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Tribunale Taranto sez. II, 01/12/2021, n.1658

Massima

Un singolo episodio di violenza perpetrata nel contesto familiare, insieme ad episodiche minacce, ingiurie non costituisce condotta idonea ad integrare il reato di maltrattamenti in famiglia, il quale invece è caratterizzato da sistematicità della condotta di sottomissione del coniuge persona offesa, nell’ottica di un unico disegno criminoso finalizzato ad avvilire la vittima. Pertanto le singole condotte devono essere riqualificate in base ai singoli reati che configurano.

Supporto alla lettura

Maltrattamenti in famiglia

Il reato di maltrattamenti in famiglia si colloca nella parte del codice penale dedicata ai delitti contro la famiglia e l’assistenza familiare, caratterizzati dal fatto che l’offesa deriva da membri dello stesso gruppo familiare al quale appartiene la vittima.
In realtà, limitare alla famiglia l’oggetto giuridico del reato ex articolo 572 del codice penale, sarebbe fuorviante.
In primo luogo perché, anche in base alla interpretazione letterale, il bene giuridico protetto è l’integrità psicofisica e morale della vittima.
In secondo luogo perché rispetto agli altri reati previsti nel titolo XI del codice penale, il soggetto passivo non è necessariamente un familiare dell’agente, ma chiunque abbia con lui una relazione qualificata (rapporto di convivenza, sottoposizione per ragioni di autorità, affidamento per ragioni di educazione, cura, istruzione, vigilanza, custodia, esercizio di una professione o arte).
Ne consegue che l’effettivo fondamento giuridico dell’art 572 c.p. deve essere rinvenuto nella stabilità del vincolo affettivo e/o umano tra l’agente e soggetti ritenuti “deboli” ed esposti a episodi di sopraffazione da parte del soggetto “forte”, anche in applicazione di quanto previsto dalla ratificata Convezione di Lanzarote del 2007.
Tra i vari interventi che hanno modificato l’art. 572 c.p. negli anni, si ricorda:

  • la legge n. 172 del 2012 con la quale il legislatore ha incluso i semplici conviventi nel novero delle vittime di maltrattamenti;
  • la legge 69 del 2019 (c.d. Codice Rosso) che ha inasprito il regime sanzionatorio, soprattutto per contrastare episodi di c.d. violenza domestica e che ha inserito l’ultimo comma dell’articolo 572 c.p. che prevede che il minore che assiste ai maltrattamenti familiari debba essere considerato persona offesa.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Con decreto di giudizio immediato emesso in data 29.6.2020, Fr.Lu.Pa. veniva tratto al giudizio di questo Tribunale per rispondere dei reati in rubrica ascritti. Nel corso dell’udienza celebrata in data 5 ottobre 2020, dichiarato aperto il dibattimento, le parti formulavano le rispettive richieste istruttorie.

Nel corso dell’udienza celebrata in data 8 febbraio 2021 su accordo delle parti ai sensi dell’art. 493, co. 3, c.p.p., il tribunale acquisiva la seguente documentazione: il verbale di sommarie informazioni rese da Lu.Pa. in data 18.05.2020.

All’udienza del 14.6.2021 era esaminata Gr.Ma. e con il consenso delle parti si acquisivano le querele sporte dalla stessa in data 2.9.2019; 4.9.2019 e 21.12.2019; era poi prodotto il verbale di remissione di querela da parte di Gr.Ma. e di contestuale accettazione dell’imputato, sottoscritto dinnanzi ai Carabinieri di Martina Franca. Era acquisita con l’accordo delle parti anche il verbale di sommarie informazioni rese da La.Ma. in data 21.12.2019 e il verbale di sommarie informazioni rese da Lu.Pa. in data 18.5.2020. Era acquisito ai sensi dell’art. 513 c.p.p. il verbale di interrogatorio reso dall’odierno imputato.

