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Cassazione civile sez. II, 30/07/2020, n.16433

Massima

Incorre in responsabilità disciplinare il notaio che viola il divieto di servirsi di procacciatori, operando nello studio di un collega pensionato e facendosi da questi indirizzare, anche se a titolo gratuito, i suoi precedenti clienti.

Supporto alla lettura

Responsabilità notaio

Tra notaio e le parti roganti si instaura un rapporto contrattuale. Il notaio, nel svolgere la propria attività verso il cliente che assiste, è tenuto sia alla prestazione espressamente richiesta sia ai compiti ulteriori che siano necessari a garantire il buon esito del risultato. Tra questi vi è il c.d. obbligo di consiglio ribadito di recente da Cass. civ., sez. III, 18-05-2017, n. 12482, per il quale il notaio incaricato della redazione ed autenticazione di un contratto preliminare per la compravendita di un immobile, non può limitarsi a procedere al mero accertamento della volontà delle parti ed a sovraintendere alla compilazione dell’atto, occorrendo anche che egli si interessi delle attività preparatorie e successive necessarie ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto medesimo e del risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle parti stesse (nella specie, in cui le parti avevano pattuito un termine di nove anni per la stipula del definitivo, la suprema corte ha ritenuto che rientrava nel c.d. «dovere di consiglio», gravante sul notaio ex art. 42, 1º comma, lett. a), del codice di deontologia notarile, avvertire le parti della durata triennale degli effetti della trascrizione del preliminare, ai sensi dell’art. 2645 bis, 3º comma, c.c., e, conseguentemente, degli ulteriori adempimenti necessari a garantire la sicurezza dell’operazione).

La regola è che l’opera demandata al notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico non si riduce al mero compito di accertare la volontà delle parti, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessarie affinché sia assicurata la serietà e la certezza dell’atto giuridico da rogarsi, per effetto del conseguimento dello scopo tipico di esso, con la conseguenza che l’inosservanza dei menzionati obblighi accessori da parte del notaio, salvo espresso esonero delle parti, comporta responsabilità ex contractu per inadempimento dell’obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità: Cass. civ., sez. I, 29-11-2007, n. 24939.

Deve anche accertare la capacità di disporre delle parti stesse; infatti per Cass. civ., sez. III, 19-12-2014, n. 26908, sussiste la responsabilità contrattuale del notaio che abbia rogato un atto di trasferimento di immobile allorché il venditore sia stato in precedenza dichiarato fallito, risultando per tale ragione l’atto privo di effetti verso i creditori; il bene, pertanto, deve essere restituito e l’acquirente ha diritto al risarcimento del danno patito, il cui ammontare è pari al valore monetario dell’immobile al momento dell’effettivo rilascio, detratto l’importo corrispondente al vantaggio economico tratto nel periodo in cui l’acquirente ne ha avuto il godimento quale proprietario. Deve altresì consigliare alle parti l’atto più conveniente sotto il profilo fiscale, come ricorda Cass. civ., sez. II, 13-01-2003, n. 309: il notaio, chiamato a stipulare un atto in cui le parti interessate si dichiarano «coltivatori», ha l’obbligo, ai sensi dell’art. 1176 c.c., di svolgere un’adeguata ricerca legislativa, al fine di far conseguire alle parti il regime fiscale più favorevole, sul presupposto, pacifico nella giurisprudenza della suprema corte, secondo il quale la funzione del notaio non si esaurisce nella mera registrazione delle dichiarazioni delle parti, ma si estende all’attività di indirizzo anche fiscale, nei limiti delle conoscenze che devono far parte del normale bagaglio di un professionista che svolge la sua attività principale nel campo della contrattazione immobiliare. Quanto agli altri suoi compiti, il notaio deve effettuare le verifiche sulle trascrizioni pregiudizievoli che gravino sul bene, essendo altrimenti tenuto al risarcimento del danno Così Cass. civ., sez. III, 26-8-2014, n. 18244: il notaio incaricato di un atto avente per oggetto la vendita di un immobile, ove non abbia compiuto diligentemente le necessarie visure ipocatastali, è responsabile dei danni subiti dal compratore del bene, che risulti gravato da iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli non dichiarate, ma soltanto nei limiti di quella parte del prezzo che non sia stata già versata in precedenza al venditore.

