• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. III, 08/02/2024, n. 3569

Cassazione civile sez. III, 08/02/2024, n. 3569

Massima

La condanna ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. può essere pronunciata dal giudice d’ufficio, anche in carenza di una specifica domanda di parte.

Supporto alla lettura

RESPONSABILITA’ AGGRAVATA

L’art. 96 c.p.c sanziona quel comportamento illecito della parte, poi risultata soccombente nel giudizio, che dia luogo alla c.d. “lite temeraria“, cioè quel comportamento della parte che nonostante sia consapevole dell’infondatezza della sua domanda o eccezione (mala fede), la propone ugualmente, costringendo la controparte a partecipare ad un processo immotivato.

Inoltre, viene sanzionata la mancanza di quel minimo di diligenza richiesta per l’acquisizione di tale consapevolezza (colpa grave).

La legge configura in tale comportamento una responsabilità aggravata, ossia una responsabilità che si aggrava in quanto, essendo fondata su un illecito, comporta l’obbligo di risarcire tutti i danni che conseguono all’aver dovuto partecipare ad un processo privo di fondamento alcuno.

Si tratta di un istituto posto a tutela dell’interesse di una delle parti a non subire pregiudizi a seguito dell’azione o resistenza dolosa o colposa dell’altra parte.

Ambito oggettivo di applicazione

…omissis…

Fatti di causa

L’avvocato De.An. difese in giudizio Ca.Fr., Ca.Is., Ca.Ma. e il padre delle stesse, Gi.Ca., in una causa per un incidente stradale, avvenuto il 19/04/2020 sull’autostrada A14, nel quale aveva perso la vita An.Ai., madre delle Ca. e moglie di Gi.Ca., a causa della malaccorta condotta di guida di Gi.Ca., marito di Ca.Fr., che aveva condotto fuori strada l’autovettura, assicurata da WW Assicurazioni Spa (poi UU Spa).

Nel corso della controversia, nella quale Ca.Fr. assunse la duplice veste di parte attrice e di convenuta, in quanto proprietaria dell’auto condotta dal coniuge, l’avvocato SS rappresentò che l’avvocato De.An. era stato radiato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di appartenenza.

All’udienza successiva Ca.Is. e Ca.Fr. Ca. si costituirono con il patrocinio dell’avv. SS mentre Ca.Ma. Ca. si costituì a mezzo dell’avv. PP.

Si costituì in giudizio pure De.An., a mezzo dell’avvocato PP, e chiese la condanna dei convenuti al pagamento delle spese in favore delle parti attrici, con distrazione in suo favore.

A seguito del decesso di Gi.Ca. e della costituzione di Ca.Fr., Ca.Is. e Ca.Ma., anche quali coeredi del padre, il Tribunale di Foggia dichiarò cessata la materia del contendere sulle domande delle attrici nei confronti dei convenuti per intervenuta transazione, compensando le spese di lite, e rigettò la domanda (dichiarandola inammissibile e infondata) del De.An., condannandolo alle spese di lite in favore della UU Spa nonché alla sanzione di cui all’art. 96, comma. 3, cod. proc. civ.

A fondamento della decisione il Tribunale di Foggia ritenne che detta domanda non poteva essere accolta anche per sopravvenuta carenza di interesse della pronuncia sulla distrazione delle spese, stante quanto stabilito dallo stesso Tribunale con ordinanza sul ricorso ex art. 702 bis c.p.c. proposto dallo stesso De.An. (già avvocato) nei confronti dei propri assistiti per la liquidazione del compenso in merito all’attività prestata, ed avendo pertanto il difensore già riscosso onorari e spese anticipate nel giudizio civile R.G. 4074/01 ed essendo venuta meno la stessa possibilità per il dottor De.An. di qualificarsi come difensore distrattario.

L’appello del De.An., nella contumacia della UU Spa e di Ch.Gi., già contumace in primo grado, e nel contradditorio con Ca.Fr., Ca.Is. e Ca.Ma., venne dichiarato inammissibile dalla Corte di appello di Bari per violazione dell’art. 342 cod. proc. civ.

Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso per cassazione De.An., con atto affidato a tre motivi.

Rispondono con controricorso Ca.Ma., Ca.Is. e Ca.Fr. e, con separato controricorso, resiste Ch.Gi. (già indicato come Ch.Gi.), contumace in fase d’appello. UU Spa non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Non risulta il deposito di memore per l’adunanza camerale del 9/11/2023, alla quale il ricorso è stato deciso.

Ragioni della decisione

Il ricorrente propone i seguenti motivi di ricorso.

I) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.”; per il ricorrente la Corte territoriale ha errato nel ritenere inammissibile l’appello in quanto, dall’atto, era possibile evincere chiaramente le censure mosse ed individuare i punti della sentenza contestati con le doglianze e le modifiche che venivano richieste al giudice d’appello.

II) “Erroneità ed illegittimità della sentenza per la violazione delle norme di diritto degli articoli 112,91 e 96 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. I n. 3 cpc”; secondo il ricorrente la Corte territoriale ha errato nel condannarlo alla refusione delle spese di lite in favore della compagnia di assicurazione e a pronunciare la condanna ad una sanzione pecuniaria per un’asserita responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ.

III) “Illegittimità ed erroneità della sentenza per violazione delle norme di diritto ex art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360, I comma, n. 3 c.p.c.”; il ricorrente sostiene di aver richiesto il pagamento delle proprie competenze nei confronti di tutte le convenute e della compagnia assicurativa sin dal proprio atto di intervento volontario nella causa di risarcimento danni da incidente stradale.

