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Tribunale Bari sez. I, 12/08/2022, n.3660

Massima

Nel delitto di maltrattamenti in famiglia, il dolo non richiede la sussistenza di uno specifico programma criminoso verso il quale sia finalizzata, fin dalla loro rappresentazione iniziale, la serie di condotte tale da cagionare le abituali sofferenze fisiche o morali della vittima, essendo, invece, sufficiente la sola consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima.

Supporto alla lettura

Maltrattamenti in famiglia

Il reato di maltrattamenti in famiglia si colloca nella parte del codice penale dedicata ai delitti contro la famiglia e l’assistenza familiare, caratterizzati dal fatto che l’offesa deriva da membri dello stesso gruppo familiare al quale appartiene la vittima.
In realtà, limitare alla famiglia l’oggetto giuridico del reato ex articolo 572 del codice penale, sarebbe fuorviante.
In primo luogo perché, anche in base alla interpretazione letterale, il bene giuridico protetto è l’integrità psicofisica e morale della vittima.
In secondo luogo perché rispetto agli altri reati previsti nel titolo XI del codice penale, il soggetto passivo non è necessariamente un familiare dell’agente, ma chiunque abbia con lui una relazione qualificata (rapporto di convivenza, sottoposizione per ragioni di autorità, affidamento per ragioni di educazione, cura, istruzione, vigilanza, custodia, esercizio di una professione o arte).
Ne consegue che l’effettivo fondamento giuridico dell’art 572 c.p. deve essere rinvenuto nella stabilità del vincolo affettivo e/o umano tra l’agente e soggetti ritenuti “deboli” ed esposti a episodi di sopraffazione da parte del soggetto “forte”, anche in applicazione di quanto previsto dalla ratificata Convezione di Lanzarote del 2007.
Tra i vari interventi che hanno modificato l’art. 572 c.p. negli anni, si ricorda:

  • la legge n. 172 del 2012 con la quale il legislatore ha incluso i semplici conviventi nel novero delle vittime di maltrattamenti;
  • la legge 69 del 2019 (c.d. Codice Rosso) che ha inasprito il regime sanzionatorio, soprattutto per contrastare episodi di c.d. violenza domestica e che ha inserito l’ultimo comma dell’articolo 572 c.p. che prevede che il minore che assiste ai maltrattamenti familiari debba essere considerato persona offesa.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

A seguito di richiesta del Pubblico Ministero di rinvio a giudizio, al termine dell’udienza preliminare, con decreto del 26.10.2021 si procedeva, innanzi al Tribunale in composizione monocratica, nei confronti di Vo.Do., in ordine al delitto a lui ascritto, come descritto in epigrafe.

All’udienza del 2.02.2022, verificata la regolare costituzione delle parti, il Pubblico Ministero modificava l’imputazione contestando anche la circostanza aggravante prevista dall’articolo 572 co. 2 c.p. dell’aver commesso il fatto ai danni di persona con disabilità ai sensi dell’articolo 3 della Legge n. 104/1992 e sollevava eccezione di attribuzione del reato al Tribunale in composizione collegiale. Il Giudice monocratico disponeva la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio e del verbale recante la modifica dell’imputazione, trasmettendo il fascicolo a questo Collegio per l’ammissione delle prove e l’eventuale restituzione nel termine per la richiesta di riti alternativi.

All’udienza del 4.05.2022, accertata la regolare costituzione delle parti, la difesa chiedeva preliminarmente l’ammissione al rito abbreviato condizionato all’acquisizione della documentazione sanitaria presso l’ospedale San Paolo e di quella depositata presso i servizi sociali intervenuti nell’immediatezza dell’arresto del Vo.Do.

Il Tribunale, sentito il PM che non si opponeva, ammetteva il giudizio abbreviato condizionato acquisendo la documentazione prodotta e rinviando ad altra data per la discussione.

All’udienza del 6.07.2022, il Pubblico Ministero ha chiesto la condanna dell’imputato alla pena di anni tre di reclusione con concessione delle attenuanti generiche è la difesa l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste, in subordine il minimo della pena con riconoscimento delle attenuanti generiche.

All’odierna udienza del 13.07.2022, non avendo il Pubblico Ministero repliche da formulare, il Tribunale dopo la camera di consiglio ha dato lettura, in udienza, del dispositivo della sentenza.

Diritto

Motivi della decisione

Sulla base delle prove legittimamente acquisite, deve essere affermata la responsabilità penale di Vo.Do., in ordine al delitto di cui all’art. 572 c.p. a lui ascritto.

La prova della responsabilità si ricava alla luce dell’attività svolta durante le indagini preliminari, i cui esiti sono legittimamente utilizzabili in forza della scelta del rito a forma contratta, da cui emerge che l’imputato era stato denunciato il 16 aprile 2020 da Vo.Sa. che aveva dichiarato di essere rientrato dal Belgio il 13 febbraio e di avere in uso una camera nella casa paterna dalla quale sentiva i continui lamenti del padre, il quale veniva aggredito dal fratello Do. con pugni sul viso, schiaffi in testa ed insultato con frasi del tipo “trimone, sordomuto, lurido”. A suo dire, Do. lo aveva accolto in casa a condizione che rimanesse chiuso nella sua stanza e da allora il denunciante aveva percepito, soggiornando nella stanza attigua, che il fratello picchiava selvaggiamente con pugni e schiaffi il padre ogni volta che gli cambiava il pannolone, urlandogli epiteti ingiuriosi.

