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Cassazione penale sez. II, 09/11/2021, n.2484

Massima

Il giudice non può riconoscere la tenuità del fatto se l’imputato ha patteggiato la pena per precedenti reati della stessa indole.

Supporto alla lettura

PATTEGGIAMENTO

Il patteggiamento (rectius applicazione della pena su richiesta delle parti) è un accordo tra imputato e pubblico ministero per l’applicazione, da parte del giudice, di una pena non superiore a cinque anni di reclusione anche congiunti a pena pecuniaria. La disciplina dell’istituto è portata principalmente dagli artt. 444 e ss. c.p.p. L’iniziativa della richiesta di pena patteggiata può provenire sia dal PM che dall’imputato. La volontà dell’imputato è espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale. In udienza le volontà sono espresse oralmente, mentre fuori udienza con atto scritto che per l’imputato necessita di autenticazione della firma. Il patteggiamento e il giudizio abbreviato, salvo il caso di richiesta principale di abbreviato semplice, possono essere oggetto di richiesta subordinata l’uno all’altro (art. 438 comma 5 bis c.p.p.; in tema di richiesta principale di patteggiamento e subordinata di abbreviato. Lo stesso art. 444 cpp limita l’applicabilità del patteggiamento quando una pena detentiva (tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo) superi i cinque anni. In base al secondo comma sono poi esclusi dal patteggiamento una serie di procedimenti come quelli relativi a delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile e violenza sessuale di gruppo e, comunque, tutti quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza o recidivi qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria. La legge n. 103 del 2017 ha ripristinato l’istituto del patteggiamento di secondo grado attraverso concordato anche con rinuncia ai motivi d’appello (art. 599 bis c.p.p.).

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di L’Aquila, con sentenza del 28 febbraio 2019, confermava la sentenza del Tribunale di Teramo, con la quale S.G. era stato ritenuto responsabile del reato di evasione; a seguito di ricorso per cassazione, la Sesta Sezione di questa Corte annullava la sentenza della Corte di appello di L’Aquila relativamente alla omessa motivazione sulla applicazione dell’art. 131 bis c.p.; la Corte di appello di Perugia, quale giudice di rinvio, confermava la sentenza del Tribunale di Teramo

1.1 Avverso la sentenza ricorre per cassazione il difensore di S., eccependo la mancata applicazione dell’art. 131 bis c.p. per violazione del parametro valutativo della abitualità della condotta e vizio di motivazione, poiché la Corte di appello di Perugia, nel valutare la serialità del comportamento aveva basato la propria decisione su due precedenti penali per evasione relativi a procedimenti conclusi entrambi con sentenze di patteggiamento e non aveva tenuto conto del cd. tempo silente, stante il consistente lasso di tempo intercorso tra l’ultimo precedente ed il fatto per cui si procedeva, da ritenersi pertanto occasionale; le sentenze di patteggiamento, infatti, non contenevano un vero e proprio accertamento del reato, con la conseguenza che non potevano fondare un giudizio di serialità, ed erano relative a fatti del 2006 e del 2008; la Corte di appello non aveva poi considerato che S. era stato controllato appena fuori dal cancello della sua abitazione, dopo che era uscito a fumare una sigaretta.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1 La norma che si assume violata – art. 131-bis c.p. – prevede, quale condizione per l’esclusione della punibilità (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione), la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento; si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due requisiti delle modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p., comma 1, sussista l’indice-criterio della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento: solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità (Sez. U, n. 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, in motivazione).

Nel caso in esame, la Corte di appello, dopo aver ripercorso lo svolgimento dei fatti, ha osservato che S. ha due precedenti specifici per il reato di evasione, per cui il comportamento dello stesso doveva ritenersi “seriale”; a tale proposito, si deve rilevare che l’art. 131 bis c.p. prevede che il comportamento è abituale quando il reo “abbia commesso più reati della stessa indole”: il concetto di “commissione” prescinde quindi dalla pronuncia di una sentenza di condanna, posto che anche la sentenza di patteggiamento contiene una pronuncia sul fatto che l’imputato ha commesso il fatto, dando il giudice atto che non sussistono cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p..

Del resto questa Corte, sia pure con riferimento ad altra ipotesi, ha precisato che “sussiste la condizione soggettiva di persona condannata per delitti determinati da motivi di lucro – ricorrendo la quale è configurabile il reato di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli – anche quando l’autore sia stato destinatario solo di una sentenza di “patteggiamento” poiché questa contiene l’accertamento e l’affermazione impliciti della responsabilità dell’imputato” (Sez. 2, Sentenza n. 44190 del 21/06/2018, H, Rv. 274078 01); a maggior ragione, pertanto, si deve ritenere che la sentenza di patteggiamento sia idonea a costituire condizione ostativa alla pplicazione dell’art. 131 bis c.p., posto che l’art. 707 c.p. parla del “condannato” che sia trovato in possesso di strumenti atti ad aprire o sforzare serrature, mentre l’art. 131 bis c.p. si riferisce al soggetto che abbia “commesso” più reati della stessa indole, concetto che implica un accertamento che non necessariamente porta ad una affermazione di responsabilità, ben potendovi essere soggetti che abbiano commesso il fatto ma non siano stati condannati (si pensi, ad esempio, alla sussistenza di cause di giustificazione).

Deve, pertanto, essere enunciato il seguente principio di diritto: “la condizione ostativa prevista dall’art. 131 bis c.p. della non abitualità del comportamento, consistente nella commissione di più reati della stessa indole, sussiste anche quando nei confronti dell’autore del reato siano state pronunciate sentenze di patteggiamento, che contengono un implicito accertamento sulla commissione del fatto”

Una volta accertata l’abitualità del comportamento, non possono essere prese in considerazione le censure relative alla particolare tenuità dell’offesa, dovendo sussistere entrambi i requisiti, ai fini dell’applicazione dell’art. 131 bis c.p..

2. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorsola parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spesa. del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2022

Allegati

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