RITENUTO IN FATTO
1. V.A., ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo l’illegalità della pena applicatale ai sensi degli artt. 444 e ss. c.p.p..
Evidenzia la ricorrente che era stata portata a processo per rispondere del reato di cui all’art. 110 c.p., e art. 81 c.p., comma 2 e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commesso in (OMISSIS) (capo 11 dell’imputazione) e che il proprio difensore, munito di procura speciale, aveva chiesto la definizione anticipata del procedimento mediante l’applicazione della pena di anni tre e mesi cinque di reclusione ed Euro 16.000,00 (sedicimila/00) di multa, così determinata: pena base per il reato contestato al capo 11) della rubrica anni sei di reclusione ed Euro 26.000 di multa, diminuita ad anni quattro e mesi sei di reclusione ed Euro 22.000,00 di multa ex ari. 62 bis c.p. per la concessione delle attenuanti generiche, aumentata ad anni cinque di reclusione ed Euro 24.000 di multa ex art. 81 cpv. c.p. per la continuazione, ridotta come sopra per la scelta del rito. Il Pubblico Ministero aveva prestato il proprio consenso ed il giudice per le indagini preliminari aveva provveduto in conformità con il provvedimento impugnato.
Tuttavia -ci si duole- era compito del giudice verificare che fossero stati computati correttamente gli aumenti di pena e in questo caso così non è stato.
Ciò perché, da un’attenta analisi, emergerebbe che, con riferimento alla diminuzione per le circostanze attenuanti generiche, è stata applicata la riduzione di 1/4 per la pena detentiva (quindi ad anni 4 e mesi 6 di reclusione) ma per la pena pecuniaria è stata effettuata una riduzione di quasi 1/7 (quindi a 22.000 Euro anziché a 19.500 Euro).
Analoga situazione – ci si duole- si è verificata in relazione all’aumento per la continuazione ex art. 81 c.p., per la quale è stato previsto un aumento per la pena detentiva di 1/9 (quindi ad anni 5 di reclusione) e di un aumento per la pena pecuniaria inferiore (quindi a 24.000 di multa). Ed infine, nel calcolo compiuto per la riduzione di pena ex art. 444 c.p.p., la pena pecuniaria è stata ridotta esattamente di 1/3, quindi a 16.000 Euro, mentre alla pena detentiva è stato applicato altro coefficiente risultando la stessa ridotta ad anni 3 e mesi 5 di reclusione, anziché ad anni 3 e mesi 4 di reclusione.
Per il difensore così facendo la pena applicata risulterebbe illegale, non potendo compiersi un aumento e/o una riduzione differenziata nei reati puniti congiuntamente con pena detentiva e pena pecuniaria, dovendosi applicare un unico calcolo, e quindi un medesimo coefficiente, sì da risultare omogeneo per entrambe le sanzioni inflitte.
2. Il P.G. presso questa Corte di legittimità ha rassegnato in data 9/8/2021 le proprie conclusioni scritte chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, in quanto proposto in un caso non previsto dalla legge.
2. Ed invero, a far tempo dal 3 agosto 2017, data di entrata in vigore della L. 23 giugno 2017, n. 103 successiva alla quale sono sia la richiesta di patteggia-mento che la relativa impugnativa (cfr. la L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 51) il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena ex artt. 444 e ss. c.p.p. “solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena e della misura di sicurezza”.
E nel caso che ci occupa non siamo affatto di fronte ad una pena illegale.
La nozione di “pena illegale”, così come efficacemente sintetizzato dalle Sezioni Unite (in particolare, Sez. Un., n. 40986 del 19/07/2018, Pittalà, Rv. 273934/01-273934/02, e Sez. Un., n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205/01- 264207/01), attiene a quella pena che, per specie ovvero per quantità, non corrisponde a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice in questione, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale, o che, comunque, è stata determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su una cornice edittale inapplicabile, perché dichiarata costituzionalmente illegittima o perché individuata in violazione del principio di irretroattività della legge pena più sfavorevole.
Peraltro, è stato costantemente affermato che gli eventuali errori di calcolo commessi nei singoli passaggi interni per la determinazione della sanzione concordata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. – che, come si dirà di seguito, peraltro nel caso in esame non ci sono – non rilevano se il risultato finale non si traduce in una pena illegale (Sez. 6, n. 44907 del 30/10/2013, Marchisella, Rv. 257151; Sez. 1, n. 29668 del 17/6/2014, Cannizzo, Rv. 263217) e ciò corrisponde anche alla constatazione logica, prima ancora che giuridica, che nel patteggiamento l’accordo si forma non tanto sulla pena inizialmente indicata e sulle eventuali operazioni con le quali essa viene determinata, bensì sul risultato finale delle operazioni stesse (Sez. 4, n. 1853 del 17/11/2005, dep. 2006, Federico, Rv. 233185; Sez. 4, n. 518 del 28/1/2000, Carrello, Rv. 216881; Sez. 6, n. 1705 del 6/5/1999, Botto, Rv. 214742, in un’ipotesi in cui, nei singoli passaggi intermedi, il calcolo effettuato aveva portato al superamento del limite minimo di pena edittale).
3. La pena applicata nel caso che ci occupa ex artt. 444 e ss. c.p.p. all’odierna ricorrente non è illegale. E, va qui aggiunto, è esattamente quella concordata tra le parti.
L’art. 444 c.p.p. prevede che ci possa essere una diminuzione della pena concordata tra le parti “fino a un terzo”.
Quel “fino a” sta a significare, con tutta evidenza, che non si può eccedere il terzo, ma ben si può -come qui avvenuto- collocarsi al di sotto della diminuzione di un terzo. E nulla vieta che il quantum di diminuzione sia diverso per pena pecuniaria e pena detentiva, non esistendo affatto quel principio di unitarietà della pena cui si richiama il ricorrente.
Ciò vale sia per le diminuzioni in ragione della concessione di circostanze attenuanti, che per quella “fino a” di cui all’art. 444 c.p.p. e, per converso, vale anche per gli aumenti di pena, come nel caso che ci occupa quello per la continuazione purché non eccedano il massimo aumento consentito.
Lo ha chiarito da tempo questa Corte di legittimità, laddove ce ne fosse stato bisogno, affermando, ad esempio, che nell’ipotesi di condanna per reati punibili con pena detentiva congiunta a quella pecuniaria, la diminuzione della pena per l’applicazione di circostanze attenuanti (nella specie, le circostanze attenuanti generiche) deve riferirsi a entrambe le pene congiunte, ma bene può adottarsi una diversa misura di aumento o di diminuzione in relazione alla pena base pecuniaria e a quella detentiva (Sez. 6, n. 22650 del 2/5/2001, Frascogna, Rv. 219007). E, ancora di recente, si è ribadito che nel caso di reati puniti con pene congiunte, la riduzione derivante dalla presenza di circostanze attenuanti deve essere operata su entrambe le pene da irrogare, ma il giudice non è obbligato a seguire il medesimo criterio nella determinazione della sanzione detentiva e di quella pecuniaria (Sez. 3, n. 37849 del 19/5/2015, D.G. Rv. 265184).
Va dunque sgombrato il campo da dubbi sul fatto che in tema di patteggiamento che riguardi reati puniti con pene congiunte, la riduzione “fino ad un terzo” di cui all’art. 444 c.p.p. deve riferirsi a entrambe le pene congiunte, ma bene può adottarsi una diversa misura di diminuzione in relazione alla pena base pecuniaria e a quella detentiva.
4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n, 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2021
