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Cassazione penale sez. VI, 18/10/2023, n.46797

Massima

In tema di maltrattamenti in famiglia, è ininfluente, ai fini del persistere del pericolo di condotte reiterative da parte di soggetto sottoposto a custodia cautelare per il reato commesso in danno del coniuge, la manifestata volontà della persona offesa di separarsi legalmente e di trasferirsi altrove. (In motivazione, la Corte ha precisato che, con riguardo ai reati di violenza domestica e contro le donne, vanno osservati gli obblighi di matrice sovranazionale, con particolare riguardo alla corretta valutazione e gestione dei rischi di letalità, di gravità della situazione, di reiterazione di comportamenti violenti, come previsto dall’art. 51 della Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, ratificata con l. 26 giugno 2013, n. 77, in un’ottica di prioritaria sicurezza delle vittime o persone in pericolo, che non può essere affidata alla iniziativa delle stesse).

Supporto alla lettura

Maltrattamenti in famiglia

Il reato di maltrattamenti in famiglia si colloca nella parte del codice penale dedicata ai delitti contro la famiglia e l’assistenza familiare, caratterizzati dal fatto che l’offesa deriva da membri dello stesso gruppo familiare al quale appartiene la vittima.
In realtà, limitare alla famiglia l’oggetto giuridico del reato ex articolo 572 del codice penale, sarebbe fuorviante.
In primo luogo perché, anche in base alla interpretazione letterale, il bene giuridico protetto è l’integrità psicofisica e morale della vittima.
In secondo luogo perché rispetto agli altri reati previsti nel titolo XI del codice penale, il soggetto passivo non è necessariamente un familiare dell’agente, ma chiunque abbia con lui una relazione qualificata (rapporto di convivenza, sottoposizione per ragioni di autorità, affidamento per ragioni di educazione, cura, istruzione, vigilanza, custodia, esercizio di una professione o arte).
Ne consegue che l’effettivo fondamento giuridico dell’art 572 c.p. deve essere rinvenuto nella stabilità del vincolo affettivo e/o umano tra l’agente e soggetti ritenuti “deboli” ed esposti a episodi di sopraffazione da parte del soggetto “forte”, anche in applicazione di quanto previsto dalla ratificata Convezione di Lanzarote del 2007.
Tra i vari interventi che hanno modificato l’art. 572 c.p. negli anni, si ricorda:

  • la legge n. 172 del 2012 con la quale il legislatore ha incluso i semplici conviventi nel novero delle vittime di maltrattamenti;
  • la legge 69 del 2019 (c.d. Codice Rosso) che ha inasprito il regime sanzionatorio, soprattutto per contrastare episodi di c.d. violenza domestica e che ha inserito l’ultimo comma dell’articolo 572 c.p. che prevede che il minore che assiste ai maltrattamenti familiari debba essere considerato persona offesa.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del riesame di Catania, adito dal ricorrente ai sensi dell’art. 310 c.p.p., ha ritenuto insussistenti elementi di novità rispetto alle esigenze cautelari già valutate con il provvedimento del Tribunale del 6 marzo 2023 con il quale era stata rigettata l’istanza di T.M. di revoca della custodia cautelare in carcere applicatagli per il delitto di maltrattamenti ai danni della moglie, aggravati dalla presenza dei figli minorenni, richiamando la condanna, emessa per detta condotta, il 20 febbraio 2023 alla pena di quattro anni di reclusione.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso l’indagato, con atto sottoscritto dal suo difensore, proponendo un unico motivo, sottoarticolato.

Rileva vizio di motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui esclude che l’ulteriore titolo detentivo a carico del ricorrente, per altro procedimento, faccia venire meno le esigenze cautelari con riferimento al pericolo di reiterazione della condotta criminosa in ragione dei molteplici benefici previsti dall’ordinamento per l’attuazione del regime carcerario, oltre che della richiesta di T.M. di concessione della misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova ai servizi sociali avanzata al Tribunale di sorveglianza.

Il ricorso, infatti, rappresenta non solo che a T. è stata revocata la citata misura alternativa con provvedimento del 24 agosto 2022, ma anche che l’effetto, ai sensi dell’art. 58-quater Ord. Pen., comma 2, è che non possa più ottenere la concessione della detenzione domiciliare o della semilibertà. Ne consegue che il ricorrente sarà costretto a restare in carcere sino al fine-pena, fissato nell’agosto 2024, con pregiudizio per il suo diritto di cura in quanto tossicodipendente visto che il Tribunale di sorveglianza di Catania il 29 giugno 2023 ha rigettato l’istanza proposta D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 94 richiamando proprio il titolo cautelare oggetto di ricorso.

