilità, per intensità, frequenza, invasività e natura, delle immissioni alle quali era ordinariamente e sistematicamente soggetto lo stabilimento, con le annesse strutture ricettive, di proprietà attrice. Le considerazioni testè svolte comportano anche l’irrilevanza di un successivo profilo di censura, nel quale viene dedotta l’erroneità dei riferimenti normativi contenuti nelle relazione c.t.u., che avrebbe preso in considerazione, ai fini del riscontro degli occasionali limiti di accettabilità delle emissioni parametri normativi inattuali, in quanto contenuti nelle tabelle di cui al D.P.R. 322/71, superate da quelle, meno rigorose, di cui al citato D.P.C.M. La Corte di merito, nella formulazione del giudizio di intollerabilità delle immissioni, si è attenuta ad una dettagliata descrizione dei luoghi, evidenziante le condizioni di degrado ambientale e di rilevante disagio provocate dall’accumulo di polveri nella zona, segnatamente sull’immobile degli attori, particolarmente interessato per la sua prossimità allo stabilimento industriale, all’esito delle verifiche in loco eseguite con l’intervento deiconsulenti delle parti, in un periodo (ottobre 1980-aprile 1981) in cui erano già da tempo entrati in funzione dispositivi di depolverizzazione; nondimeno, anche in tale epocale emissioni della (omissis), ancorchè attenuate rispetto a quelle del passato, ancora “condizionavano pesantemente l’ambiente circostante…tenuto conto che le polveri si depositavano su auto, balconi, sui davanzali delle finestre, insinuandosi nelle case e costringendo a tenere chiuse porte e finestre; ricoprivano le superfici con strati aderenti”. Di fronte a dati di siffatta evidenza e gravità, acquisiti sul posto in contraddicono e, pertanto, vanamente confutati dall’appellante nella loro veridicità, la conferma del giudizio di intollerabilità delle immissioni e di sussistenza dei conseguenti effetti dannosi, tenente conto, a tal ultimo fine, anche della rilevata e modesta percentuale (del 10% circa) di apporto delle emanazioni provenienti da altri e più lontani stabilimenti industriali nella zona, risulta, in punto di fatto, adeguatamente motivato e, pertanto, incensurabile nella presente sede.
Irrilevante deve, ancora, ritenersi l’ultimo profilo di censura, nel quale si rinnova la doglianza relativa alla limitazione dell’indagine tecnica, relativa alla concentrazione atmosferica, alle sole “polveri sospese” (vale a dire a quelle di ridotto peso specifico che si depositano a notevole distanza dal luogo di emissione), tralasciando invece l’analoga misurazione relativa alle “polveri sedimentabili” (cioè di quelle che, per l’elevato peso specifico, si depositano in immediata prossimità alla fonte inquinante). Si è già evidenziatoci riguardo, che ai fini dell’art. 844 c.c. l’accertamento dei livelli di concentrazione atmosferica delle emissioni alla stregua dei parametri dettati dalla normativa di tutela ambientale, non è di decisiva rilevanza, essendo diversi i criteri ai quali deve attenersi il giudice civile nello stabilire se le immissioni siano o meno tollerabili, nell’ambito dei rapporti civilistici di vicinato;sicchè anche un riscontro de visu, ove i dati siano di obiettiva e rilevante evidenza, come quelli nella specie riportati nelle sentenze di merito, può essere sufficiente a fondare un giudizio d’intollerabilità delle immissioni.
A ciò aggiungasi che l’evidenziata immediata prossimità dello stabilimento industriale al complesso balneare rendeva, in punto di fatto, inconfutabile l’ascrivibilità dell’emissione alla (omissis) di quelle polveri il cui accumulo sistematico era statoci fatto, riscontrato sugli immobili di parte attrice, considerata l’attitudine, sulla quale particolarmente si insiste nel profilo di censura, all’immediato deposito delle polveri “sedimentabili” nelle vicinanze della fonte emissiva; sicchè il giudizio di merito al riguardose ha ritenuto di scarsa rilevanza la doglianza, si appalesa non omissivo e logicamente corretto.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 844 e 1227 c.c., con connesse carenze e contraddittorietà della motivazione, in riferimento alla mancata considerazione del criterio della priorità dell’uso, alla stregua del quale avrebbe dovuto tenersi conto, quanto meno agli effetti della partecipazione colposa della (omissis), alla determinazione dei fatti asseritamente dannosi, della circostanza che l’attrice aveva impiantato lo stabilimento balneare e, successivamente ampliato il relativo complesso, nonostante la consapevolezza della destinazione industriale della zona di (omissis), risalente al “piano regolatore” della città di Napoli del 1938, poi confermate nel successivo strumento urbanistico. Anche tali censure sono infondate.