Nel corso dell’odierna udienza, esaurita l’istruttoria dibattimentale, le parti concludevano come da epigrafe e il Tribunale, infine, pronunciava sentenza come da dispositivo.

Diritto

Motivi della decisione

Orbene, sulla base degli atti acquisiti e dell’istruttoria svolta, questo Tribunale ritiene provata la penale responsabilità dell’odierno imputato esclusivamente nei limiti di cui si dirà. In particolare, i fatti possono essere così sintetizzati.

Nella querela sporta in data 04.9.2019, Gr.Ma., premesso di essere stata sposata con l’imputato dal 5.9.1992, unione dalla quale erano nati due figli Lu.Pa. e Lu.Pa.), riferiva che i rapporti tra loro erano andati progressivamente peggiorando ed era intervenuta una separazione consensuale in data 21.5.2018 nella quale la casa coniugale era stata assegnata al Fr.Lu.Pa. Nel gennaio 2019 il FR.LU.PA. le aveva consegnato le chiavi dell’abitazione in quanto si era trasferito a casa della compagna. Il 1 settembre 2019 il FR.LU.PA. le aveva espresso la volontà di tornare a vivere in quella casa ma la Gr.Ma. non aveva accettato tale decisione. Il 3.9.2019 il FR.LU.PA. la aveva chiamata chiedendole dove avesse nascosto le armi dallo stesso legalmente detenute e quest’ultima aveva risposto che le aveva smontate e messe in sicurezza con l’aiuto del figlio. A quel punto il FR.LU.PA. aveva fatto irruzione a casa sua mettendole le mani al collo per sapere dove fossero le chiavi della cassaforte dove conservava le armi; le aveva tolto il telefono scagliandolo a terra e rompendolo; a quel punto lei aveva gridato ma il FR.LU.PA. le aveva posto una mano sulla bocca e l’aveva spinta; la Gr.Ma. era riuscita a scappare e a recarsi presso il locale pronto soccorso dove le diagnosticavano una “escoriazione del gomito sinistro dolente, lieve dolenzia in regione lombosacrale con prognosi di dieci giorni”

La Gr.Ma. il 4.9.2019 era stata inserita dal Centro Antiviolenza in una casa rifugio.

Il 19.12.2019 la Gr.Ma. aveva integrato la propria denuncia querela nei termini che seguono: nel corso della vita matrimoniale il FR.LU.PA. la aveva spesso apostrofata con espressioni del tipo “puttana, testa di cazzo, non capisci un cazzo”. In un’occasione, dopo un litigio l’aveva spinta contro il muro e le aveva stretto le mani intorno al collo. In alcuni casi l’imputato aveva anche rotto degli oggetti presenti in casa. Il FR.LU.PA. spesso aveva minacciato di strozzarla mimando il gesto con le mani. In un’occasione, quando Lu.Pa. aveva 9 anni e Lu.Pa. quasi 18 nel corso di una lite per telefono il FR.LU.PA. era divenuto furibondo; la Gr.Ma., per timore aveva ordinato ai suoi figli di chiudere a chiave una porta di ingresso a doppio vetro blindato. A quel punto il FR.LU.PA. si era scagliato contro la porta con il suo corpo fino a sfondarla ed era entrato mentre perdeva copiosamente sangue a causa delle ferite riportate sugli arti.

Ha poi raccontato che in alcuni casi aveva subito dei rapporti sessuali non desiderati in quanto altrimenti il marito la faceva sentire in colpa e inadeguata. Aveva anche accettato di avere rapporti sessuali con altre persone e alcune volte era stata fotografata dal FR.LU.PA. nel corso di tali rapporti. In alcuni casi aveva utilizzato tali foto, minacciandola di divulgarle, per ottenere dei rapporti sessuali. Tali dinamiche erano continuate anche dopo la separazione in quanto in alcuni casi l’imputato si recava da lei e, ricattandola, le chiedeva di avere rapporti sessuali orali.