Sa. aveva aggiunto che il 23 marzo aveva visto il padre con le braccia legate bloccate tra loro con una corda e pieno di lividi; l’ultima volta che il padre era stato aggredito dal fratello era stato il 14 aprile; pertanto, aveva deciso di sporgere denuncia.

La denuncia era stata integrata due giorni dopo dalla sorella Vo.Ma., la quale aveva dichiarato di non vedere il padre, non deambulante e affetto da demenza senile, da circa uri anno a causa dell’opposizione del fratello Do. che aveva anche cambiato la serratura di casa per impedirle l’accesso; di essere riuscita una volta a far intervenire una pattuglia della Polizia di Stato per accertare le condizioni fisiche del genitore ed in quella circostanza i poliziotti le avevano riferito che le condizioni igieniche sanitarie erano carenti. Aveva confermato di aver appreso da Sa. delle aggressioni verbali e fisiche subite dal padre.

A seguito delle due denunce, i Carabinieri della Stazione di Bari San Paolo avevano riferito all’A.G. con c.n.r. del 21.4.2020 e avevano eseguito l’attività investigativa delegata. dalla Procura, trasmettendone gli esiti. Avevano acquisito tra l’altro l’annotazione della Questura di Bari del 30 gennaio 2019, da cui emergeva che una pattuglia era intervenuta in via (…) 21, alle 10:40 a seguito di segnalazione di una lite familiare in atto, apprendendo da Vo.Ma., presente sul posto, che il fratello Do. le impediva di accertarsi delle condizioni del padre avendola cacciata fuori dall’appartamento. Nell’occasione Vo.Do. aveva confermato di aver litigato con la sorella per motivi legati ad aspetti economici mai risolti e ad ammanchi perpetrati dalla sorella in danno del padre e che per tali motivi non gradiva le sue visite.

In data 23.04.2020 era stata sentita a sit Vo.Ma., la quale dichiarava che nell’anno 2018 ed anche prima, il padre Vo.Ba., in quanto ancora autonomo e deambulante, era solito recarsi a casa sua per farle visita. Poiché nel periodo tra la fine 2018 ed inizio 2019 non riceveva più le visite del padre, aveva deciso di recarsi nella abitazione patema, ove abitava anche il fratello Do.. In quella occasione il padre le era sembrato molto trascurato, sporco, con capelli e barba lunga e le aveva raccontato che il fratello era solito dargli da mangiare, prenderlo a schiaffi e mandarlo a dormire. Nei 15 giorni successivi, non avendo più notizie del padre, era ritornata nell’abitazione per controllare la situazione ed il fratello Do. l’aveva bloccata per il braccio ed accompagnata fuori dal cancello urlandole che lei non aveva alcun diritto ad entrare in quella abitazione; Nella circostanza la Vo.Do. aveva chiamato la polizia e quando gli agenti erano giunti non le avevano consentito di entrare in casa, ma, dopo l’ispezione dell’abitazione le avevano detto che le condizioni igieniche rinvenute erano pessime.

La circostanza appena menzionata risulta dall’annotazione redatta dalla Questura di Bari del 30 gennaio 2019 poco sopra riportata.

Un mese dopo aveva ricevuto una chiamata dal fratello che le comunicava che il padre stava male e che era stato ricoverato in ospedale. A questi seguirono ulteriori ricoveri nel 2019 che avevano bloccato a letto il genitore (1).

Il fratello Do., sempre più padrone della situazione, non le aveva più permesso di accedere all’abitazione del padre, cambiando la serratura, non consentendole di fargli visita. Solo con il rientro di Sa. che spesso si allontanava per lavoro all’estero, aveva saputo delle aggressioni ed aveva sporto denuncia.

Descriveva Do. come una persona violenta che, essendo celibe, aveva sempre vissuto con il padre, in quanto la madre era deceduta negli anni 80, mentre lei dall’età di 18 anni si era sposata e non abitava più con i suoi.

In pari data sentito anche Vo.Sa., questi dichiarava che sino al 2017, anno in cui si era trasferito per lavoro in Germania, il padre era autosufficiente ed attivo, usciva da solo e provvedeva da sé alle sue esigenze. Ogni qualvolta tornava dai suoi viaggi di lavoro, dimorava nella casa paterna con il fratello Vo.Do..

Quando nel marzo del 2019 era rientrato a casa, aveva trovato il padre allettato; da allora fino a settembre era rimasto a Bari. In quel periodo il fratello non era violento con il padre ed in una sola circostanza gli aveva dato uno schiaffo; alle proprie rimostranze, aveva ripetutamente schiaffeggiato anche lui.

A settembre 2019 era partito per il Belgio rientrando il 13 febbraio 2020, e da allora viveva in casa con il padre ed il fratello, subendo la violenza di costui, molto più grosso e più forte di lui. Non poteva dire nulla al fratello per paura di essere ammazzato.

Aveva scattato delle foto al padre in giorni diversi nel marzo e nell’aprile del 2020, consegnate ai carabinieri, per documentare le sue condizioni ed i segni visibili lasciati sul volto del genitore, ma non aveva mai personalmente assistito ad episodi di aggressione, pur avendo sentito i lamenti del vecchietto provenienti dalla sua stanza, che aveva ricondotto a maltrattamenti. In più, mentre il fratello era via, lo aveva trovato legato al letto, ed aveva provveduto a slegarlo.