Premesso che l’art. 844 c.c. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione (essenzialmente rilevanti agli effetti della concessione o meno, da parte del giudice, della tutela inibitoria), l’obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio, e che, ove tale ambito sia superato (come è già risultato accertato, dalla disamina e reiezione del primo e del secondo motivo), si è in presenza di attività illegittima, in presenza della quale non trova ragione di applicazione il criterio della priorità dell’uso e l’illiceità del fatto accertato rende l’azione inquadrarle nello schema generale di cui all’art. 2043 c.c. (v., tra le altre, Cass. 2^ n. 7411/92, n 1156/95), corretta deve ritenersi la considerazione, al riguardo formulata dalla corte di merito, che sulla base dell’accertata illiceità delle emissioni (che anche nelle zone a prevalente vocazione industriale, di fatto o correlate a destinazione urbanistica, anche se non sanzionagli con misure inibitorie, devono comunque essere contenute nei limiti di una ragionevole tollerabilità: v. Cass. 2^, n. 1226/93, n. 13334/99), ha ritenuto superfluo il ricorso al criterio del “preuso”. La discrezionalità del ricorso a siffatto criterio, riconosciuta dalla costante giurisprudenza di questa S.C. (v. per tutte sez. 2^, n. 161/96), in considerazione del chiaro dettato normativo (art. 844 co. 2 p. 2^) secondo il quale il giudice non deve, ma “può tener conto della priorità di un determinato uso…”), rende incensurabile la relativa scelta del giudice di merito, nella specie adeguatamente motivata, esimendo questa Corte dall’occuparsi dei profili di censura, conseguentemente irrilevanti, connessi ai concreti elementi urbanistici di riferimento e relativa risalenza, peraltro anche in fatto contestati (tenuto conto delle vicende attinenti alla validità del P.R.G. di Napoli del 1938, di cui è menzione negli scritti difensivi di parte controricorrente). Nè miglior sorte meritano le doglianze relative alla mancata valutazione, ai fini della determinazione del danno e della relativa quantificazione, di un assunto comportamento colposo da parte delle (omissis), per avere intrapreso quell’attività in zona già a marcata vocazione industriale ed averla continuata ed ampliatacene dopo che la (omissis) aveva iniziato la sua attività. E’ dato di fatto accertato nelle sentenze di merito, ed incontroverso, che l’attività della (omissis), debitamente autorizzata, ebbe legittimamente inizio (nel 1948), alcuni anni prima dell’insediamento in (omissis) dello stabilimento industriale (1952). In siffatto contesto, l’attrice, pur non potendo opporsi all’esercizio dell’attività industriale da parte della (omissis), aveva tuttavia ragione di presumere ed attendersi che la stessa, per quanto attiene alle emissioni, si sarebbe svolta nei limiti della normale tollerabilità, attenuati) ma non del tutto elisi, dalle esigenze della produzione;accertato, tuttavia, dai giudici di merito (come si è avuto modo di verificare in precedenza) che tali limiti sono stati largamente valicati, così dando luogo a condotta illecita da parte della convenuta, corretto deve ritenersi il giudizio della corte territoriale, nella parte in cui, sulla base del principio qui iure suo utitur, neminem laedit, ha ritenuto inconfigurabile alcun apporto concorsuale della parte offesa alla verificazione di un evento (i danni determinati dal superamento della soglia di normale tollerabilità ex art. 844 c.c.), determinato dalla violazione di legge posta in essere dalla controparte, a fronte della quale, in contraria ipotesi, la parte danneggiata, pur non essendo incorsa in alcuna violazione, di legge o di ordinaria prudenza, avrebbe dovuto solo arrendersi, astenendosi dal protrarre un’attività economica lecita e debitamente autorizzata.
Con il quinto motivo di ricorso vengono dedotte “violazione e falsa applicazione degli artt. 62, 191, 197 c.p.c. e artt. 844 e 2697 cod. civ.. Omessa, insufficiente contraddittoria motivazione.”. Le censure attengono alla stima del danno da lucro cessante, sulla base del criterio di capitalizzazione del reddito medio, che nella specie sarebbe del tutto ipotetico, privo di attendibilità, di concreti ed effettivi riscontri contabili non avrebbe tenuto adeguato conto dell’incidenza di altri fattori di decremento, ambientali e congiunturali economici. Trattasi di doglianze, essenzialmente ripetitive di quelle esposte in sede di appello in ordine alle quali la corte territoriale ha fornito adeguata motivazione, sulla scorta degli elementi desunti dalla consulenza tecnica di ufficio e dei conseguenti chiarimenti resi dall’ausiliare, risultanze che vengono poste in discussione dalla parte ricorrente sulla base di proprie diverse valutazioni di puro merito, non evidenzianti effettive carenze o illogicità della motivazione, che si è anzitutto basata, quanto alla determinazione della diminuzione del reddito, sulla comparazione tra i dati desunti da accertamenti fiscali, nel triennio 1966-68, con quelli emergenti dalle dichiarazioni dei redditi, non oggetto di diversi accertamenti (e da presumersi, pertanto, attendibili), nel triennio 1980-82: parametri di palese natura obiettiva, la cui scelta risulta incensurabile in questa sede. Nè è mancata la valutazione della percentuale di decremento del reddito ascrivibile alle altre fonti di inquinamento ambientale la cui determinazione, nella non modesta misura del 20%, tenendo conto comunque della maggiore vicinanza della (omissis) del complesso gestito dall’attrice, risulta anche ragionevole ed altrettanto incensurabile.