Sentita all’udienza del 14.6.2021 sul punto la GR.MA. ha precisato che soggiaceva alla volontà del FR.LU.PA. di avere rapporti sessuali in quanto quest’ultimo la faceva sentire in colpa (cfr. p. 6 del verbale fonotrascritto dell’udienza del 14.6.2021). Quanto alle minacce ha riferito che l’imputato le diceva che non le sarebbe costato nulla avere un rapporto sessuale con lui (cfr. p. 7 del verbale fonotrascritto dell’udienza del 14.6.2021). Ha infine dichiarato che il FR.LU.PA. non aveva mai usato violenza fisica nei suoi confronti.

Sentita a s.i.t in data 21.12.2019 La.Ma., sorella della persona offesa, ha dichiarato che in un’occasione si era recata presso casa di sua sorella successivamente ad una lite tra lei e il FR.LU.PA. e aveva notato dei vetri rotti sul pavimento. Aveva dunque accompagnato al sorella in ospedale ma si era resa conto che l’odierno imputato le stava seguendo con la sua automobile. La sorella, le aveva confessato di aver subito percosse dal marito e di aver dovuto acconsentire a rapporti sessuali non desiderati.

Sentito a s.i.t. in data 18.5.2020, LU.PA., figlio della persona offesa e dell’imputato, ha dichiarato di non aver mai assistito a scene violente o aggressioni da parte del padre nei confronti della madre. Quanto all’episodio del 3.9.2019 ha confermato di aver aiutato la madre a smontare e riporre in cassaforte le armi del FR.LU.PA. e che successivamente la madre lo aveva chiamato e gli aveva raccontato che il FR.LU.PA. l’aveva spinta facendola cadere dalle scale. Successivamente la madre gli aveva raccontato che in quell’occasione il FR.LU.PA. l’aveva afferrata per il collo e lei per divincolarsi era scivolata per le scale.

Sentita a s.i.t. in data 18.5.2020, Lu.Pa., figlia della persona offesa e dell’odierno imputato ha dichiarato di non aver mai assistito a scene di violenza fra i suoi genitori ma esclusivamente a discussioni. Il 3.9.2019, allertata dal fratello, si era recata dalla madre che le aveva riferito di essere stata aggredita dal Fr.Lu.Pa. e aveva notato che la serratura della porta era rotta e il cellulare della madre era rotto.

Nel corso dell’interrogatorio reso in data 5.03.2020 l’odierno imputato aveva negato ogni addebito. Quanto all’episodio del 3.9.2019 ha dichiarato che la Gr.Ma. si era rifiutata di consegnargli le chiavi della cassaforte dove aveva nascosto le armi da lui legalmente detenute.

La qualificazione giuridica dei fatti.

Ciò posto, i fatti così come emersi dall’espletamento dell’istruttoria dibattimentale conducono ad una riqualificazione del reato contestato ai sensi dell’art. 572 c.p.

Preliminarmente, è opportuno ricordare che l’oggetto giuridico della tutela penale apprestata dall’art. 572 c.p., sebbene la disposizione in esame sia inserita nel capo dedicato ai delitti contro l’assistenza familiare, sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata che individua la famiglia non come valore in sé ma quale formazione sociale ove si svolge la personalità dell’individuo, deve essere rinvenuto non – o quanto meno non solo – nell’interesse dello Stato a salvaguardare la famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma nella difesa dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari (cfr. Cass. Pen. Sez. VI, 27.05.2003, n. 37019, Rv. 226794 – 01). Oggetto di tutela non è, quindi, la famiglia come entità astratta, ma l’individuo nella famiglia.

Una simile interpretazione trova altresì conferma nello stesso dettato dell’art. 572 c.p. che fa riferimento anche a rapporti diversi da quelli familiari.