A prescindere dai profili d’inammissibilità, giacché il ricorso per cassazione è palesemente composto mediante una mera riproduzione delle sentenze di primo e di secondo grado e dell’atto di appello e ciò per sé solo ne comporta l’inammissibilità (Cass. n. 26837 del 25/11/2020 Rv. 659630 – 01 e altre in termini), la semplice lettura della citazione in appello, che viene pedissequamente riportata in ricorso dalla difesa del De.An., comprova che la decisione di inammissibilità della Corte Territoriale è corretta, in quanto l’atto di appello è un coacervo di affermazioni meramente giustapposte e non consente neppure di individuare talvolta in modo del tutto chiaro un filo logico nell’esposizione delle censure.

Il ricorso va, comunque, disatteso.

La Corte territoriale ha, invero, al di là della statuizione formale di inammissibilità dell’appello, ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ., riportata nel dispositivo, pure deciso nel merito la controversia, affermando che le censure poste dal De.An. con l’atto di appello erano promiscuamente dedotte e si limitavano a dedurre del tutto genericamente la nullità della sentenza di primo grado – in punto di mancanza di delega all’avvocato D’Amato per l’udienza del 4/12/2015, di violazione dell’art. 82 cod. proc. civ. per mancanza di procura in favore dell’avvocato PP, di violazione degli artt. 281 sexies cod. proc. civ., 24 e 111 Costituzione, di mancato deposito nel fascicolo di ufficio della transazione, di omessa liquidazione delle spese al distrattario di violazione del principio di soccombenza -, senza censurare specificamente il ragionamento del giudice di primo grado.

In particolare, la Corte distrettuale ha affermato che non risultavano adeguatamente censurate le due differenti ragioni del decidere sviluppate dal Tribunale, fondate sull’intervenuta transazione e sulla carenza d’interesse sopravvenuta del De.An., attesa l’avvenuta decisione della questione delle spese di lite con altro provvedimento decisorio, in forma di ordinanza, n. 2135 del 10/06/2014.

Il primo motivo di ricorso è, pertanto, destituito di fondamento.

Il secondo motivo va parimenti disatteso. La Corte d’appello ha sostanzialmente ritenuto che il Tribunale avesse applicato il principio della soccombenza correttamente, in quanto la compagnia di assicurazione UU Spa era addivenuta a transazione della controversia con le Ca., già patrocinate dal De.An. nella sua veste di avvocato, ed aveva rilevato la sopravvenuta carenza di interesse alla pronuncia sulla distrazione delle spese, avendo il difensore in base all’ordinanza 2135/2014 già riscosso onorari e spese anticipate; la Corte di merito ha pure evidenziato che al riguardo non erano state sviluppate in appello adeguate ragioni di in fatto e in diritto idonee a confutare la congrua ed articolata motivazione resa dal Tribunale. Tali affermazioni della Corte territoriale non risultano idoneamente censurate in questa sede.

La decisione della Corte d’appello relativa alla condanna pronunciata dal Tribunale nei confronti del De.An. ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. è basata sulla ragione dell’avvenuta contestazione, del tutto tardiva, proposta dall’appellante al riguardo, avendo il De.An. soltanto in sede di comparsa conclusionale censurato genericamente la ratio decidendi relativa a tale condanna, con conseguente corretta preclusione all’esame della doglianza sulla condanna per responsabilità processuale aggravata. Tale ratio non risulta colta dalle doglianze sollevate in questa sede. Il secondo motivo è, inoltre, infondato nella parte in cui si sostiene la necessità dell’istanza di parte per la comminazione della condanna in parola, in quanto la condanna ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. può essere pronunciata dal giudice d’ufficio, anche in carenza di una specifica domanda di parte (Sez. U n. 9912 del 20/04/2018 Rv. 648130 – 02; Cass. n. 24546 del 18/11/2014 Rv. 633289- 01;).

Il terzo motivo è inammissibile in quanto la Corte d’appello ha affermato che la domanda del De.An. di condanna delle appellate al pagamento delle spese legali del giudizio risarcitorio, definito con sentenza, conclusiva del processo in primo grado, erano state proposte per la prima volta in grado d’appello ed erano pertanto, inammissibili, ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., e il De.An. nel ricorso non indica specificamente dove e quando detta domanda di condanna delle appellate fosse stata formulata nella fase di merito, in quanto richiama genericamente il contenuto del suo atto di intervento in primo grado nella causa risarcitoria proposta dalla famiglia Ca., incorrendo in tal modo in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ.

Con riferimento, peraltro, alla domanda al pagamento delle spettanze il Tribunale prima e la Corte d’appello poi hanno affermato – come già sopra evidenziato – che il De.An. aveva già ottenuto il pagamento, in forza dell’ordinanza del Tribunale di Foggia in sede di giudizio sommario, recante n. 2135 del 10/06/2014.

In conclusione, il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

Va rigettata l’eccezione di tardività della notifica del ricorso a Ch.Gi., da questi sollevata sul rilievo che la seconda notifica, dopo la prima non andata a buon fine, sarebbe stata effettuata nei suoi confronti, oltre il limite temporale pari alla metà dei termini indicati nell’art. 325 c.p.c., risultando lo stesso litisconsorte processuale (arg. ex Cass. n. 5301 del 05/03/2009 Rv. 607034 – 01).

Le spese di lite seguono la soccombenza del ricorrente nei confronti di entrambe le parti controricorrenti e, tenuto conto dell’attività processuale espletata in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo in favore di ciascuna parte controricorrente.

La decisione di rigetto del ricorso comporta che deve darsi atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ognuna di esse, in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del quindici per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi