RITENUTO IN FATTO
che:
B.S. chiamava in giudizio S.F., esponendo che il convenuto, con contratto preliminare del 26 aprile 2006, gli aveva promesso la vendita di un appartamento in costruzione per il o prezzo di Euro 110.000,00; che l’attore, promissario acquirente, aveva versato, a titolo di caparra confirmatoria, la somma di Euro 20.000,00; che la stipulazione del contratto definitivo, inizialmente stabilita per il 30 aprile 2007, aveva subito vari ritardi per fatti imputabili al promittente venditore, il quale aveva comunque immesso il promissario nella disponibilità dell’immobile nel mese di gennaio 2008; che il contratto definitivo non fu concluso perché il promittente venditore, convocato dinanzi al notaio, non aveva messo a disposizione i documenti necessari per il trasferimento.
Chiedeva quindi che fosse pronunciata la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del venditore e che lo stesso fosse condannato alla restituzione del doppio della caparra.
Il S., costituendosi, contestava la domanda e chiedeva, in riconvenzionale, l’esecuzione in forma specifica del preliminare, tramite trasferimento coattivo del bene al promissario acquirente; chiedeva altresì, per l’ipotesi che fosse pronunciata la risoluzione, il rilascio dell’immobile e il risarcimento del danno per l’abusiva occupazione.
Il Tribunale, eseguita l’istruzione, accoglieva la domanda principale; pronunciava quindi la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promittente venditore, che condannava alla restituzione della caparra. Il tribunale imponeva all’attore B. il rilascio del bene e la restituzione al promittente venditore della somma di Euro 4.100,00 per opere aggiuntive commissionategli dal promissario. Contro la sentenza proponeva appello il S., il quale, modificando la domanda, chiedeva la risoluzione del contratto in luogo dell’adempimento richiesto in primo grado.
La Corte d’appello di Palermo accoglieva il gravame, riconoscendo che l’inadempimento del S., seppure idoneo ai sensi dell’art. 1460 c.c., a giustificare il rifiuto del promissario di stipulare il definitivo, non era di gravità tale da giustificare la risoluzione richiesta dal medesimo promissario.
La stessa corte di merito riconosceva inoltre che neanche il promittente S. poteva pretendere la risoluzione del contratto, non essendo la controparte inadempiente. Nondimeno, secondo i giudici d’appello, la risoluzione del preliminare, pronunciata dal primo giudice, doveva comunque essere confermata, dovendosi prendere atto che nessuno dei contraenti intendeva conseguire l’esecuzione del contratto.
La corte d’appello aggiungeva che la risoluzione del contratto non poteva avere nella specie l’efficacia retroattiva di cui all’art. 1458 c.c., sicché gli effetti della pronuncia non potevano farsi decorrere da un momento anteriore alla domanda di risoluzione.
Questa era stata richiesta dal venditore solo in grado d’appello, con citazione notificata il 7 aprile 2014, quando l’immobile oggetto del preliminare era stato già restituito al promittente venditore, che ne ha ottenuto il rilascio il 2 maggio 2013. In base al detto rilievo la corte di merito confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui il primo giudice aveva negato al S. l’indennità per l’occupazione dell’appartamento oggetto del preliminare.
Per la cassazione della sentenza S.F. ha proposto ricorso, affidato a un unico motivo.
B.S. ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a un unico motivo.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
1. L’unico motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1458 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte d’appello ha riconosciuto che l’efficacia della risoluzione non potesse farsi decorrere da un tempo anteriore alla proposizione della domanda. Si sostiene invece che il principio ricavabile dall’art. 1458 c.c., doveva operare anche nella fattispecie in esame, caratterizzata da contrapposte domande di risoluzione riconosciute entrambe infondate; conseguentemente la corte di merito non poteva disconoscere, in favore del promissario venditore, le conseguenze che ordinariamente derivano dalla risoluzione di un preliminare con consegna anticipata della cosa promessa in vendita.
Il motivo è fondato.
Il giudice che, in presenza di reciproche domande di risoluzione fondate da ciascuna parte sugli inadempimenti dell’altra, accerti l’inesistenza di singoli specifici addebiti, non potendo pronunciare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell’impossibilità dell’esecuzione del contratto per effetto della scelta, ex art. 1453 c.c., comma 2, di entrambi i contraenti e decidere di conseguenza quanto agli effetti risolutori di cui all’art. 1458 dello stesso codice (Cass. n. 10389/2005; n. 6675/2018).