Infine, il ricorso ritiene illogica la mancata valorizzazione della volontà della persona offesa di volersi separare legalmente dall’indagato, anche andando a vivere altrove cosicché l’eventuale titolo di reato, nel caso venissero reiterate le violenze, non sarebbe più quello di cui all’art. 572 c.p. ma quello di atti persecutori, la cui connotazione è differente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché generico e reiterativo.

2. Nell’ambito di un giudizio relativo ad una richiesta di sostituzione di misure cautelari, proposta a norma dell’art. 299 c.p.p., compete ai giudici di merito valutare se gli elementi addotti dall’interessato costituiscano fatti nuovi, anteriormente non valutati, idonei a mutare la situazione sulla quale si sia già formato il giudicato cautelare.

E’ di tutta evidenza che l’istanza di revoca presuppone un cambiamento, in senso favorevole all’indagato, degli elementi di accusa o l’attenuazione delle esigenze cautelari, che l’istante ha l’onere di indicare e che, nella specie, si riassumono nel non potere godere di benefici e misure alternative previste dall’art. 58-quater Ord. Pen., comma 2, avendo T. violato il regime dell’affidamento in prova al servizio sociale.

Sotto il profilo logico non è dato comprendere in che termini detta condotta avrebbe dovuto determinare il Tribunale del riesame a revocare la misura cautelare per altro delitto, quello di cui all’art. 572 c.p., tanto da escludere il rischio di recidiva e non, al contrario, comprovare il rafforzamento dell’adeguatezza della sola misura massimamente afflittiva, stante l’avvenuta revoca, dopo meno di tre mesi, di una misura alternativa, a cui T. era stato ammesso, e per ciò solo dimostrativa della sua totale inaffidabilità nel garantire il rispetto dei provvedimenti dell’Autorità giudiziaria.

2.2. In ordine al primo profilo delineato dal ricorso, concernente l’assenza di pericolo di reiterazione del reato, in ragione del contestuale stato detentivo dell’indagato per altro titolo, il Tribunale di Catania ha richiamato il costante orientamento di questa Corte secondo cui non è di per sé in contrasto con il pericolo di reiterazione atteso che, nel vigente ordinamento penitenziario, non vi sono titoli o condizioni detentive assolutamente ostativi alla possibilità di riacquistare, anche per brevi periodi, la condizione di libertà (Sez. 4, n. 484 del 12/11/2021, dep 2022, Abouelseoud, Rv. 282416).

A ciò si aggiunge, sempre in termini generali, che “Qualunque titolo detentivo (cautelare o definitivo) può andare incontro a estinzione a causa dell’incidenza delle più varie situazioni, la cui cognizione e valutazione implica, ordinariamente, la competenza di organi di differenti, ciascuno dei quali può influire come ovvio unicamente nell’ambito del procedimento devoluto la sua sfera decisionale, potendo un determinato titolo restrittivo essere caducato per cause non sottoposte al controllo del giudice vestito dall’altro titolo. Diversità di perimetro cognitivo, oltre che di competenze, che rende impraticabile una valutazione prognostica, da parte di quel giudice, riferita ad altri titoli, in specie se afferenti altri ambiti procedimentali (cautelari o esecutivi)” (Sez. 1, n. 3762 del 04/10/2019, dep. 2020, Bastone, Rv. 278498, in motivazione).

Questi principi assumono una valenza ulteriore e richiedono una lettura ancora più rigorosa, allorché si tratti di prevenire il rischio di recidiva dei reati di violenza contro le donne e, in particolare, di quello in questa sede contestato di violenza domestica, in una prioritaria dimensione di tutela della persona offesa, che il ricorso non menziona se non nei termini che si esamineranno nel paragrafo che segue.

Ne’ può ritenersi che la misura custodiale applicata a T. per il delitto di violenza domestica gli precluda ex lege il diritto alle cure mediche o a seguire programmi di recupero come tossicodipendente.