Quanto sopra, tuttavia, non significa che il reato de qua debba ritenersi integrato ogniqualvolta si verifichino fatti che ledono o pongono in pericolo l’incolumità personale, la libertà, l’onore di una persona della famiglia, richiedendosi, altresì, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, proiettata ad imporre al soggetto passivo un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile (cfr. Cass. Pen. Sez. VI, 27.05.2003, n. 37019, Rv. 226794 – 01, cit.).

Infatti, il concetto di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p., pur non definito dalla legge, presuppone una condotta abituale, che si estrinseca in più atti lesivi, realizzati in tempi successivi, dell’integrità, della libertà, dell’onore, del decoro del soggetto passivo o più semplicemente in atti di disprezzo, di umiliazione, di asservimento che offendono la dignità della vittima, indipendentemente dalla circostanza che costituiscano o meno autonome figure di reato e senza che sia necessaria la loro reiterazione per un tempo prolungato – quindi anche in un arco di tempo contenuto (cfr. Cass. Pen., Sez. Ili, 12.02.2018, n. 6724; Cass. Pen., Sez. Ili, 22.11.2017, n. 6724, Rv. 272452-01; Cass. Pen., Sez. VI, 19.10.2017, n. 56961, Rv. 272200 – 01; Cass. Pen., Sez. VI, 08.10.2013, n. 44700, Rv. 256962; Cass. Pen., Sez. VI, 19.06.2012, n. 25183, Rv. 253041 – 01; Cass. Pen., Sez. VI, 02.12.2010, n. 45037, Rv. 249036 – 01).

E lo stesso significato del verbo “maltrattare” a implicare plurime vessazioni fisiche o morali, quali componenti del modo di porsi di un individuo nei confronti di un altro.

La ratio dell’antigiuridicità penale risiede, pertanto, nella reiterata aggressione all’altrui personalità, tesa all’imposizione di un sistema di vita caratterizzato da sofferenze, afflizioni, lesioni dell’integrità fisica o psichica, le quali incidono negativamente sulla personalità della vittima e su valori fondamentali propri della dignità e della condizione umana (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 05.12.2011, n. 9923, Rv. 252350-01; Cass. Pen., Sez. VI, 02.12.2010, n. 45037, Rv. 249036 – 01).

La rilevanza penale della condotta sussiste anche quando le sistematiche condotte violente e sopraffattrici non realizzano l’unico registro comunicativo con il familiare, ma sono intervallate da condotte prive di tali connotazioni o dallo svolgimento di attività familiari, anche gratificanti per la parte lesa, poiché le ripetute manifestazioni di mancanza di rispetto e di aggressività conservano il loro connotato di disvalore in ragione del loro stabile prolungarsi nel tempo (cfr., ex plurimis, Cass. Pen., Sez. VI, 19.03.2014, n. 15147, Rv. 261831 -01).