Era nel possesso di registrazione audio da lui effettuata che riproduceva le minacce di suo fratello verso il padre (“… ora ti spacco l’altro orecchio se non ti stai zitto” …), che veniva acquisita agli atti unitamente alla trascrizione in forma integrale di conversazioni del 23 febbraio e 18 marzo 2020.

In una delle conversazioni registrate si sente un soggetto che, in dialetto barese, tra espressioni incomprensibili del suo interlocutore, dice: “hai rotto il cazzo, stai zitto che mo’ ti spacco l’altro orecchio”, imprecando e bestemmiando.

Il medico di medicina generale, Dottor Cr.Vi., che seguiva Vo.Ba. dal 1987 e in ADI (assistenza domiciliare integrata) da circa un anno, in data 24.04.2020 aveva riferito come al paziente fosse stata riconosciuta una invalidità pari al 100% per le diverse patologie da cui era affetto, tra cui un piede diabetico di severo grado, la demenza senile e la sordità, motivo per il quale incontrava grosse difficoltà nel comunicare. Proprio quel giorno, lo stesso si era recato presso l’abitazione del Vo.Do. per il controllo mensile delle sue condizioni di salute, riscontrando un quadro clinico stazionario ed una riapertura della lesione al piede diabetico.

Aveva precisato che nel corso dell’anno non aveva mai rilevato segni di violenza e di maltrattamenti, ma che in una occasione aveva notato una vistosa fasciatura all’orecchio sinistro che il figlio Do. gli aveva riferito fosse riconducibile ad una lesione dovuta agli spostamenti che eseguiva nell’assistenza patema. Oltre alle visite mensili del medico, in favore del Vo.Do. erano previsti degli accessi settimanali da parte di infermieri.

Nella certificazione del dottor Vi.Cr. datata 27/04/2020, richiesta dagli investigatori, si attesta che il paziente è portatore di pannolone per incontinenti e catetere vescicale con permanenza e che ha ottenuto il riconoscimento di invalido civile al 100% ed è titolare di pensione per inabilità assoluta e permanente, seguito in ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) con medicazione due volte alla settimana per un piede diabetico destro, per cambio catetere, prelievi ematici periodici. Si specifica che il quadro generale al momento della visita in pari data non presentava significative differenze rispetto alla precedente visita domiciliare del 3 marzo 2020.

L’infermiere della cooperativa Do., Iu.Da., ha dichiarato il 24.4.20 di non avere mai notato dei segni di violenza sul paziente, precisando di essere stato sostituito dall’infermiera Fa.Mo., la quale si occupava del Vo.Do., con due accessi settimanali, per cambio catetere vescicale, medicazione alla gamba per ulcera vascolare e per prelievo per terapia anticoagulante. Non aveva notato segni particolari che potessero generare sospetti di eventuali maltrattamenti.

Anche l’infermiere Sa.Ma., chiamato a sostituire la collega Fa.Mo., sentito a sit il 24.4.20, aveva asserito di non avere mai constatato la presenza di lesioni e/o segni di violenza sul paziente.

Infine, Fa.Mo., nelle sit del 24/04/2020, aveva riferito di svolgere la professione di infermiera per conto della cooperativa Do. e che a partire da Febbraio-Marzo 2020 aveva tra i suoi pazienti Vo.Ba., che seguiva per medicazioni alla gamba per ulcera vascolare, per cambio catetere vescicale, per prelievo per terapia anticoagulante con due accessi settimanali.

Anche lei non aveva mai notato nulla che potesse generare sospetti né la presenza di lesioni sulla sua persona. L’ultima volta, che si era recata dal Vo. era stato il 17 Aprile 2020.

Il 18 maggio 2020 Vo.Sa. si recava presso la Questura di Bari ove dichiarava che dal 13 febbraio 2020 viveva nell’abitazione di via (…) con il padre ed il fratello Do. e che suo padre subiva continuamente vessazioni e schiaffi dal fratello, tant’è che già il 16 Aprile aveva sporto denuncia ai carabinieri per episodi simili (2) e che anche sua sorella il giorno successivo aveva’ seguito il suo esempio (3).

Aggiungeva che quella mattina si era accorto che il padre ancora una volta era legato ad una sponda laterale di protezione del letto, assicurato da due polsiere elastiche con cinturini di fattura artigianale, unite da una cintura di corda nera, lunga circa un metro.

Da quanto riferito da Vo.Sa., l’abitazione era gestita esclusivamente da Vo.Do., nominato amministratore di sostegno del padre anziano, dal momento che per il suo carattere prepotente nessuno poteva avvicinarsi allo stesso. Do. percepiva una pensione sociale. Oltre ad aggredire il padre verbalmente e fisicamente, costringeva il fratello Sa., coinquilino, a rimanere nella sua camera vietandogli di girare liberamente per casa e di poter utilizzare la cucina, tant’è che molto spesso per mangiare si faceva portare dal nipote il cibo che consumava nella sua stanza.

Pertanto, Sa. aveva richiesto l’intervento sul posto della Polizia, che verificata la situazione, faceva intervenire la Polizia Scientifica per i rilievi fotografici.

L’abitazione era una casa popolare ubicata al secondo piano di una palazzina in via (…) a Bari, protetta da un cancello a grate in metallo di colore bianco, dopo il quale c’era una porta d’ingresso blindata. Al di là della porta d’ingresso l’appartamento è munito di un corridoio che comunica a destra con il soggiorno, che a sua volta si ricollega al cucinino e ad una stanza da letto chiusa, e a sinistra con uno sgabuzzino ed un ulteriore corridoio che conduce alla zona notte e ai due bagni.