Infatti, il Tribunale di sorveglianza di Catania, come risulta dal provvedimento allegato al ricorso, ha rigettato l’istanza di affidamento in prova presentata ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94 – non oggetto di valutazione del Tribunale del riesame perché successiva – per una prognosi sfavorevole in ordine ai presupposti di cui al comma 4 della citata disposizione (ritenere il programma idoneo al recupero del condannato ed assicurare la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati) in considerazione della sua “attuale e ingravescente pericolosità sociale e spiccato pericolo di fuga” per come desumibile dalla particolare gravità dei reati commessi oltre che dei numerosissimi gravi carichi pendenti per “maltrattamenti, lesioni personali gravi e violazione di domicilio, per fatti consumati fino al 26.7.2022”, peraltro mentre si trovava in affidamento in prova al servizio sociale e tale da renderlo “soggetto inaffidabile”. Solo in subordine, e come mera constatazione, il Tribunale del riesame dà conto anche dell’ineseguibilità di una misura alternativa proprio alla luce della misura cautelare in atto.

Al di là della valutazione negativa contenuta nel provvedimento richiamato, non vi è alcuna preclusione rispetto al diritto di cura e disintossicazione di T. visto che il sistema penitenziario gli mette a disposizione appositi programmi terapeutici e socio-riabilitativi per provvedervi, come previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 95 e 96.

2.3. Il provvedimento impugnato, con apprezzamenti di fatto immuni da illogicità e mostrando di conoscere la specificità dei delitti di violenza nelle relazioni strette, ha ritenuto del tutto ininfluente la dichiarazione della persona offesa circa la volontà di separarsi legalmente dal T. in quanto, anche se ciò avvenisse, non escluderebbe il rischio che questi, rimesso in libertà, proseguirebbe comunque le condotte violente.

L’argomento difensivo relativo alla qualificazione giuridica dell’eventuale protrazione del delitto, come atti persecutori anziché come maltrattamenti, è del tutto irrilevante sotto diversi profili.

Innanzitutto, non tiene conto che le condotte vessatorie nei confronti del coniuge, sorte in ambito domestico, allorché proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, vanno qualificate ai sensi dell’art. 572 c.p. in quanto il coniuge resta “persona della famiglia” fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza (Sez. 6, n. 45400 del 30/09/2022, R., Rv. 284020); inoltre, perché non tiene conto della loro omogeneità, trattandosi di delitti qualificabili entrambi di violenza di genere e con vittima determinata (Sez. 6, n. 9187 del 15/09/2022, dep. 2023, C., non massimata), infine, perché non considera che la finalità della misura cautelare è quella di evitare il concreto e attuale pericolo della commissione di gravi delitti con uso anche di mezzi di violenza personale o comunque della stessa specie di quello per cui si procede, condizioni sussistenti in entrambe le fattispecie indicate.

Peraltro, diversamente da quanto scritto nel ricorso, l’Autorità giudiziaria non tutela la vittima affidandosi a lei e auspicando che vada a vivere altrove o si allontani “dall’incivile coniuge” (pag. 2) per arginare o escludere il rischio di reiterazione del delitto ai suoi danni, ma è obbligata ad intervenire esclusivamente sull’autore affinché non commetta ulteriori condotte illecite (Corte EDU sentenza Talpis contro Italia del 2 marzo 2017; I.M. e altri contro Italia del 10 novembre 2022; Landi contro Italia del 7 aprile 2022; M.S. contro Italia del 7 luglio 2022; De Giorgi contro Italia del 16 luglio 2022).

In conclusione, il provvedimento si colloca in linea con gli obblighi sovranazionali gravanti sull’Autorità giudiziaria, alla luce della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (detta Convenzione di Istanbul), ratificata con L. 27 giugno 2013, n. 77, che impone innanzitutto una corretta valutazione dei rischi di letalità, di gravità della situazione, di reiterazione dei comportamenti violenti, come sancito dall’art. 51 della Convenzione (Gestione dei rischi), e poi predisponendo un apparato, come previsto dall’art. 52 (Misure urgenti di allontanamento imposte dal giudice) che dia “priorità alla sicurezza delle vittime o delle persone in pericolo” (Sez. 6, n. 29688 del 06/06/2022, P., non massimata).

3. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.

4. Devono essere disposti gli adempimenti di cancelleria di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, che sia apposta, a cura della cancelleria, sull’originale del provvedimento, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2023

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