RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con sentenza del 25 giugno 2020 la Corte d’appello di Roma ha riconosciuto la sentenza di condanna definitiva alla pena di anni 4 di reclusione emessa nei confronti di F.F. dalla Corte regionale di Vienna in data 18 luglio 2017, per i reati di spendita di monete falsificate, appropriazione indebita e truffa commessi in Austria tra il 2016 ed il 2017, disponendo l’esecuzione in Italia della pena irrogata ancora da espiare, pari ad anni 2 mesi 10 e giorni 18; ha altresì rigettato, ai sensi della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18 bis nonchè del D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161, artt. 10, 11 e 13, la richiesta di consegna formulata dalle Autorità austriache in forza del mandato di arresto Europeo emesso in data 8 marzo 2018, sempre dalla Corte Regionale di Vienna.
2. Nell’interesse del F. ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, deducendo, quale unico motivo, violazione di legge, con riferimento al D.Lgs. n. 161 del 2010, art. 13, lett. l), e vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, tale disposizione, recependo l’art. 9 della decisione quadro 2008/909/GAI del 27.11.2008, impone di rifiutare il riconoscimento della sentenza se lo Stato di emissione, ha, a sua volta, prima della decisione rifiutato la richiesta formulata dall’autorità giudiziaria italiana di sottoporre la persona condannata a un procedimento penale o di privarla della libertà personale per un reato commesso anteriormente alla trasmissione della sentenza da riconoscere e diverso da quello per cui detta trasmissione è avvenuta. Poichè nel caso in scrutinio è pacifico che il Tribunale penale di Vienna, con pronuncia del 7 luglio 2017, ha statuito di non autorizzare la consegna di F.F. alle autorità italiane avanzata a mezzo di mandato di arresto Europeo, emesso dalla Procura generale della Corte di appello di Catania in data 1 settembre 2016 in relazione a fatti non solo diversi da quelli oggetto della sentenza oggetto di riconoscimento ma anche commessi in epoca precedente, la Corte distrettuale non avrebbe dovuto riconoscere la sentenza straniera dando atto della sussistenza di uno specifico motivo di rifiuto. Invece, partendo dall’erronea premessa che il D.Lgs. n. 161 del 2010, art. 13, lett. l) disciplini soltanto l’ipotesi del riconoscimento di sentenza nei confronti del condannato di cui è necessario il trasferimento dallo Stato emittente a quello di esecuzione, è pervenuta alla erronea conclusione che detta preclusione non possa trovare applicazione nei confronti del F. in ragione della sua attuale presenza sul territorio italiano e non sia comunque idonea ad impedire la consegna, cui il F. si è opposto, costituendo soltanto una causa di rifiuto del riconoscimento del titolo esecutivo. L’assunto non tiene conto che l’art. 13 cit. si limita a prevedere, nell’ambito della cooperazione giudiziaria internazionale ed in applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, un motivo di rifiuto obbligatorio, come tale operante a prescindere ed indipendentemente dalla disciplina in materia di consegna e di esecuzione in Italia della pena dettata dalla L. n. 69 del 2005, art. 18 bis, lett. c).
3. Il ricorso è inammissibile, perchè proposto con forme non consentite dalla legge e comunque senza il rispetto del termine di rito. L’atto di impugnazione, infatti, è stato depositato presso il Tribunale di Catania il 3 luglio ma è pervenuto presso la cancelleria della Corte di appello di Roma, ufficio competente a riceverlo, secondo la regola generale dell’art. 582 c.p.p., comma 1, in data 14 luglio, quindi oltre la data di scadenza del termine di dieci giorni previsto a tal fine dalla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 1, che è iniziato a decorrere il 25 giugno.
3.1. Ritiene il Collegio di dare continuità all’orientamento, di recente ribadito dalla Sesta sezione di questa Corte con le ordinanze n. 22819/20/21 del 23 luglio 2020, ric. Ben Achour, non massimate, secondo cui il ricorso per cassazione contro i provvedimenti che decidono sulla consegna in esecuzione di un mandato di arresto Europeo debbono essere necessariamente presentati nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, non potendo trovare applicazione il disposto dell’art. 582 c.p.p., comma 2, che ne autorizza il deposito anche nella cancelleria di un ufficio giudiziario del diverso luogo in cui il ricorrente eventualmente si trovi. Alla luce della norma di chiusura contenuta nella L. n. 69 del 2005, art. 39 in base alla quale in subiecta materia si applicano le disposizioni del codice di procedura penale e delle leggi complementari “per quanto non previsto dalla presente legge, in quanto compatibili” esclude che tra le norme richiamate vi sia anche l’art. 582, comma 2, atteso che la sua applicazione, improntata al principio del favor impugnationis, verrebbe ad incidere, fino a comprometterle, sulle esigenze di speditezza che costituiscono la ratio ispiratrice del sottosistema normativo relativo al mandato di arresto Europeo; essa, infatti, consente alla parte interessata di influire, in termini non puntualmente prevedibili e controllabili dall’autorità giudiziaria, sui tempi della trattazione del ricorso per cassazione e quindi sulla speditezza della decisione definitiva di consegna.
3.2 Non può invece darsi seguito all’unico precedente di segno divergente (Sez. F, n. 31875 del 09/08/2011, M., Rv. 250724).
Come evidenziato dalle recenti ordinanze citate nel punto precedente, nel sistema di consegna delineato dalla decisione quadro sul mandato di arresto Europeo assume decisiva importanza il rispetto dei termini stabiliti dall’art. 17 per la decisione definitiva sull’esecuzione del mandato di arresto Europeo, indipendentemente dallo status libertatis del consegnando, proprio perchè l’obiettivo principale del nuovo strumento è quello di semplificare e accelerare le procedure di cooperazione fra gli Stati (Corte U.E., 30/05/2013, C-168/13, Jeremy F.), così da realizzare, in tempi più rapidi di quelli del sistema estradizionale, la rapida consegna di persone ricercate a fini di giustizia sul territorio dell’Unione Europea attraverso una scansione procedimentale volta a soddisfare tanto le esigenze sovranazionali di un’efficace cooperazione tra gli Stati membri, quanto una piena tutela dei diritti e delle libertà individuali. Proprio per dare esecuzione a tale centrale esigenza di celerità il legislatore italiano, pur avendo posto il ricorso del per cassazione, e quindi l’adozione della decisione definitiva sulla consegna, al di fuori dei termini indicati dalla decisione quadro, ha comunque cadenzato la relativa procedura con termini stringenti, non solo per la presentazione del ricorso, ancorandone la decorrenza dalla lettura della sentenza, ma anche per l’adozione della decisione e per il deposito della relativa motivazione, adottando una disciplina differenziata rispetto a quella ordinaria. Vero è che si tratta di termini ordinatori, ma non per questo meno cogenti, sia alla luce dei principi costituzionali in tema di durata delle misure cautelari restrittive, sia in considerazione delle già illustrate esigenze sovranazionali di urgenza.
4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
5. Alla luce del contrasto interpretativo sulle modalità di presentazione del ricorso, sia pure superato dalla giurisprudenza più recente nei termini già chiariti, deve escludersi la condanna del ricorrente al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende. Non può, infatti, ritenersi che lo stesso abbia proposto l’impugnazione versando nella condizione di colpa di cui alle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.
Così deciso in Roma, il 20 agosto 2020.