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Cassazione penale sez. IV, 28/09/2023, n.45145

Massima

In tema di patteggiamento, la richiesta di applicazione di pena rispetto alla quale sia stato manifestato il consenso del pubblico ministero non è revocabile, anche se prima della pronuncia della sentenza sia intervenuta una legge più favorevole. (Fattispecie in cui la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la sentenza di patteggiamento che, in relazione al regime processuale e sostanziale di favore introdotto dal d.lg. 10 ottobre 2022, n. 150, aveva ritenuto irrevocabile il consenso prestato alla applicazione della pena).

Supporto alla lettura

PATTEGGIAMENTO

Il patteggiamento (rectius applicazione della pena su richiesta delle parti) è un accordo tra imputato e pubblico ministero per l’applicazione, da parte del giudice, di una pena non superiore a cinque anni di reclusione anche congiunti a pena pecuniaria. La disciplina dell’istituto è portata principalmente dagli artt. 444 e ss. c.p.p. L’iniziativa della richiesta di pena patteggiata può provenire sia dal PM che dall’imputato. La volontà dell’imputato è espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale. In udienza le volontà sono espresse oralmente, mentre fuori udienza con atto scritto che per l’imputato necessita di autenticazione della firma. Il patteggiamento e il giudizio abbreviato, salvo il caso di richiesta principale di abbreviato semplice, possono essere oggetto di richiesta subordinata l’uno all’altro (art. 438 comma 5 bis c.p.p.; in tema di richiesta principale di patteggiamento e subordinata di abbreviato. Lo stesso art. 444 cpp limita l’applicabilità del patteggiamento quando una pena detentiva (tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo) superi i cinque anni. In base al secondo comma sono poi esclusi dal patteggiamento una serie di procedimenti come quelli relativi a delitti di prostituzione minorile, pornografia minorile e violenza sessuale di gruppo e, comunque, tutti quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza o recidivi qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria. La legge n. 103 del 2017 ha ripristinato l’istituto del patteggiamento di secondo grado attraverso concordato anche con rinuncia ai motivi d’appello (art. 599 bis c.p.p.).

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, su richiesta delle parti ex artt. 444 e 447 c.p.p., il G.i.p. del Tribunale di Novara ha applicato la pena (condizionalmente sospesa) di anni uno di reclusione a V.E.A., per la fattispecie di cui all’art. 589-bis c.p., commi 1 e 8.

2. Avverso la sentenza l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione articolando quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1).

Si deducono l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 444,446,447 e 448 c.p.p.:

per aver il giudice di merito accolto la richiesta di applicazione di pena nonostante l’assenza di una valida procura speciale, tale non essendo, a dire del ricorrente, quella in atti in forza della sua genericità, e comunque omettendo motivazione (se non meramente apodittica) in merito allo specifico profilo dedotto dalla difesa;

per aver il G.i.p., con motivazione contraddittoria e inconciliabile rispetto alle risultanze processuali, ritenuto accertata la volontarietà della richiesta di rito alternativo nonostante le dichiarazioni rese dall’imputato in udienza che, invece, per il ricorrente, avrebbero dovuto far opinare in senso contrario;

per aver ritenuto irrevocabile la richiesta di rito alternativo depositata da V.E.A., in forza del consenso prestato dal Pubblico Ministero ex art. 447 c.p.p., nonostante la successiva entrata in vigore (il (Omissis)) del D.Lgs. n. 150 del 2022 (c.d. “Riforma Cartabia”), introducente istituti di favore.

3. La Procura generale ha depositato conclusioni scritte nei termini di cui in epigrafe.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato, al netto degli inammissibili meri vizi motivazionali, nei limiti in cui sostanzialmente deduce motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato in merito all’applicazione di pena introdotto con la L. 23 giugno 2017, n. 103, ex art. 448, comma 2-bis, c.p.p., (per l’inammissibilità del ricorso per cassazione con cui si deducano vizi differenti da quelli tassativamente indicati nel citato comma 2-bis si vedano, ex plurimis, Sez. 5, n. 19425 del 19/04/2021, Coco, in motivazione; Sez. 6, n. 1032 del 7/11/2019, dep. 2020, Pierri, Rv. 278337; Sez. F, n. 28742 del 25/8/2020, Messnaoui, Rv. 279761).

2. Nel merito cassatorio, 1F seguendo l’ordine logico-giuridico imposto dalle formulate censure, dalla stessa procura allegata al ricorso per ragioni di autosufficienza, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente e come invece sostanzialmente ritenuto dal giudice di merito con l’ordinanza depositata il 24 marzo 2023 e richiamata in sentenza, emerge la procura speciale per la richiesta del rito di cui all’ art. 444 c.p.p., e ss. conferita, in fase di indagini preliminari, al difensore da V.E.A., con specifico riferimento al procedimento per il quale la richiesta di applicazione di pena è stata formalizzata ex artt. 444 e 447 c.p.p..

