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Cassazione civile sez. II, 02/02/2023, n.3198

Massima

Il procedimento di revoca dell’amministratore di condominio si svolge in camera di consiglio, si conclude con decreto reclamabile alla corte d’appello (articolo 64 delle disposizioni di attuazione del codice civile) e si struttura, pertanto, come giudizio camerale plurilaterale tipico, che culmina in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o “status”.

Supporto alla lettura

Revoca Amministratore

L’interruzione del rapporto tra amministratore e condominio può quindi avvenire in due modi:

  • per decisione dell’assemblea condominiale (revoca assembleare);
  • attraverso l’autorità giudiziaria, giudice, quando uno o più condomini depositano ricorso in tribunale (revoca giudiziale).

La legge amministratore di condominio individua con precisione i casi in cui l’amministratore è responsabile e quando può essere soggetto a revoca. L’assemblea può revocare l’amministratore per giusta causa o anche in mancanza di essa. Per il semplice fatto che è venuto a mancare il rapporto fiduciario tra amministratore e condominio. Il comma undicesimo dell’articolo 1129 del codice civile individua i casi in cui l’amministratore può essere revocato per giusta causa. Come revocare amministratore condominio per giusta causa?

  • mediante delibera dell’assemblea condominiale;
  • disposta dall’autorità giudiziaria su ricorso di un condomino quando l’amministratore non adempie all’obbligo di rappresentanza e per amministratore condominio obblighi ulteriori previsti dall’articolo 1131 del codice civile.

L’undicesimo comma articolo 1129 codice civile dice che la revoca dell’amministratore, quando è convocata l’assemblea condominiale, viene deliberata con la stessa maggioranze previste per la sua nomina o con le modalità previste dal regolamento condominiale. Questi sono i modi per stabilire maggioranza per revoca amministratore condominio. Il quorum richiesto è per revoca amministratore condominio maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio (articolo 1136 del codice civile). La revoca dell’amministratore può essere disposta su statuizione del giudice. Ciò può avvenire quando un condomino deposita ricorso revoca amministratore condominio presso il tribunale anche in contrasto con quanto deliberato dall’assemblea condominiale. La revoca giudiziale dell’amministratore può avvenire solo quando c’è una giusta causa. Vediamo nel dettaglio tutti i casi in cui la legge prevede la revoca dell’amministratore per giusta causa. La rimozione amministratore condominio è possibile per:

  • la mancata comunicazione all’assemblea dei condomini della ricezione di un atto di citazione o un provvedimento amministrativo che eccede l’esercizio delle sue funzioni;
  • il mancato reso conto della gestione;
  • la commissione di gravi irregolarità.

Quando l’amministratore è revocato su statuizione del giudice l’assemblea condominiale non può rinominarlo.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

C.D.P. impugna, articolando tre motivi di ricorso, l’ordinanza resa il 21 gennaio 2022 dalla Corte d’appello di Milano sul reclamo avverso il provvedimento di rigetto della domanda di revoca giudiziale dell’amministratore condominiale T.A. pronunciato dal Tribunale di Varese.

T.A. resiste con controricorso.

La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli art. 375 c.p.c., comma 2, e art. 380 bis.1 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis D.Lgs. n. 149 del 2022, ex art. 35.

Le parti hanno depositato memorie.

C.D.P. aveva richiesto la revoca di T.A. dall’incarico di amministratore del Condominio “(Omissis)” di (Omissis). Avverso il rigetto decretato dal Tribunale, C.D.P. aveva censurato il provvedimento del primo giudice per aver: – erroneamente ritenuto che fosse stato addebitato al T. di non avere i titoli necessari per svolgere l’attività di amministratore di condominio (mentre allo stesso era stato imputato di aver illegittimamente speso la qualifica di architetto); – erroneamente ritenuto che i singoli comportamenti attribuiti al T. non costituissero gravi irregolarità (mentre la valutazione da compiersi avrebbe dovuto riguardare complessivamente tali condotte, significative nel loro insieme di un atteggiamento parziale del T., il quale avrebbe sempre privilegiato gli interessi di alcuni condomini a discapito suo e del condominio in generale); – omesso di valutare la mancata esecuzione da parte del T. della Delib. assembleare 27 gennaio 2021 relativamente al calcolo dei consumi di riscaldamento; – omesso di valutare il comportamento tenuto dall’amministratore in occasione dell’assemblea del 17 ottobre 2020 (quando sulla base di una scorretta interpretazione della normativa emergenziale non avrebbe consentito la partecipazione della condomina P.); – erroneamente ritenuto che il T. avesse ben fatto a denunciare alla compagnia assicuratrice del Condominio il sinistro intercorso tra due condomini (mentre la polizza avrebbe coperto esclusivamente i danni provenienti dalla parti comuni); – erroneamente liquidato le spese processuali a suo carico.