L’ispezione e i rilievi fotografici effettuati dalla Polizia Scientifica evidenziavano lo stato in cui si trovava l’anziano con lividi alle mani e ai polsi assicurati dalle polsiere.

Gli agenti operanti chiedevano l’intervento del medico dell’ASL che aveva in cura Ba., Cr.Vi., il quale certificava al termine della valutazione sanitaria lo stato in; cui lo aveva rinvenuto, e precisamente allettato, legato con delle polsiere da contenimento e con un esito di lesione sul dorso del naso. Precisava di non aver mai visto nelle visite precedenti strumenti utilizzati per contenzione a letto e che l’uso degli stessi non era stato rilevato neppure dagli infermieri che pure accedevano due volte alla settimana per medicazioni e cambio catetere, aggiungendo che non vi fosse alcuna indicazione all’uso di qualsivoglia sistema di costrizione, in ordine al quale non gli era stata mai fatta richiesta specifica da parte dei figli.

E’ utile evidenziare che, alla presenza dei poliziotti e del dott. Cr., l’anziano, scambiando il figlio Sa. per Do., gli chiedeva di legarlo, in quanto le cinture erano staccate.

Gli Agenti contattavano telefonicamente Vo.Do., momentaneamente fuori casa per la spesa, invitandolo a rientrare per fornire i dovuti chiarimenti di tale situazione.

Con riferimento all’intervento della Polizia v’é in atti l’annotazione redatta dalla Questura di Bari il 18 maggio 2020 presso l’abitazione di Vo.Ba. su segnalazione di Sa., con il verbale dei rilievi descrittivi dei luoghi e fotografici.

A seguito delle denunce-querele e dell’intervento delle Forze di Polizia, Vo.Do. in data 29.05.2020 veniva attinto dalla misura cautelare del divieto di dimora nella città di Bari, misura sostituita con il divieto di avvicinamento, in data 6.7.20, dal Tribunale del riesame che purè confermava la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

A seguito dell’applicazione della misura cautelare, la cura del padre era passata al figlio Vo.Sa., il quale, coadiuvato dalla sorella Ma., che si recava in visita quasi ogni giorno, aveva risolto una serie di problematiche sorte nel corso della convivenza dell’anziano congiunto con il fratello Do..

Nello specifico, Sa., sentito nuovamente il 12 giugno 2020 aveva dichiarato che dal giorno in cui il padre era stato affidato a lui, aveva adottato degli accorgimenti ed in particolare gli aveva fatto indossare dei bermuda sul pannolone, così scongiurando che si toccasse e si sporcasse con le feci. Gli metteva dei guanti in lattice per evitare che il padre si toccasse il viso e la testa graffiandosi, ed in più aveva iniziato a farlo alzare dal letto e a farlo mangiare in cucina seduto sulla sedia a rotelle, in quanto l’anziano non era in condizioni di farlo da solo e di deambulare. A dire di Sa., le sbarre laterali del letto erano idonee ad impedire che cadesse.

Anche Ma.Vo., risentita il 12.6.20, nello stigmatizzare la sporcizia che aveva rinvenuto nella casa paterna dopo l’accesso della Questura, aveva confermato che il fratello Sa. aveva risolto i problemi lamentati da Do., facendo indossare al padre dei bermuda, avendone cura e facendolo sedere su una sedia a rotelle e portandolo in cucina a consumare i pasti.

Dopo il controllo mensile del 13.6.20 il dott. Cr. aveva affermato che la situazione in effetti risultava nettamente migliorata rispetto a quella precedente, sia sotto l’aspetto igienico sia sotto l’aspetto medico, dal momento che Vo.Ba. si presentava con un viso roseo e senza ferite ed altri segni nelle varie parti del corpo. Il letto, pur non essendo a norma, non consentiva cadute, né Do., a dire del sanitario, gli aveva mai rappresentato problemi per il catetere o il pericolo di cadute. D’intesa con Sa. avevano concordato di fare utilizzare all’anziano durante la notte i guanti in lattice per evitare che si graffiasse (v. verbale sit Cr.Vi. del 13.6.20).

Tuttavia, il giorno 15.06.2020 Vo.Ba. era stato portato d’urgenza al pronto soccorso dell’ospedale San Paolo, per via di una caduta dalla sedia a rotelle su cui era stato riposto dal figlio Sa. per la colazione (4). Quest’ultimo si era distratto un attimo per recarsi in cucina a spegnere il gas e in quel momento il padre era caduto per terra procurandosi un trauma cranico. Vo.Ba. veniva inizialmente ricoverato presso l’Ospedale San Paolo di Bari e successivamente trasferito presso l’ospedale di Terlizzi in trattamento di lungodegenza. Nell’occasione era stata avanzata da Vo.Ma. una richiesta di trasferimento presso una struttura residenziale RSA con sede a Mola di Bari.

In seguito, sia Vo.Sa. che la sorella Ma. non avevano preso contatti con il servizio sociale per aggiornamenti o informazioni e, a causa del Covid-19, non avevano potuto interfacciarsi direttamente con il genitore per sincerarsi delle condizioni di salute, durante il periodo di degenza in ospedale, ma si erano limi rati giornalmente a portargli il cambio biancheria.

Solo successivamente erano riusciti ad ottenere il permesso di visita, nella prima mattinata, fino alla data del decesso, avvenuto in data 6.8.2020 (per complicanze derivanti dalla grave insufficienza renale e dalle altre patologie), presso l’ospedale di Terlizzi di cui, a dire di Sa., non era stata comunicata la causa ai figli.