Con riferimento alla detta procura, peraltro, il giudice di merito, ex art. 446 c.p.p., ha verificato la volontarietà del consenso al rito alternativo manifestato, in sede di indagini preliminari, da V.E.A., non riscontrando un travalicamento da parte del difensore di eventuali limiti imposti dall’assistito nell’esecuzione del mandato avente a oggetto la richiesta di patteggiamento (per la verifica ex art. 446 c.p.p., con riferimento anche all’irrilevanza del mero errore motivo, si veda Sez. 4, n. 25102 del 03/06/2021, Melileo, Rv, 281492).

3. Quanto al profilo inerente alla revoca del consenso, la Corte territoriale, nel ritenere irrevocabile la richiesta di rito alternativo depositata da v.E.A., con riferimento alla quale è stato manifestato il consenso del Pubblico Ministero ex art. 447 c.p.p., ha fatto corretta applicazione del consolidato principio di diritto per cui in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, l’accordo tra l’imputato e il Pubblico Ministero costituisce un negozio giuridico processuale recettizio che, quando entrambe le parti abbiano manifestato il proprio consenso con le dichiarazioni congiunte di volontà, diviene irrevocabile, non potendo essere modificato per iniziativa unilaterale di una parte, determinando effetti non reversibili nel procedimento con sottoposizione al solo controllo giudiziale (ex plurimis: Sez. 4, n. 37968 del 06/10/2021, Ceesay, Rv. 282054, oltre che in motivazione; Sez. 5, n. 12195 del 19/02/2019, Locca, Rv. 276038, che, in applicazione del principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso inteso a far valere la contrarietà alla scelta del rito espressa dall’imputata nell’udienza celebrata dopo il perfezionamento dell’accordo; Sez. 4, n. 38070 del 11/07/2012, Parascenzo, Rv. 254371; Sez. 4, n. 38051 del 03/07/2012, Fiorentini, Rv. 254365, la quale, nell’applicare il principio, ha ribadito che gli effetti unilateralmente irreversibili delle manifestazioni di volontà delle parti, nel caso regolato, come nella specie, dall’art. 447 c.p.p., si verificano già prima della pronuncia della sentenza di accoglimento della richiesta, in forza dell’ultimo periodo del comma 3 – negli stessi termini Sez. 3, n. 39730 del 04/06/2009, Bevilacqua, Rv. 244892, e Sez. 2, n. 115 del 09/01/1998, Umbertini, Rv. 210451,).

A smentita della correttezza dell’impostazione non può richiamarsi, come invece fa il ricorrente nella specie, la precedente pronuncia della Sez. 3, n. 3580 del 09/01/2009, Aluku, Rv. 242673, asserendo che con essa sia stato enunciato il principio secondo cui, in tema di patteggiamento, ciascuna parte è libera di revocare il consenso già prestato all’applicazione della pena fino a quando il giudice non ratifichi l’accordo.

La lettura della motivazione della sentenza da ultimo citata, nondimeno, come già ritenuto da Sez. 4, n 25102 del 03/06/2021, Melileo, Rv. 281492, permette di chiarire che, in quel caso, all’accordo iniziale siglato fra le parti, è stato sostituito nuovo accordo – occasionato da una modifica dell’imputazione da parte del Pubblico Ministero, cui l’imputato in sede di nuova pattuizione nulla ha opposto – che è stato sottoposto al giudice e da questi recepito. Nell’occasione, dunque, le parti hanno volontariamente sostituito al precedente accordo, un nuovo “patto”, presentandolo al giudice per la ratifica. Tanto che la pronuncia di legittimità in esame, preso atto del raggiungimento di una nuova volontà negoziale comune, ratificata dal giudice, rigetta il ricorso dell’imputato che pretendeva di fare valere l’accordo precedentemente raggiunto. Si tratta, dunque, di una decisione che non smentisce affatto il principio secondo il quale l’espressione della volontà in ordine al “patteggiamento” della pena non è revocabile, ma che, al contrario, ne ribadisce il contenuto negoziale, di incontro delle volontà dei contraenti, che possono concordemente sostituire un nuovo accordo a quello precedente, per sottoporlo al giudice (purché nei termini previsti dal codice di rito).

4. E’ infine inammissibile il profilo di censura con il quale si deduce la violazione di legge per aver ritenuto irrevocabile la richiesta di rito alternativo depositata da V.E.A., in forza del consenso prestato dal Pubblico Ministero ex art. 447 c.p.p., nonostante l’entrata in vigore (il (Omissis)) della lex superveniens, il del D.Lgs. n. 150 del 2022 (c.d. “Riforma Cartabia”), introducente istituti di favore.

4.1. Occorre infatti ribadire il principio generale, dettato dall’art. 568 c.p.p., comma 4, per cui per proporre impugnazione è necessario avervi interesse.

4.1.1. Per evidenti ragioni di economia processuale il legislatore ha difatti subordinato l’attivazione dello strumento di controllo all’esistenza in capo al soggetto legittimato di un concreto e attuale interesse, inteso, nell’elaborazione della giurisprudenza di legittimità, non già quale pretesa delle esattezza teorica della decisione, bensì come misura della utilità pratica derivante dall’impugnazione, sussistente ogni qualvolta dal raffronto fra la decisione oggetto di gravame e quella che potrebbe essere emessa, se il gravame fosse accolto, emerge per l’impugnante una situazione di vantaggio meritevole di tutela giuridica.