La Corte d’appello di Milano ha affermato al riguardo che: -nessun travisamento il Tribunale aveva compiuto dell’allegazione del ricorrente in ordine alla abusiva spendita da parte del T. della qualità di architetto, circostanza reputata, piuttosto, non rilevante ai fini della revoca dell’amministratore: – nessuna censura il reclamante aveva mosso agli argomenti spesi dal Tribunale in ordine al fatto che le singole condotte imputate al T. non costituissero gravi irregolarità rilevanti ex art. 1129 c.c., commi 11 e 12, pretendendo soltanto che queste fossero complessivamente valutate quali indici di un atteggiamento diretto a favorire gli interessi di alcuni condomini, a detrimento dei suoi e degli interessi generali del Condominio; – l’unico comportamento del T. non esattamente corrispondente alle regole condominiali risultava essere quello della convocazione delle assemblee senza il rispetto del termine previsto, condotta che tuttavia non aveva pregiudicato i diritti del reclamante; – gli ulteriori addebiti attenevano a comportamenti pienamente regolari; – del tutto nuova, e pertanto inammissibile, era l’imputazione al T. di non aver dato esecuzione alla Delib. condominiale 27 gennaio 2021; – in nessun modo risultava che il reclamato avesse impedito alla condomina P. di partecipare con un assistente (in quanto invalida) ad una assemblea condominiale; – il decreto del Tribunale doveva essere confermato anche in punto di condanna al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 91 c.p.c. I tre motivi del ricorso di C.D.P. deducono:

1)violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 4) e conseguente nullità della sentenza o del procedimento, tutti in relazione all’art. 64 disp. att. c.c. Si assume che il provvedimento pronunciato dalla Corte d’appello di Milano “non ha colto il senso intrinseco del reclamo proposto dal ricorrente, limitandosi esso a ribadire pedissequamente le lacunose e non convincenti motivazioni già espresse dal Tribunale di Varese in prime cure, e non ha colto il comportamento fortemente illegittimo posto in essere dall’Amministratore T. nei confronti del condominio e di alcuni condomini in particolare”;

2) violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 4 in relazione all’art. 1129 c.c., comma 11 ed all’art. 91 c.p.c., sotto il profilo della illegittima liquidazione delle spese legali;

3) violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 4 e nullità della sentenza e del procedimento in relazione al D.M. 10 marzo 2014, n. 55 ed alla sua applicazione, per aver la Corte d’Appello di Milano, oltre che confermato la liquidazione delle spese di lite pronunciata dal Tribunale di Varese, anche liquidato le spese del giudizio di gravame applicando impropriamente dei valori previsti nel D.M. 10 marzo 2014, n. 55 del nella tabella di liquidazione relativa ai giudizi contenziosi da trattarsi avanti la Corte d’appello e non quella relativa ai procedimenti di volontaria giurisdizione.

Il ricorso va respinto.

Le censure introdotte sono contrarie ai consolidati orientamenti di questa Corte sulle questioni di diritto decise, senza offrire elementi che inducano a confermare o mutare tali orientamenti, e ciò agli effetti dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.

Secondo tali orientamenti, è inammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso il decreto con il quale la corte d’appello provvede sul reclamo contro il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, previsto dagli art. 1129 c.c. e art. 64 disp. att. c.c., trattandosi di provvedimento che non ha carattere decisorio, giacché non preclude la richiesta di tutela giurisdizionale piena, in un ordinario giudizio di cognizione, del diritto su cui il provvedimento incide;

tale ricorso e’, invece, ammissibile soltanto avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo (in particolare, per la più completa motivazione, Cass. Sez. 2, 28/10/2020, n. 23743, non massimata; Cass. Sez. 6 – 2, 13/11/2020, n. 25682; Cass. Sez. 6 – 2, 28/07/2020, n. 15995; Cass. Sez. 6 – 2, 18/03/2019, n. 7623; Cass. Sez. 6 – 2, 11/04/2017, n. 9348; Cass. Sez. 6 – 2, 30/03/2017, n. 8283; Cass. Sez. 6 – 2; Cass. Sez. 6 – 2, 01/07/2011, n. 14524; Cass. Sez. Unite, 29/10/2004, n. 20957).

E’ parimenti del tutto conforme all’orientamento interpretativo di questa Corte, consolidatosi sulla base del principio enunciato da Cass. Sez. Unite, 29/10/2004, n. 20957, la conclusione che il procedimento diretto alla revoca dell’amministratore di condominio soggiace al regolamento delle spese ex art. 91 c.p.c.