Tesi difensiva

Nell’interrogatorio di garanzia Vo.Do. aveva dichiarato di essere disoccupato dal 2017 e di non avere più cercato lavoro per poter assistere il padre che nel frattempo si era ammalato e con cui viveva in una casa popolare intestata al genitore.

Negava di avere ingiuriato e picchiato il padre, limitandosi a rimproverarlo aspramente tra sé e sé quando si sporcava e lui era, pertanto, costretto a lavarlo e a cambiarlo e a sostituire la biancheria.

Ammetteva sia di avergli rivolto parole offensive in momenti di rabbia e di stanchezza a causa della fatica che gli costava, senza poter contare sull’aiuto di altri, cambiarlo, dargli da mangiare ed assisterlo, sia di averlo legato con manette artigianali, da lui stesso realizzate, quando andava a fare la spesa e durante la notte perché non si sporcasse, non si togliesse il catetere e non cadesse dal letto. Precisava di averlo fatto in buona fede e di non averne parlato con il sanitario perché aveva costruito le polsiere poco prima che il medico si recasse all’abitazione per la visita mensile. Non aveva pensato di chiedere agli infermieri – che pure andavano 2 volte alla settimana per il prelievo del sangue – come fare per evitare che il padre si sporcasse né di confrontarsi sulla opportunità di mettere le polsiere per bloccarlo.

Quanto al rapporto con i fratelli sosteneva che costoro lo odiassero.

Il fratello Sa. era sempre lontano da casa in cerca di lavoro ed era tornato dal Belgio il 13.2.2020, ma da quel momento si era di sua iniziativa chiuso a chiave in camera non facendosi vedere neppure per mangiare, né aveva fornito alcun contributo nell’assistenza del padre.

Precisava che “questo divieto di incontro” con il fratello non lo aveva imposto lui.

Aggiungeva che era stato Sa. una volta a minacciarlo con il coltello e da ciò era scaturito un processo penale definito con decreto penale di condanna (come documentato dal difensore, ndr); lui in un’altra occasione gli aveva dato degli schiaffi, “fraterni” (5), perché gli aveva risposto male.

Anche sua sorella lo detestava perché lui – che era stato nominato amministratore di sostegno senza che i germani, a suo dire, si opponessero – percepiva la pensione e l’indennità di accompagnamento del padre, per un importo di Euro 1.171.

Non aveva mai utilizzato i soldi per spese personali voluttuarie a differenza della sorella che in passato si era appropriata di denaro del padre che quest’ultimo portava a casa della donna.

Anche quando il padre era stato ricoverato d’urgenza, i fratelli non erano mai andati a visitarlo ed era stato lui a fare avanti e indietro dall’ospedale e a dargli da mangiare.

La ferita all’orecchio fotografata dal fratello se la era auto-procurata, grattandosi, il padre, che si faceva anche uscire il sangue dal naso con le dita. L’anziano aveva lividi sul corpo a causa della fragilità capillare derivante dall’assunzione dell’anticoagulante Co..

Valutazione degli elementi di prova

All’esito della ricostruzione anche cronologica della vicenda fattuale è emersa una situazione di degrado socio-culturale e di insoluti conflitti familiari, per motivi economici, che avevano fatto si che l’anziano Ba., soggetto del tutto non autosufficiente, non deambulante, affetto da sordità e demenza senile e con enormi difficoltà comunicative, come confermato dal medico curante, restasse affidato alle sole e inadeguate cure dell’odierno imputato, nonostante la presenza di una figlia, residente in altra abitazione nello stesso Comune di Mola di Bari, e di un altro figlio, che trascorreva lunghi periodi all’estero per lavoro, alternati a periodi di permanenza in Mola.

L’anziano era intestatario di un alloggio popolare e titolare di una pensione di invalidità, sicché il figlio Do., che non svolgeva alcuna attività lavorativa e si era fatto nominare amministratore di sostegno dal settembre precedente, era rimasto nell’abitazione paterna, impedendo di fatto alla sorella Ma. di fare visita al genitore, come riferito da quest’ultima e confermato da Sa., il quale a sua volta, quando era rientrato a Mola di Bari dall’estero, era stato “ospitato” dal germano, ma a condizione di non interferire nella gestione domestica e di restare sostanzialmente rintanato nella sua stanza.

A fronte delle precise accuse dei germani, i quali le hanno documentate depositando i file di conversazioni, per la verità non molto intellegibili, da cui emergerebbe l’atteggiamento verbalmente aggressivo e sopraffattore dell’imputato nei confronti dell’assistito, il prevenuto ha addotto trattarsi di calunnie a causa del risentimento provato dai fratelli verso di lui che percepiva la pensione del padre ed usufruiva della casa genitoriale.

L’imputato ha messo in evidenza l’odio dei fratelli nei suoi confronti e come gli stessi non si fossero mai interessati di prendersi cura del padre, motivo per il quale se ne era assunto lui l’intero carico. Ha smentito tutte le accuse di maltrattamenti, sia pure ammettendo di essere solito rimproverarlo quando il malato si sporcava, e di usare delle cinghie da lui realizzate con cui lo legava alla sponda laterale del letto, sia durante la notte, sia quando usciva, per evitare che il padre cadesse dal letto o si sporcasse inserendo le mani nel pannolone.