Risultano, di conseguenza, esclusi dall’ambito applicativo della fattispecie in esame – conservando eventualmente, qualora ne ricorrano i presupposti, la propria autonomia come delitti contro la persona (ingiurie, percosse, lesioni) – unicamente quei fatti episodici, che, pur lesivi dei diritti fondamentali della persona, non sono riconducibili nell’ambito della descritta cornice unitaria, perché traggono origine da situazioni contingenti e particolari che sempre possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare: colui che si rende responsabile di tali fatti non esprime una condotta abituale finalizzata ad alterare l’equilibrio della normale tollerabilità della convivenza, ma dà semplicemente sfogo, in modo errato, alla sua potenzialità reattiva di fronte a situazioni o eventi che percepisce come ingiusti o non corretti e che provocano inevitabilmente in lui uno stato di forte tensione, con l’effetto che la sua azione e le relative conseguenze vanno apprezzate e valutate in quel particolare contesto in cui sono maturate e non come componenti di un insieme comportamentale più ampio, da considerarsi unitariamente (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 09.10.2018 – 07.02.2019, n. 6126, Rv. 275033, fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna emessa in relazione a tre distinti episodi di minaccia, ingiuria e percosse, posti in essere dall’imputato a distanza di tempo l’uno dall’altro ed in un arco temporale di circa undici mesi, considerandoli atti sporadici manifestazione di un atteggiamento di contingente aggressività; Cass. Pen., Sez. VI, 02.12.2010, n. 45037, Rv. 249036 – 01, cit., fattispecie in cui la Corte ha ritenuto integrato il delitto di maltrattamenti in famiglia, rilevando che da anni il rapporto di convivenza tra l’imputato e la moglie ed i due figli minori era stato contraddistinto da un permanente clima di tensione e conflittualità ingenerato dal primo che, con i suoi comportamenti irragionevolmente autoritari e violenti, aveva finito con l’imporre a questi ultimi un regime di vita vessatorio e intollerabile; Cass. Pen, Sez. VI, 27.05.2003, n. 37019, Rv. 226794 – 01, cit, fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del reato, in presenza di episodi di conflittualità tra padre e figlia, che avevano trovato la loro genesi nella condotta della ragazza, insofferente a qualsiasi richiamo del genitore, il che aveva indotto quest’ultimo, in più occasioni e ciclicamente, ad avere reazioni non sempre ben controllate, pur non avendo mai fatto mancare il proprio sostegno morale ed economico alla sua famiglia, alla quale aveva sempre riservato ogni attenzione).

Il dolo, in ogni caso, non richiede – a differenza che nel reato continuato – la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate, poiché è, al contrario, sufficiente la consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, tale da sottoporre la persona di famiglia ad un’abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 19.03.2014, n. 15146, Rv. 259677 – 01; Cass. Pen., Sez. VI, 28.03.2012, n. 15680, Rv. 252586 – 01; Cass. Pen., Sez. VI, 18.02.2010, n. 16836, Rv. 246915 – 01; Cass. Pen., Sez. VI, 18.03.2008, n. 27048, Rv. 240879-01).

Così delineata la figura criminosa evocata nell’imputazione, ne discende che l’elemento caratterizzante il delitto in esame è il sistematico, cosciente e volontario compimento di atti di violenza fisica e morale in danno della vittima, di modo che questa ne rimanga succube. Ovviamente, lo stato di inferiorità psicologica di quest’ultima non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento, ma può consistere anche in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, senza che siano escluse sporadiche reazioni vitali ed aggressive della vittima (cfr. Cass. Pen., Sez. Ili, 20.03.2018, n. 46043, Rv. 274519 – 02). L’atteggiamento reattivo di quest’ultima non esclude, quindi, di per sé, la natura persecutoria ed umiliante del regime di vita ex adverso imposto (cfr. Cass. Pen., 24.01.2020, n. 12026, Rv. 278968 – 01). Se ciò è vero, si evidenzia, tuttavia, che, ove le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità ed intensità sostanzialmente equivalente, il giudice sarà chiamato a vagliare con attenzione la possibilità di individuare nella fattispecie concreta un maltrattante, intenzionato a imporre un regime di vita persecutorio ed umiliante, e un maltrattato, che quel regime subisce (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 23.01.2019, n. 4935, Rv. 274617 – 01).

Nel caso in esame la persona offesa si è limitata a dichiarare che nel corso della vita matrimoniale il FR.LU.PA. la aveva spesso apostrofata con espressioni del tipo “puttana, testa di cazzo, non capisci un cazzo”. Il FR.LU.PA. spesso aveva minacciato di strozzarla mimando il gesto con le mani e in un’occasione, dopo un litigio l’aveva spinta contro il muro e le aveva stretto le mani intorno al collo. Quanto poi all’episodio narrato al quale avrebbe assistito tutta la famiglia, durante il quale il FR.LU.PA. in preda all’ira avrebbe sfondato un vetro, risulta smentito dalle dichiarazioni di entrambi i figli dell’imputato, che hanno dichiarato di non aver mai assistito ad episodi di violenza perpetrata dal padre.

