Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con decreto del 13.8.12 il gip disponeva procedersi a giudizio immediato nei confronti di C.I. per rispondere dei reati di maltrattamenti in famiglia, violenza privata e lesioni aggravate a lui sopra ascritte. Il processo era iscritto al numero 958/13 r.g. Trib, dapprima incardinato innanzi alla sezione distaccata di Altamura, poi migrato a Bari.
Nel corso dell’udienza del 6.11.12 si costituivano parte civile R.F. e R.I.. Quindi, dichiarato aperto il dibattimento, erano ammesse le prove come richieste.
Le udienza del 19.2.13 e del 22.10.13 erano rinviate per consentire la corretta instaurazione del contraddittorio, innanzi alla prima sezione penale del Tribunale di Bari, ove il processo era migrato dopo la soppressione della sezione distaccata di Altamura.
L’udienza del 21.1.14 era differita per l’assenza dei testimoni e quella del 20.5.14 per un impedimento del difensore, con sospensione dei termini di prescrizione. Nelle more il processo era assegnato al sottoscritto magistrato e si procedeva alla rinnovazione degli atti. Anche nel corso dell’udienza del 2.12.14 erano assenti i testi del pm.
Nel corso dell’udienza del 13.10.15 era sentita R.F.. Costei, madre dell’imputato, spiegava che da gennaio 2012 a maggio 2012 fu vittima delle angherie del figlio C.. La minacciava, le rubava in casa, la ingiuriava. Una volta la colpì con un pugno, facendole cadere la sigaretta e provocandole una bruciatura. Avendo saputo che ella l’aveva denunciato, voleva assolutamente vedere le denunce sporte ed a tale fine la minacciò con un coltello. I maltrattamenti cessavano nel 2012 quando si interruppero i rapporti fra madre e figlio.
Sempre in quella udienza era sentito F.I., fratello dell’imputato. Raccontava che nel maggio 2012 accompagnò C. presso l’abitazione della madre. Qui, l’imputato cominciò a sfasciare gli arredi ed a lanciare oggetti per aria, perché pretendeva di visionare le denunce che la madre aveva sporto nei suoi confronti. Addirittura minacciò la genitrice con un coltello alla gola.
Veniva poi sentiti N.P., che non forniva alcun contributo in ordine alla ricostruzione dei fatti contestati.
Era sentito anche V.C., che – all’epoca dei fatti- frequentava la F.. L’uomo riferiva di avere appreso dalla donna che l’imputato l’aveva picchiata e che, una volta, per telefono, l’aveva minacciata che- se non fosse tornata a casa- avrebbe spaccato tutta l’abitazione.
Erano assenti gli ulteriori testi che il p.m. avrebbe dovuto citare.
Nel corso dell’udienza del 7.6.16 era sentita L.M.N.. Costei riferiva di avere appreso da R.F. che l’odierno imputato la derubava e la percuoteva frequentemente. Anche in tale udienza, non comparivano gli ulteriori testi che il p.m. avrebbe dovuto citare.
L’udienza del 21.3.17 era differita per l’adesione del difensore allo sciopero degli avvocati.
L’udienza del 18.4.17 era differita per l’adesione del VPO allo sciopero dei magistrati onorari.
Nel corso dell’odierna udienza a questo processo era riunito quello già iscritto al numero 3428/13.
Tale processo originava dal decreto del 27.3.13 con il quale il p.m. citava a giudizio C.I. per rispondere dell’accusa di tentava violenza privata in danno di R.F..
Appare dunque opportuno ripercorrere le attività svolte prima della riunione.
Dopo numerose udienze di rinvio, svolte presso la sezione distaccata di Altamura, il processo era assegnato al sottoscritto magistrato.
Nel corso dell’udienza del 1.7.14 era ascoltato il teste S., che non riferiva nulla di rilevante al fine di ricostruire i fatti contestati.
Il 10.2.15 era sentita A.F. che rispondeva di non sapere nulla circa le minacce per ritirare le denunce sporte contro l’imputato.
Le udienze del 10.11.15 e del 18.10.16 erano differite per la mancata comparizione dei testimoni che il p.m. avrebbe dovuto citare.
L’udienza del 18.4.17 era differita per l’adesione del VPO allo sciopero dei magistrati onorari.
Quindi, oggi, il processo era riunito a quello iscritto al n. 958/13 per connessione soggettiva ed oggettiva.
Dopo la riunione erano sentiti F.I. (citato per il processo satellite) che ripeteva di avere visto che il fratello C. aveva rotto le suppellettili della casa materna e minacciato la madre (con la frase “ti faccio a pezzi”) per costringerla a mostrargli le denunce che aveva sporto.
Precisava, quanto agli anni precedenti, che C. in casa aveva sempre assunto un fare padronale e violento. Era solito rompere i vetri, lanciare gli oggetti, percuotere la madre anche per futili motivi.
Era ancora sentita R.F..
Raccontava ancora dei maltrattamenti subiti anche se precisava che aveva sperato che il figlio, piuttosto che essere arrestato, fosse curato per i suoi problemi mentali e di dipendenza. Aggiungeva che oramai C. lavorava all’estero, non aveva più rapporti con la famiglia e dunque non rappresentava più un pericolo. Rappresentava anche la volontà di rimettere la querela nei confronti del figlio e di rinunciare alla costituzione di parte civile.