In riferimento alle ferite presenti all’orecchio e al naso, di cui alle foto in atti, il figlio le ha attribuite al continuo grattarsi la parte interessata, mentre i lividi sul corpo sono stati associati agli effetti della somministrazione dell’anticoagulante Co..

La presente vicenda deve essere ricostruita senza l’ausilio della versione dei fatti della vittima, che all’epoca della denuncia dei due figli non era nelle condizioni di rendere valida testimonianza per le sue critiche condizioni di salute psico-fisica e per la difficoltà nel comunicare, evidenziata anche dal medico curante.

Occorre, pertanto, far riferimento alle accuse formulate dai due fratelli, la cui attendibilità tuttavia appare inquinata dai pessimi rapporti intercorsi con il fratello Do. e che, pertanto, all’epoca avevano un interesse personale, oltre che economico, a rendere le dichiarazioni a lui sfavorevoli fornite alle Forze dell’Ordine.

Come è noto, l’attendibilità intrinseca deve essere valutata, sotto il profilo oggettivo, secondo i parametri dell’analiticità delle dichiarazioni, dell’intima coerenza e della reiterazione costante ed uniforme e, sotto il profilo soggettivo, guardando alle qualità personali, morali, intellettive e sensitive del teste.

In tema di valutazione della prova dichiarativa, il giudice, pur essendo indubbiamente tenuto a valutare criticamente il contenuto della testimonianza, verificandone l’attendibilità, non è però tenuto ad assumere come base del proprio convincimento l’ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso, salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere.

In altri termini, il giudice deve limitarsi a verificare l’intrinseca attendibilità della testimonianza stessa, partendo però dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste riferisce fatti obiettivamente veri, o da lui ragionevolmente ritenuti tali. Con l’avvertenza che l’espressione “fino a prova contraria” non significa che la deposizione testimoniale non possa essere disattesa, se non quando risulti positivamente dimostrato il mendacio, ovvero il vizio di percezione o di ricordo del teste, ma solo che devono esistere elementi positivi atti a rendere obiettivamente plausibile l’una o l’altra di dette ipotesi (Cass. 27185/2014).

Certo è che i due germani, che pure non si sono costituiti parte civile nel processo, sentiti più volte separatamente, hanno sempre ribadito le loro accuse e fornito una versione coerente e puntuale degli avvenimenti, che non ha subito modifiche nel tempo né risulta in contraddizione logica rispetto alle prime affermazioni. Inoltre, Ma. ha confermato di aver appreso da Sa. delle umiliazioni. e aggressioni verbali di Do. e dei mezzi di contenzione (il cui uso è stato documentato dai rilievi fotografici e constatato dagli operanti di P.G.), adoperati per tenere bloccato il padre, di cui Sa. udiva dalla sua stanza i continui lamenti.

Delle ingiurie e minacce verbali v’è riscontro nelle conversazioni trascritte delle registrazioni consegnate dai fratelli, e dell’utilizzo di polsiere v’è documentazione fotografica, effettuata sia dà Sa. in precedenti, circostanze che in occasione del sopralluogo della polizia Scientifica del 18 maggio 2020.

Peraltro, del ricorso alle ingiurie, bestemmie e recriminazioni verbali nonché dei legacci durante la notte ed in occasione delle sue uscite, ha dato atto lo stesso imputato, sia pure fornendo le proprie giustificazioni, adducendo una sorta di stato di necessità, scriminante espressamente invocata dalla difesa nella sua memoria e nell’arringa finale.

Pertanto, i testi di accusa, alla luce delle ulteriori risultanze e dei riscontri, risultano credibili e le dichiarazioni intrinsecamente attendibili, avendo entrambi evidenziato, senza nasconderli, i motivi di dissapore con il fratello, nei cui confronti non hanno peraltro inteso costituirsi parte civile.

Che Do. non intendesse avvalersi dell’aiuto della sorella nell’accudimento del padre è confermato dalla richiesta di intervento di Ma. a fine gennaio 2019 e dall’annotazione della Questura di Bari che aveva dato atto dell’inutile tentativo della donna di andare a fare visita al padre e del rifiuto opposto dal fratello.

Alla luce di tale precedente atteggiamento oppositivo, è verosimile che quando il fratello Sa. era tornato dal Belgio, Do. gli avesse imposto delle precise regole tra cui quella di non interferire nelle modalità di gestione del genitore, e che Sa., pur di avere un tetto sotto cui vivere, avesse accettato dette condizioni, salvo poi indursi, sia pure a distanza di tempo, esasperato dai lamenti e turbato dal vederlo assicurato a letto con le polsiere, a denunciare il costante comportamento aggressivo agito nei confronti dell’anziano.

Gli altri soggetti sentiti, che periodicamente visitavano per motivi medico-sanitario l’anziano, sia pure affermando di non avere notato segni di violenza, hanno dichiarato di non essere mai stati interpellati sull’uso di mezzi di contenimento per evitare che il malato potesse sporcarsi o graffiarsi, il che induce già di per sé grosse perplessità in ordine all’asserita buona fede dell’imputato.

La mancanza di referti medici attestanti la causazione di lesioni per aggressioni fisiche (volendosi dare credito al fatto che le escoriazioni al naso e all’orecchio fossero state autoprocurate dall’infermo) non rileva ai fini di escludere il reato di maltrattamenti, che non necessariamente deve comportare danni fisici evidenti, ma che si può manifestare anche in una serie di atti lesivi della libertà e del decoro del soggetto passivo, nei confronti del quale viene posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica e programmata, tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa sotto l’aspetto psichico.