Quanto all’incidenza della generale “congiuntura economica”, il profilo di censura, come già rilevato in sede di merito, anche in questa sede non va al di là della generica deduzione assertiva. Con il sesto ed ultimo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 844 e 2043 c.c. con connessi (ma non specificamente indicati) carenze e vizi della motivazione, lamentandosi l’indebita concessione della rivalutazione monetaria di un credito, la cui natura indennitaria la escluderebbe.
La censura, già infondata nelle sue premesse teoriche, giacchè anche i crediti indennitari, a parte i casi eccezionali di liquidazioni rispondenti a predeterminati criteri normativi (come gli indennizzi da espropriazione per pubblica utilità et similia), essendo finalizzati alla reintegra del patrimonio leso, non sono soggetti al principio nominalistico, risulta comunque superata dalle considerazioni in precedenza esposte, circa la natura illecita delle immissioni, in concreto accertate, largamente eccedenti la normale tollerabilità, pur alla stregua del criterio di contemperamento delle esigenze della proprietà privata con quelle collettive della produzione, con conseguente natura risarcitoria del credito attribuito alla parte attrice, non escluso dall’avvenuta limitazione della domanda al solo ristoro patrimoniale. La scelta di natura processuale, dell’istante, di non estendere l’azione anche alle richieste inibitorie, non comporta sul piano sostanziale, alcuna incidenza agli effetti della qualificazione del credito riconosciutole, che in quanto correlato alla violazione del generale principio del neminem laedere, di cui all’art. 2043, ancorchè nella specie rinveniente i parametri di valutazione nel travalicamento dei limiti di lecito uso della proprietà dettati dall’art. 844 c.c., rimane comunque “di valore”.
Passando all’esame del ricorso incidentale, si rileva che, a parte alcune generiche doglianze, meramente riproduttive dei corrispondenti motivi di gravame disattesi dalla cortei territoriale con analitiche argomentazioni, non fatte oggetto di specifiche censure (quanto alla determinazione nella misura del 20% dell’apporto di fattori esterni alla riduzione del reddito alla questione dell’ammortamento del fabbricato, in realtà computato agli effetti del mancato reddito, all’inammissibilità della richiesta nuova, relativa ai danni successivi al 1982, correttamente disattesa ex art. 345 c.p.c., per essere stata la domanda iniziale espressamente limitata ai danni “subiti” e non anche estesa a quelli futuri e “subendi”), che non vanno al di là di semplici asserzioni di merito, l’impugnazione contiene una sola specifica censura, secondo la quale la Corte d’Appello, pur avendo riconosciuto la natura risarcitoria del credito, avrebbe incoerentemente ancorato la decorrenza della rivalutazione e degli interessi alla data della domanda giudiziale e non anche dall’evento.
La doglianza, frutto di erronea lettura del capo di decisione, è priva di fondamento, considerato:
a) che il primo giudice aveva condannato la convenuta al pagamento della somma di L. 99.750.000, oltre rivalutazione monetaria, nonchè interessi legali sulle somme “devalutate” con decorrenza dalla notifica dell’atto di citazione, avvenuta il 22.11.1975;
b) che la Corte d’Appello ha integrato e corretto tale statuizione, precisando che gli interessi legali decorrevano dal 30.5.1966, tenuto conto della limitazione dell’accoglimento della domanda a partire dal quinto anno anteriore al primo atto interruttivo della prescrizione.
Dalla lettura coordinata delle due disposizioni si rileva che alla (omissis) è stato correttamente attribuito, secondo gli ormai consolidati canoni giurisprudenziali in materia (v., in particolare, Cass. S.U. n. 1712/95, sez. 3^, n 492/01, n. 6590/02), il diritto al conseguimento di un risarcimento, costituito dalla somma capitale sopra indicata, incrementato dalla rivalutazione della stessa all’atto della decisione definitiva, con l’aggiunta degli interessi compensativi, applicati sul capitale, gradualmente rivalutato (anno per anno, secondo gli indici I.S.T.A.T), fino a pervenire all’importo finale comprensivo dell’integrale rivalutazione.
I ricorsi vanno, in definitiva, entrambi respinti.
Tenuto conto dell’esito complessivo della lite e della minore incidenza, nell’economia della stessa, dell’impugnazione incidentale, si reputa giusta, ex artt. 91-92 c.p.c., la parziale compensazione delle spese, come da dispositivo liquidate, con condanna della (omissis) alla rifusione della metà alla controparte.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, principale ed incidentale, li rigetta entrambi e condanna la ricorrente principale (omissis) al rimborso, in favore dei controricorrenti della metà delle spese del presente giudizio, che liquida, per l’intero in complessivi euro cinquemiladuecento, di cui cinquemila per onorari, oltre accessori di legge, e dichiara compensate per la restante metà.
Così deciso in Roma, il 8 giugno 2005.
Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2005.