Si vedano, in tal senso, ex plurimis: Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv.202269, per cui la facoltà di attivare i procedimenti di gravame è “subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e l’eliminazione o la riforma della decisione gravata rende possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso”, e più di recente, Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Massaria, Rv. 275953, in tema di legittimazione della parte civile a impugnare la sentenza di primo grado che abbia dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come nei confronti della sentenza di appello che tale decisione abbia confermato (si vedano, altresì, ex plurimis, con riferimento all’interesse dell’imputato a impugnare sentenze di proscioglimento, anche in termini di necessario interesse a evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli ovvero a assicurarsi effetti extrapenali più favorevoli, Sez. 4 n. 19623 del 21/04/2022, Negrini, Rv. 283213 e Sez. 3, n. 45560 del 15/03/2018, C., Rv. 274089, le quali evidenziano altresì, quale logico corollario del principio in esame, nel caso di impugnazione di sentenza di proscioglimento per violazione del bis in diem, la necessità che il ricorrente deduca l’effettivo e concreto vantaggio che derivi dalla rimozione del provvedimento impugnato, con indicazione anche degli atti dai quali esso possa essere desunto, nonché Sez. 2, n. 46149 del 10/10/2019, Trubia, Rv. 277592, Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2015, Bordogna, Rv. 270385, in motivazione, Sez. 4, n. 4675 del 06/02/2007, Bartalini, Rv. 244293, Sez. 1, n. 7671 del 05/01/2000, dep. 2001, Patteri, Rv. 218311, e Sez. 6, n. 6989 del 30/03/1995, Stella, Rv. 201953).

4.1.2. L’interesse, concreto nei termini di cui innanzi, deve peraltro sussistere non soltanto all’atto della proposizione dell’impugnazione ma persistere fino al momento della decisione, affinché questa possa potenzialmente avere una effettiva incidenza di vantaggio sulla situazione giuridica devoluta alla verifica del giudice dell’impugnazione (ex plurimis: Sez. U, n. 28911 del 2019, Serafino, cit.; Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251694, nonché, più di recente, Sez. 4, n. 19623 del 2022, Negrini, cit.).

4.2. Venendo ora alla ricaduta di tali principi in merito alla fattispecie oggetto di ricorso, la doglianza in esame muove dal principio affermato dalla Suprema Corte per cui, fermo restando quanto innanzi chiarito in generale circa l’irrevocabilità unilaterale del consento prestato, in tema di c.d. “patteggiamento”, il consenso prestato alla richiesta di applicazione della pena è sempre revocabile qualora, dopo la stipulazione del patto e prima della pronuncia della sentenza ex art. 444 c.p.p., sopravvenga una legge più favorevole (circa il rilievo della lex superveniens più favorevole, si vedano, Sez. 4, 15231 del 08/04/2015, Azzali, Rv. 263151; Sez. 4, n. 11209 del 23/02/2012, Maritti, Rv. 252173, e Sez. 6, n. 26976 del 10/04/2007, Gatti, Rv. 237095).

4.2.1. Deve sul punto rilevarsi però che il principio dell’ammissibilità dell’impugnazione delle sentenze soltanto da parte di chi, oltre a essere legittimato, vanti anche un interesse concreto e attuale, come innanzi declinato, ha come logico corollario, nel caso di impugnazione di sentenza di applicazione di pena con la quale si deduca l’omessa considerazione della revoca del consenso nonostante una /ex superveniens più favorevole, la necessaria rilevazione dell’interesse concreto e attuale alla rimozione del provvedimento che si fonda su un accordo che, come chiarito, non è revocabile unilateralmente.

4.2.2. Orbene, il ricorrente non deduce, né dal ricorso è altrimenti evincibile in ragione della sua aspecificità sul punto, l’interesse concreto e attuale all’impugnazione, in relazione alla mancata considerazione da parte del giudice di merito della revoca del consenso fondata su legge sopravvenuta. V.E.A., infatti, si è limitato, tanto in sede di merito (come emerge dal ricorso e dall’atto manifestante la revoca a esso allegato) quanto in sede di legittimità, a fare mero riferimento all’aver la c.d. “Riforma Cartabia”, di cui al D.Lgs. n. 150 del 2022, introdotto istituti di favore, nonostante si tratti di riforma introducente svariati istituti, processuali (per cui opera il principio tempus regit actm), sostanziali e processuali con dirette ricadute sostanziali, anche, ma non solo, favorevoli (circa la portata della riforma in relazione alle richieste di applicazione di pena già decise alla data della sua entrata in vigore, si veda Sez. 4, n. 32332 del 18/04/2023, Garunja, in motivazione).

Il ricorrente, in particolare, più che dedurre specifici effetti favorevoli, rispetto alla sua posizione, dell’indicata lex superveniens, comunque non allegati al giudice di merito e da questi, quindi, non considerati, intende essere messo nelle condizioni di poter revocare il proprio consenso in contrasto con il principio dell’irrevocabilità di esso.

5. In conclusione, all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, ex art. 616 c.p.p., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2023

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