Peraltro, secondo Cass. civ., sez. III, 21-06-2012, n. 10297, qualora le parti, pur avvertite dal notaio dell’obbligo di trascrivere l’atto, abbiano escluso la trascrizione o disposto che essa avvenga in ritardo, tanto nel caso di previsione della esenzione del notaio da responsabilità, quanto in mancanza di tale espressa esenzione, deve escludersi che al professionista possa addebitarsi una responsabilità per il danno subìto in conseguenza della mancata o tardiva trascrizione, atteso che il comportamento del notaio è stato da loro consentito e anzi, sul piano del contratto di prestazione d’opera, imposto.

Ambito oggettivo di applicazione

Con decisione del 27.7.2018, il Consiglio notarile distrettuale di Grosseto ha irrogato a L.F. la sospensione dall’esercizio delle funzioni per la durata di giorni quaranta, contestandogli la violazione degli artt. 1, 21, 22, 31 e 36 del Codice deontologico e della L. n. 89 del 2013, art. 147, lett. b).

Il reclamo proposto dal ricorrente è stato respinto dalla Corte distrettuale, che ha ritenuto fondate tutte le contestazioni, osservando che il notaio:

aveva riscontrato con grave ritardo una richiesta di invio di documentazione, avanzata nel giugno 2016 dal Consiglio nazionale di disciplina (rimasta inevasa alla data del 22.11.2016), ed aveva tenuto un atteggiamento ostruzionistico teso a non riconoscere la legittimità della richiesta;

si era avvalso, per la stipula di vari atti in Grosseto (all’infuori del proprio distretto di competenza), dell’opera di procacciamento di affari da parte del collega in pensione C., che aveva segnalato il nominativo del ricorrente, mettendogli a disposizione una propria struttura – ancora operativa – per ricevere i clienti e per compiere tutte le attività successive;

Il Giudice di merito ha ritenuto irrilevante che i clienti avessero dichiarato per iscritto di aver scelto il notaio in piena libertà e senza l’intervento di procacciatori, asserendo che dette dichiarazioni erano riferibili solo a taluni degli atti stipulati fuori sede e destavano molti dubbi sulla loro attendibilità.

Ha infine evidenziato che era del tutto carente “una deduzione a fronte della contestata rilevante acquisizione di clientela nel distretto di Grosseto, avvenuta in assenza di una propria struttura e a notevole distanza dalla sede di appartenenza ((OMISSIS)), distanza che escludeva anche la concreta possibilità di assolvere agli obblighi di svolgere sotto la propria direzione tutte le attività preparatorie e di assistenza al cliente nelle scelte da operare”.

Per la cassazione di questa ordinanza L.F. ha proposto ricorso in quattro motivi.

Il Consiglio notarile distrettuale di Grosseto ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve respingersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso. L’impugnazione elenca – alle pag. 3 e 4 – le singole censure e le norme violate, sviluppando – alle pagg. 5 e ss. – il contenuto delle doglianze in forme che, sebbene non del tutto lineari, non pregiudicano l’intellegibilità delle questioni sottoposte al giudizio di legittimità.

2. Il primo motivo deduce – letteralmente – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 21 e 22 del codice deontologico notarile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “con riferimento alla supposta ed insussistente mancata collaborazione dell’incolpato durante l’istruttoria disposta dal Consiglio notarile distrettuale di Grosseto, asserendo che il ricorrente era incorso in un ritardo di appena una settimana nel corrispondere alla richiesta di informazioni, pervenutagli con molto ritardo da parte del Consiglio, sicchè, nel valutare le condotte, erano stati adottati, con atteggiamento inquisitorio, due pesi e due misure.

Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha dato atto che – instaurato il procedimento disciplinare a carico del ricorrente – questi era stato raggiunto da una richiesta di informazioni da parte dell’organo di disciplina, ricevuta nel giugno 2016 e rimasta ancora inevasa alla data del 22.11.2016.