Detti atti, isolatamente considerati, potrebbero essere anche non punibili o non perseguibili, ma acquistano rilevanza penale proprio per effetto della loro reiterazione nel tempo e a cagione della loro vessatorietà, idonea a determinare sofferenza fisica e morale e umiliazione nella persona offesa.

Dalla ripetitività delle minacce e ingiurie e dalle modalità di trattamento della persona offesa, che era accudita con insofferenza e maneggiata senza attenzione, lasciata sistematicamente a letto, legata nelle ore notturne e anche in quelle diurne, quando il figlio usciva, senza che costui neppure si premurasse di chiedere al fratello presente in casa di occuparsi del genitore e non consentendo neppure alla sorella di fare visita al genitore, in sostanza rifiutando qualsiasi forma di contributo all’assistenza, si ricava un sistema di vita abitualmente doloroso ed avvilente per la vittima, consapevolmente instaurato dall’agente.

Si pensi alle continue recriminazioni, agli accessi d’ira, alle umiliazioni e alle imprecazioni testimoniati dalle registrazioni prodotte, ed ammesse dallo stesso imputato, di fronte alla incontinenza fisiologica della vittima, al generale clima di mortificazione generato in un uomo inerme e malato, incapace di reagire e difendersi (6), nonché alla volontaria deprivazione degli affetti degli altri stretti congiunti, impediti dal fargli visita.

Do., da un lato, evitava che i fratelli potessero rivendicare il diritto ad un sia pur minimo contributo economico in caso di assistenza paterna, così volontariamente impedendo al padre di fruire dell’affetto e della compagnia degli altri due figli, dall’altro, faceva in modo che i germani non potessero rendersi conto delle condizioni di vita del vecchietto (ed infatti Sa. aveva intuito quel che accadeva nella stanza attigua del genitore dalle grida ed imprecazioni del fratello e dai lamenti del malato), il che consente di ritenere sussistente anche l’elemento psicologico richiesto dalla fattispecie incriminatrice.

Ne può ragionevolmente ritenersi che ricorresse lo stato di necessità con riferimento all’uso di strumenti di contenimento.

Ed infatti, a parte l’obiezione secondo cui Do. avrebbe potuto chiedere la collaborazione degli altri fratelli durante le sue assenze ovvero per provvedere alle spese alimentari, e ciò non aveva deliberatamente fatto, è significativo che non si fosse per nulla consultato con il medico e con gli infermieri, che si occupavano avvicendandosi nelle frequenti visite a domicilio, su come evitare che Ba. manipolasse il tubo del catetere e lo staccasse e di notte potesse sporcarsi inserendo le mani nel pannolone, né aveva mai accennato a tali problematiche.

Del resto, onde evitare che l’uomo cadesse dal letto, era stata apposta una sponda laterale visibile nelle foto in atti che ben poteva essere sufficiente.

E che ci potessero essere delle modalità alternative all’utilizzo di invasivi strumenti di restrizione della libertà di movimento, lo dimostra il fatto che, come detto, dopo l’allontanamento di Do., Sa. aveva risolto il problema semplicemente facendo indossare al padre dei bermuda sopra il pannolone, e munendolo di guanti in lattice durante la notte per evitare sfregamenti e graffi.

In proposito, deve sottolinearsi la circostanza riferita dal dott. Cr. secondo cui la situazione generale e finanche il colorito del Ba. fossero notevolmente e visibilmente migliorati dopo che lo stesso era stato affidato alle cure del figlio Sa.

Neppure può parlarsi di consenso da parte dell’anziano all’utilizzo delle polsiere, tenuto conto delle condizioni psico-fisiche dell’uomo affetto da demenza senile, del tutto incapace di provvedere a se stesso e di prestare un valido consenso.

Infine, il fatto che, a distanza di un mese dall’irruzione delle Forze dell’Ordine, il genitore fosse caduto dalla sedia a rotelle dove era stato sistemato dal figlio Sa., non giustificherebbe a posteriori la necessità delle misure di contenimento, dal momento che l’incidente occorso era derivato da una distrazione del congiunto e avrebbe potuto essere evitato mediante una cintura di sicurezza.

Il requisito dell’abitualità di cui all’art. 572 c.p. non richiede che le condotte siano realizzate in un tempo prolungato e non è escluso, :dal fatto che gli atti lesivi si siano alternati con periodi di normalità (avendo in proposito Vo.Sa. che nel 2019 non aveva mai notato atteggiamenti aggressivi), essendo sufficiente che essi si siano ripetuti, anche in un lasso di tempo limitato, come espressione di un atteggiamento di prevaricazione e sopraffazione da parte del soggetto attivo, tale da determinare uno stabile stato di sofferenza.

Sul punto, la giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare che: “Integra l’elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 cod. pen.) il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura’ vessatoria che determinano sofferente fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, e non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo. (Fattispecie in cui la condotta contestata, consistita nell’ingiuriare, minacciare ed aggredire fisicamente la vittima, tenendo, altresì, atteggiamenti palesemente denigratori nei suoi confronti era stata attuata nel corso di tre mesi di convivenza frammezzata da periodi di quiete)” (cfr. Cass. Pen., Sez. 3, Sentenza n. 6724 del 22/11/2017 Ud. (dep. 12/02/2018) Rv. 272452).