Quindi, preso atto della prolungata inerzia del p.m. e della difesa dell’imputato in ordine alla citazione dei testi delle rispettive liste e qualificatala come rinuncia ai testi medesimi, il giudice dichiarava chiuso il dibattimento.
Le parti concludevano come sopra rappresentato.
I fatti contestati nel processo iscritto al n. 958/13 RGT risultano provati mentre è insufficiente la prova della contestazione di cui al processo iscritto al n. 3429/13 RGT.
Il racconto della F., ripetuto per due volte, è la prova principale a carico dell’imputato.
A tale proposito, è pacifico in giurisprudenza che le dichiarazioni della persona offesa possono essere poste da sole a fondamento dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, senza che sia indispensabile applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4; è tuttavia necessaria una previa verifica positiva della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (Cass. 44184/2013; Cass. 15619/2013).
L’attendibilità intrinseca deve essere valutata, sotto il profilo oggettivo, secondo i parametri dell’analiticità delle dichiarazioni, dell’intima coerenza e della reiterazione costante ed uniforme e, sotto il profilo soggettivo, guardando alle qualità personali, morali, intellettive e sensitive del teste.
Può essere tuttavia opportuno, ha precisato la giurisprudenza, comunque procedere al riscontro di tali dichiarazioni anche con altri elementi, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile, in quanto in tali casi lo specifico interesse economico di cui è portatrice potrebbe contaminare l’attendibilità delle dichiarazioni. (S.U. 44161/2012; Cass. 23813/2013; 29572/2010).
Nel caso di specie le dichiarazioni rese dalla F. sono sufficienti a fondare la prova certa della colpevolezza dello I.. Invero, costei ha spiegato in modo chiaro le angherie subite. Inoltre, oggi ha dichiarato di volere rimettere la querela e di fatto ha revocato la costituzione di parte civile, addirittura precisando di avere sperato che il figlio fosse curato e non punito, dimostrando così di non avere alcun interesse economico alla condanna dell’imputato.
Gli altri testi esaminati hanno confermato il racconto della F., avendo assistito ai maltrattamenti posti in essere dall’imputato (F.I.) od avendoli appresi dalla F. (C. e N.).
I fatti narrati integrano sicuramente i reati contestati nel processo “madre”. Invero, la prospettazione di un male ingiusto (addirittura una minaccia di morte) per costringere la madre a mostrare le copie delle denunce integra una violenza privata perché limita la capacità di autodeterminazione della donna. Sussiste pure, alla luce della deposizione della F., il reato di lesioni.
È pacifica pure la prova del reato di maltrattamenti.
Invero, a mente della giurisprudenza di legittimità, si configura la fattispecie di maltrattamenti in famiglia in caso di “…atti di vessazione continui e tali da cagionare sofferenze, privazioni, umiliazioni, che costituiscano fonte di uno stato di disagio continuo ed incompatibile con normali condizioni di esistenza;… comportamenti abituali caratterizzati da una serie indeterminata di atti di molestia, di ingiuria, di minaccia e di danneggiamento…”(cfr. Cass., sez. VI, 01-02-1999, Valente). Insomma, il reato sussiste, anche in assenza di eventi violenti plateali, essendo sufficiente una serie abituale di atti di prevaricazione (come è oggi successo, basti pensare alle minacce, alle percosse, ai danneggiamenti domestici), che pur non assumendo presi individualmente un eccessivo disvalore, configurano tutti insieme il reato ascritto. Tuttavia, risultano provati i maltrattamenti solo in danno della F. e non anche in danno dei germani dell’imputato. Conseguentemente nessuna statuizione civile deve aversi in favore della parte civile I. (mentre, non avendo concluso, si deve intendere rinunciata la costituzione della parte civile F.).
Non risulta invece dimostrando il reato contestato nel processo oggi riunito.
Invero, i testi hanno ripetutamente precisato che le minacce ed i danneggiamenti delle suppellettili domestiche erano dirette ad ottenere copia delle denunce ma non sono stati altrettanto precisi nel riferire che erano dirette anche ad ottenere la revoca delle denunce. Ne consegue l’assoluzione da tale ulteriore imputazione.
La lontananza nel tempo dei fatti, il sostanziale avvenuto perdono da parte delle vittima, la cessazione del comportamento illecito consentono un trattamento sanzionatorio mite ed il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto alle contestate aggravanti ed alla recidiva.
Letti i parametri di cui all’art. 133 c.p., tenuto conto della pena vigente al momento del fatto, appare congrua la pena di cui al dispositivo (pb per il reato ex art. 572 c.p. anni uno di reclusione, aumentata di mesi uno di reclusione per ciascuno degli ulteriori reati, evidentemente avvinti dal vincolo della continuazione rispetto al primo).
All’affermazione di colpevolezza segue la condanna al pagamento delle spese processuali. Non sono emersi elementi per la sospensione condizionale della pena.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara C.I. colpevole dei reati a lui ascritti ai capi A nei confronti di R.F., B e C di cui al processo iscritto al numero 958/13 RGT, uniti dal vincolo della continuazione, e riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto alle contestate aggravanti ed alla recidiva, lo condanna alla pena di anni uno e mesi due di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Letto l’art. 530 II co c.p.p. assolve C.I. dal reato a lui ascritto al capo A di cui al processo iscritto al n. 958/13 RGT nei confronti di D.I., F.I. e R.I. e dal reato a lui ascritto al processo originariamente iscritto al n. 3429/13 perché i fatti non sussistono.
Così deciso in Bari, il 30 maggio 2017.
Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2017.