Quando i contraenti richiedano reciprocamente la risoluzione del contratto, ciascuno attribuendo all’altro la condotta inadempiente, il giudice deve comunque dichiarare la risoluzione del contratto, atteso che le due contrapposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, in considerazione delle premesse contrastanti, sono tuttavia dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale (Cass. n. 26097/2014; n. 19706/2020).
La decisione di Cass. n. 5065 del 1993, nella quale la corte di merito ha ritenuto di poter trovare conferma della propria tesi, è intervenuta in relazione all’ipotesi del mutuo dissenso, non ravvisabile nel caso in esame, rispetto alla quale il problema dell’efficacia retroattiva è considerato da un diverso punto di vista: “Il mutuo dissenso costituisce un atto di risoluzione convenzionale (o un accordo risolutorio), espressione dell’autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio, anche indipendentemente dall’esistenza di eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditivi o modificativi dell’attuazione dell’originario regolamento di interessi, dando luogo ad un effetto ripristinatorio con carattere retroattivo, anche per i contratti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali; tale effetto, infatti, essendo espressamente previsto ex lege dall’art. 1458 c.c. con riguardo alla risoluzione per inadempimento, anche di contratti ad effetto reale, non può dirsi precluso agli accordi risolutori, risultando soltanto obbligatorio il rispetto dell’onere della forma scritta ad substantiam (Cass. n. 20445/2011).
Consegue da quanto sopra che la decisione della corte d’appello, laddove questa ha riconosciuto che l’efficacia della risoluzione non potesse farsi decorrere da un momento precedente alla proposizione della domanda, non trova giustificazione sul piano dei principi.
Diversamente da quanto ritenuto con la sentenza impugnata, non c’era alcuna ragione che potesse sottrarre la fattispecie dalla regola secondo cui la risoluzione comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi sulla ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c.. In base a tale regola il promissario acquirente, il quale abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipate del bene promesso in vendita, deve non solo restituirlo al promittente alienante, ma deve altresì corrispondere a quest’ultimo i frutti per l’anticipato godimento dello stesso (Cass. n. 6575/2017). Tali effetti si verificano sia in caso di risoluzione per inadempimento del promittente venditore (Cass. n. 4465/1997; n. 875/1995), sia nel caso di risoluzione per inadempimento del promissario (Cass. n. 550/2002; n. 10632/1996): insomma tale effetti, in quanto conseguenti al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, si verificano indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempimento (Cass. 28381/2017).
La sentenza, pertanto, deve essere cassata in relazione al ricorso principale e il giudice di rinvio dovrà valutare le pretese restitutorie del promittente venditore in applicazione dei principi di cui sopra.
2. Il ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c..
La sentenza è oggetto di censura laddove la corte d’appello ha riconosciuto che l’inadempimento del promittente venditore doveva essere considerato di scarsa importanza.
Il motivo è infondato.
La corte d’appello, in esito a una precisa analisi delle vicende del rapporto, ha riconosciuto che il B. aveva richiesto in corso d’opera modifiche incidenti sull’andamento dei lavori e sui tempi del rilascio dell’autorizzazione all’abitabilità dell’immobile. In rapporto a ciò la corte d’appello, seppure abbia riconosciuto fondato il rifiuto del promissario di stipulare prima che la pratica fosse conclusa, ha nondimeno posto l’accento sull’avvenuta presentazione della variante da parte del S., relativa alle nuove opere richieste dal B., e sul fatto che le variazioni furono poi approvate e che l’abitabilità fu poi autorizzata. La corte di merito ha proseguito l’analisi ponendo in luce che non c’era alcuna prova di rilievi e obiezioni da parte degli organi preposti, mancando perciò la dimostrazione che il ritardo nell’ottenimento dell’autorizzazione fosse dipeso da difformità tali da rendere l’immobile privo delle sue caratteristiche essenziali: da qui, appunto, la valutazione di scarsa importanza dell’inadempimento.
Tali considerazioni non rilevano errori né giuridici né logici. Esse sono perciò incensurabili in questa sede, in applicazione del noto principio secondo cui il giudizio espresso dal giudice del merito in ordine alla gravità o meno dell’inadempimento ove sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici e’, appunto, incensurabile in sede di legittimità (Cass. n. 8897/1994; n. 5114/1998; n. 9176/2000; n. 6401/2015; n. 12182/2020).
3. In conclusione è accolto il ricorso principale, è rigettato il ricorso incidentale. La causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, che liquiderà anche le spese del presente giudizio.
Ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto”.
P.Q.M.
accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione al ricorso principale; rinvia la causa alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2021