Si ritiene, data la linearità intrinseca del racconto della persona offesa, che i fatti accaduti il 3.9.2019 si siano effettivamente svolti così come descritti dalla GR.MA. Tale singolo episodio tuttavia, unitamente alle episodiche minacce descritte e alle ingiurie narrate, non sono idonee a parere del Collegio ad integrare il contestato delitto di maltrattamenti.

Infatti, le aggressioni da parte dell’odierno imputato ai danni della persona offesa non rappresentavano l’attuazione di un disegno volto all’imposizione di un sistema di vita avvilente, ma la reazione – comunque censurabile – dell’imputato ad una discussione intervenuta con la moglie che si colloca nell’ambito di un’accesa conflittualità sussistente in quel momento legata al possesso dell’abitazione coniugale. Come già ricordato risultano esclusi dall’ambito applicativo della fattispecie in esame – conservando eventualmente, qualora ne ricorrano i presupposti, la propria autonomia come delitti contro la persona (ingiurie, percosse, lesioni) – unicamente quei fatti episodici, che, pur lesivi dei diritti fondamentali della persona, non sono riconducibili nell’ambito della descritta cornice unitaria, perché traggono origine da situazioni contingenti e particolari che sempre possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare. I fatti, per come sopra descritti e riportati nel capo di imputazione, devono, pertanto, essere riqualificati nel delitto minacce, per quanto riguarda la minaccia di strozzare la persona offesa intervenuta in alcuni casi nel corso della vita matrimoniale, e di percosse (con riferimento all’episodio del 3.9.2019). Deve rilevarsi infatti che in atti non sussiste alcun certificato medico attestante le lesioni subite dalla persona offesa; deve dunque ritenersi applicabile il delitto di cui all’ art. 581 c.p.

Ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali, la nozione di malattia non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono anche mancare, bensì solo quelle da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o l’aggravamento di esso ovvero una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa, (cfr. Sez. 5 – , Sentenza n. 33492 del 14/05/2019 Ud. Rv. 276930 – 01, Fattispecie relativa ad aggressione consistita in una “tirata di capelli”, nella quale la Corte ha annullato con rinvio la decisione di merito che si era limitata a dar conto del referto medico che riportava, quale conseguenza a carico della vittima, “dolore in regione occipitale guaribile in giorni due”) Nel caso in esame non risulta sufficientemente provata una “malattia” intesa nel senso esplicato, potendosi ritenere sussistenti solo delle escoriazioni descritte in denuncia dalla persona offesa. Così riqualificati i fatti, i reati in questione devono ritenersi estinti per intervenuta remissione di querela da parte della persona offesa e contestuale accettazione dell’imputato (cfr. verbale sottoscritto dinnanzi ai Carabinieri di Martina Franca in data 25.6.2020)

Deve invece assolversi l’odierno imputato per il contestato reato di violenza sessuale a lui ascritto perché il fatto non sussiste. Il comportamento dell’imputato che si sia limitato a incitare la persona offesa, o a farla sentire in colpa pur di ottenere dei rapporti sessuali, non integra quella violenza psicologica idonea a coartare la libera volontà della vittima e necessaria ad integrare il reato in questione.

P.Q.M.

Visti gli artt. 152 e ss. e 531 c.p.p., dichiara non doversi procedere nei confronti di Fr.Lu.Pa. in relazione ai reati di cui agli artt. 81, 581 e 612 c.p. così riqualificato il reato di maltrattamenti contestato all’imputato perché estinti per intervenuta remissione di querela. Spese del procedimento a carico dell’imputato come per legge.

Visto l’art. 530 c.p.p. assolve Fr.Lu.Pa. dal reato di violenza sessuale a lui ascritto perché il fatto non sussiste.

Riserva il deposito della motivazione entro il termine di giorni novanta.

Così deciso in Taranto il 27 settembre 2021.

Allegati

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