Il fatto che il ritardo fosse contenuto nel breve lasso di una settimana è deduzione di merito, volta a confutare inammissibilmente il contrario accertamento in fatto svolto dalla Corte distrettuale, sulla base di circostanze meramente enunciate e prive di qualsivoglia aggancio o riferimento alle risultanze processuali.

L’accertamento che, a distanza di mesi, la richiesta di informazioni non era stata riscontrata, rendeva legittima la sanzione, gravando sul notaio il dovere di collaborare con lealtà con il Consiglio notarile al fine di consentire nel modo più efficace l’esercizio, da parte degli organi preposti, del potere di vigilanza e di controllo sull’attività degli appartenenti alla categoria professionale.

L’art. 22, dei “Principi di deontologia professionale dei notai” stabilisce, in particolare, che il notaio è tenuto a comunicare al Consiglio i dati e le informazioni che in genere gli sono richieste, riguardanti la propria attività professionale, e ad esibire o trasmettere copie, estratti del repertorio ed atti, registri, libri e documenti.

La violazione di tale obbligo è condotta contraria alla espressa enunciazione di una regola di comportamento professionale, lesiva del prestigio e del decoro della classe notarile, e, come tale, sanzionabile ai sensi dell’art. 147 della Legge Notarile (Cass. 32147/2018; Cass. 24962/2016; Cass. 11451/2015; /2016, n. 24962;

3. Il secondo motivo denuncia – letteralmente – la violazione

degli artt. 31 e 36 del codice deontologico notarile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento “alla supposta ed insussistente utilizzazione da parte dell’incolpato, di un procacciamento di affari, al fine di incrementare le stipule di atti nel territorio di Grosseto”.

Si assume che il notaio C. si era limitato a segnalare ai clienti il nominativo del ricorrente in un numero limitato di casi e senza percepire alcun compenso per l’opera svolta, essendo esclusa, anche per tale motivo, la configurazione di un vero e proprio procacciamento di affari.

Del tutto erroneamente “erano stati tacciati di illegalità tutti gli atti rogati”, benchè il Consiglio fosse edotto del fatto che il ricorrente aveva rapporti radicati a Grosseto fin dall’infanzia e che, per gran parte degli atti, non vi era stata alcuna mediazione.

La decisione avrebbe – infine – erroneamente negato rilievo alle dichiarazioni con cui i clienti avevano attestato – in un numero rilevante di casi – di aver scelto il L. di propria iniziativa e in assoluta libertà.

La censura non merita accoglimento.

Il ricorso solleva nuovamente questioni di merito – incensurabili in cassazione – circa l’effettivo svolgimento da parte del notaio C. di un’attività di procacciamento, in contrasto con l’apprezzamento delle risultanze processuali svolto dal giudice distrettuale, che – con argomentazioni del tutto congrue – ha ritenuto provato che il C. avesse reiteratamente segnalato ai clienti il nominativo del ricorrente, mettendo a disposizione del L. una struttura (ancora operativa nonostante il collocamento a riposo del procacciatore), per compiere l’attività professionale fuori della sede di competenza.

L’art. 147 della Legge Notarile sanziona la concorrenza effettuata con riduzioni di onorari, diritti o compensi, o servendosi dell’opera di procacciatori di clienti, di richiami o pubblicità non consentiti dalle norme deontologiche, o di qualunque altro mezzo non confacente al decoro e al prestigio della classe notarile.

La norma non pone – dunque – una limitazione della concorrenza tra i notai – la cui liceità anzi implicitamente riconosce – ma ne vieta le forme illecite, attuate mediante condotte tipizzate (riduzione di onorari e diritti accessori, procacciatori di clienti, pubblicità) o derivanti da comportamenti atipici (Cass. 4721/2012; Cass. 10683/2003; Cass. 17202/2002).

La nozione di procacciamento di affari – tuttora in vigore – va intesa in senso meramente economico e non strettamente tecnico (Cass. 3/2010), essendo sufficiente che il terzo abbia indirizzato un certo numero di clienti e che il notaio ne abbia beneficiato nello svolgimento delle attività, risultando in tal modo alterato il momento della libera scelta del professionista da parte dei clienti (Cass. 6679/1996).