La Suprema Corte ha avuto modo anche recentemente di ribadire che lo stato di inferiorità psicologica in cui precipita la persona offesa dal reato di maltrattamenti non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo annichilimento, ma può concretizzarsi in uno stato di avvilimento generale e sopraffazione conseguente alle vessazioni tale da impedire alla vittima di vivere con dovuta serenità la quotidianità domestica. Non è dunque richiesta una totale soggezione della vittima all’autore del reato, in quanto la norma di cui all’art. 572 c.p., nel reprimere l’abituale attentato alla dignità e al decoro della persona, tutela la normale tollerabilità della convivenza (Cass. Pen., sez. VI, Sentenza 18/02/2021, n. 17359).

Dal comportamento posto in essere dall’imputato, quantomeno nell’ultimo periodo di osservazione del fratello Sa., emerge la sussistenza del coefficiente psicologico doloso richiesto dalla norma incriminatrice.

Infatti, il dolo del delitto di maltrattamenti in famiglia è unitario e programmatico, nel senso che esso funge da elemento unificatore della pluralità di atti lesivi della personalità della vittima, e si concretizza nell’inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatoria che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando, in modo che il colpevole pone in essere le singole sopraffazioni nella consapevolezza di persistere in un’attività illecita posta in essere già altre volte e complessivamente finalizzata ad avvilire la personalità della vittima, a nulla rilevando, data la natura abituale del reato, che nel lasso di tempo preso in considerazione siano ravvisabili nella condotta del soggetto agente periodi di normalità e di intesa con il soggetto passivo né che il soggetto attivo sia animato dal fine di maltrattare la vittima (Cass. 15680/2013; Cass. 39927/2005).

Ancora, “Nel delitto di maltrattamenti in famiglia, il dolo non richiede la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale sia finalizzata, fin dalla loro rappresentazione iniziale, la serie di condotte tale da cagionare le abituali sofferenze fisiche o morali della vittima, essendo, invece, sufficiente la sola consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima” (cfr. Cass. Pen., Sez. 1, Sentenza n. 13013 del 28/01/2020 Ud. (dep. 27/04/2020) Rv. 279326).

Nella vicenda in esame, non vi è dubbio che sia stata consapevolmente e volontariamente instaurata dell’imputato una gestione del padre, invalido ed allettato, che era solo formalmente ed apparentemente accudente e rispettosa delle sue primarie esigenze di vita, (non avendo peraltro alcun interesse ad accelerare la morte del genitore, nella cui abitazione viveva e la cui pensione costituiva l’unica fonte di reddito dell’imputato), ma in realtà era caratterizzata, da un lato, dalla mancanza di quella solidarietà e pietas che ci si sarebbe dovuti aspettare da un figlio, e dall’altro, da frequenti manifestazioni verso il padre di insofferenza e di intolleranza rispetto agli oneri conseguenti alla non autosufficienza e al decadimento psico-fisico dell’uomo e rispetto alla necessità di una vigilanza costante.

Non v’è dubbio che il Vo.Do. fosse perfettamente conscio degli effetti di prostrazione psicologica e dolore anche fisico derivanti dalla sua condotta di palese irritazione e fastidio (quando ad esempio il padre si. sporcava e doveva essere cambiato, tanto da maneggiarlo senza la giusta attenzione e così provocargli, favoriti dall’anticoagulante, lividi ed escoriazioni) e dalla non necessaria legatura al letto con le polsiere, non concordata con i sanitari né a costoro comunicata, laddove meno invasive e meno limitanti precauzioni avrebbero potuto essere adottate nel rispetto della dignità e della libertà di movimento del malato.

Determinazione del trattamento sanzionatorio

L’imputato, alla luce delle risultanze processuali, appare meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche, in considerazione sia della non particolare intensità del dolo che ha sorretto la condotta criminosa, sia della situazione di disagio economico e di miseria socio-culturale in cui la vicenda si è inscritta, in presenza di un grave conflitto infra-familiare, che lo aveva indotto ad impedire i contatti tra i fratelli e la vittima.

Le dette attenuanti sono da ritenersi prevalenti rispetto alle contestate aggravanti del fatto commesso ai danni del padre invalido al 100% e disabile, dell’approfittamento da parte dell’imputato delle condizioni di minorata difesa del genitore, allettato e del tutto non autosufficiente, nonché dell’abuso delle relazioni domestiche, essendo stato, l’anziano padre convivente, affidato alle cure del figlio che ne era l’amministratore di sostegno e titolare di una precisa posizione di garanzia.

Quanto al trattamento sanzionarono, valutati i criteri di cui all’art. 133 c.p., si stima equa la pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, determinata partendo dalla congrua pena base di tre anni mesi quattro di reclusione per il delitto di cui all’art. 572 c.p., diminuita ad anni 2 e mesi 3 di reclusione in virtù del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti rispetto alle contestate aggravanti, e ridotta di un terzo per effetto della scelta del rito abbreviato.

Il Vo.Do. per i precedenti penali riportati non può beneficiare della sospensione della pena.

Dalla riconosciuta colpevolezza dell’imputato discende la condanna al pagamento delle spese processuali.

Il concomitante carico di lavoro impone l’individuazione di un termine non inferiore a novanta giorni per il deposito della motivazione.

P.Q.M.

Visti gli artt. 438, 442 e 535 c.p.p., dichiara Vo.Do. colpevole del reato ascrittogli, in concorso di attenuanti generiche, prevalenti sulle contestate aggravanti, e con la diminuente del rito, lo condanna alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visto l’art. 544, co. 3, c.p.p., indica il termine di 90 giorni per il deposito della sentenza.

Così deciso in Bari il 13 luglio 2022.

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