Quanto al fatto che il C. non fosse stato remunerato, la decisione è conforme al disposto dell’art. 31, lett. a) e b) del codice deontologico, che proibisce anche il procacciamento svolto a titolo gratuito, essendo comunque violato il divieto di concorrenza con condotte poste in essere in forme compatibili, per valutazione dell’ordine di appartenenza, con il decoro e la dignità della categoria professionale (Cass. 2274/1963).

4. Il terzo motivo denuncia – letteralmente – la violazione della L. n. 89 del 1913, art. 147, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “in relazione all’incongrua ed ingiustificata comminazione della sanzione di sospensione delle funzioni notarili per la durata di gg. 40 e contestuale richiesta di rinvio alla Corte costituzionale con ordinanza di non manifesta infondatezza, per violazione delle norme di cui agli artt. 3 e 24 Cost. “, sostenendo che le Sezioni unite di questa Corte avevano rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 147 della Legge Notarile, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., poichè la norma, pur non comminando la cancellazione dall’albo, porrebbe “un pericolosissimo passo con durata decennale della minaccia, a carico dell’incolpato”. Il motivo è inammissibile, poichè prospetta questioni che non hanno alcuna specifica attinenza con quanto statuito dalla pronuncia impugnata.

E’ – in particolare – inconferente il richiamo alla pronuncia di questa Corte n. 25457/2017, che, senza affatto proporre alla Corte costituzionale la questione di legittimità della L. n. 89 del 1913, art. 147, ha composto un contrasto in senso alle sezioni semplici circa la sfera applicativa della sanzione dell’avvertimento rispetto alle altre sanzioni previste del citato art. 147.

Per completezza va evidenziato che la Corte costituzionale – con la recente sentenza n. 133/2019 – è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’art. 147, comma 2 (ove prevede che “la destituzione è sempre applicata se il notaio, dopo essere stato condannato per due volte alla sospensione per la violazione del presente articolo, vi contravviene nuovamente nei dieci anni successivi dall’ultima violazione), e quindi su una questione peraltro ritenuta infondata – estranea al tema di giudizio.

In definitiva, la deduzione del ricorrente si incentra sull’ipotizzata incongruità della sanzione (sospensione per gg. 40), senza riferimento ai fatti specificamente contestati e senza tener conto che l’individuazione della sanzione più adeguata alle violazioni contestate rientra nei compiti del giudice di merito ed è sindacabile solo per vizi di motivazione, nei limiti in cui ne è attualmente ammesso lo scrutinio (cfr., in motivazione, Cass. 21203/2011).

5. Il quarto motivo denuncia – letteralmente – l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione dell’ordinanza circa un punto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e con riferimento particolare all’ingiustificata svalutazione della documentazione consistente nelle dichiarazioni di libera scelta del notaio da parte dei contraenti partecipanti alle stipule.

Il motivo è inammissibile.

La pronuncia è stata resa in data 27.7.2017 e pertanto lo scrutinio di legittimità è – in proposito – circoscritto ad ipotesi tassative, essendo denunciabile in cassazione solo anomalia derivante dalla mancanza dei motivi dal punto di vista grafico, dalla mera apparenza della motivazione, dalla presenza di affermazioni inconciliabili o dalla contraddittorietà che non consenta di individuare l’iter logico della pronuncia, restando irrilevanti le censure di mera insufficienza o contraddittorietà della decisione (Cass. 23940/2017; Cass. 21257/2014; Cass. 13928/2015; Cass. s.u. 8053/2014).

Nello specifico la pronuncia ha invece dato conto – con argomentazioni logiche ed esenti da contraddizioni – delle ragioni per cui non ha considerato decisive le dichiarazioni dei clienti, avendone rilevato l’inattendibilità ed avendo osservato che esse riguardavano un numero di atti inferiore a quelli effettivamente rogati.

In definitiva il ricorso è respinto, con aggravio di spese come da liquidazione in dispositivo.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2019.

Allegati

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