L’art. 91 c.p.c., secondo cui il giudice con la sentenza che chiude il processo davanti a sé, dispone la condanna alle spese giudiziali, intende riferirsi, infatti, a qualsiasi provvedimento che, nel risolvere contrapposte pretese, definisce il procedimento, e ciò indipendentemente dalla natura e dal rito del procedimento medesimo; pertanto, la norma trova applicazione anche ai provvedimenti di natura camerale e non contenziosa, come quelli in materia di revoca dell’amministratore di condominio, sicché, mentre la decisione nel merito del ricorso di cui all’art. 1129 c.c., comma 11, non è ricorribile in cassazione, la consequenziale statuizione relativa alle spese, in quanto dotata dei caratteri della definitività e della decisorietà, è impugnabile ai sensi dell’art. 111 Cost. (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 23/06/2017, n. 15706; Cass. Sez. 6 – 2, 11/04/2017, n. 9348; Cass. Sez. 2, 01/09/2014, n. 18487; Cass. Sez. 2, 26/06/2006, n. 14742).

Deve dunque ribadirsi che il procedimento di revoca dell’amministratore di condominio si svolge in camera di consiglio, si conclude con decreto reclamabile alla corte d’appello (art. 64 disp. att. c.p.c.) e si struttura, pertanto, come giudizio camerale plurilaterale tipico, che culmina in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o “status” (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 23/06/2017, n. 15706; Cass. Sez. Unite, 29/10/2004, n. 20957).

Ne consegue che il decreto con cui la corte d’appello provvede, su reclamo dell’interessato, in ordine alla domanda di revoca dell’amministratore di condominio, non avendo carattere decisorio e definitivo, non e’, come detto, ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., mentre può essere revocato o modificato dalla stessa corte d’appello, per un preesistente vizio di legittimità o per un ripensamento sulle ragioni che indussero ad adottarlo (restando attribuita al tribunale, giudice di primo grado, la competenza a disporre la revisione del provvedimento emesso in sede di reclamo, sulla base di fatti sopravvenuti: cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 18/03/2019, n. 7623; Cass. Sez. 1, 01/03/1983, n. 1540), ai sensi dell’art. 742 c.p.c., atteso che quest’ultima disposizione si riferisce, appunto, unicamente ai provvedimenti camerali privi dei caratteri di decisorietà e definitività (cfr. Cass. Sez. 1, 06/11/2006, n. 23673).

Il decreto con cui la Corte d’appello rigetti, come nella specie, il reclamo sul provvedimento di revoca dell’amministratore di condominio, comunque non costituisce “sentenza”, ai fini ed agli effetti di cui all’art. 111 Cost., comma 7, essendo sprovvisto dei richiesti caratteri della definitività e decisorietà, in quanto non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi, non pregiudica il diritto del condomino ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, né il diritto dell’amministratore allo svolgimento del suo incarico. Trattasi, dunque, di provvedimento non suscettibile di acquisire forza di giudicato, atteso che la pronuncia di revoca resta pur sempre inserita in un provvedimento non decisorio sul rapporto sostanziale, e non può perciò costituire autonomo oggetto di impugnazione per cassazione, avendo anche la pronuncia sull’osservanza delle norme processuali necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato (arg. da Cass. Sez. 1, 05/02/2008, n. 2756; Cass. Sez. 1, 01/02/2016, n. 1873; Cass. Sez. 6 – 1, 07/07/2011, n. 15070; Cass. Sez. 6 – 2, 18/01/2018, n. 1237).

A fronte delle considerazioni addotte dal ricorrente, va riaffermato che il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, ai sensi degli art. 1129 c.c. e art. 64 disp. att. c.c., costituisce un provvedimento di volontaria giurisdizione, in quanto sostitutivo della volontà assembleare ed ispirato dall’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela dell’interesse alla corretta gestione dell’amministrazione condominiale in ipotesi tipiche di compromissione della stessa. L’art. 1129 c.c. affida la titolarità del potere di revoca solamente all’assemblea, mentre la revoca disposta dall’autorità giudiziaria ha un esplicito carattere sanzionatorio, sicché, rispetto ad essa, il ruolo del singolo condomino è esclusivamente di impulso procedimentale. Pur incidendo sul rapporto di mandato tra condomini ed amministratore, il decreto di revoca non ha, pertanto, carattere decisorio, non precludendo la richiesta di tutela giurisdizionale piena, in un ordinario giudizio contenzioso, relativa al diritto su cui il provvedimento incide (si vedano Cass. Sez. 6 – 2, 27/02/2012, n. 2986; Cass. Sez. 6 – 2, 01/07/2011, n. 14524).

La deduzione che la revoca ex art. 1129 c.c. e art. 64 disp. att., c.c. si riverbera sul rapporto intercorrente tra tutti i condomini e l’amministratore neppure convince circa la decisorietà, e, quindi, l’attitudine al giudicato, del provvedimento, agli effetti del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. E’, invero, caratteristica frequente dei procedimenti camerali plurilaterali, nei quali l’intervento giudiziale è pur sempre diretto all’attività di gestione di interessi, l’incidenza su un diritto altrui dell’esercizio, da parte del giudice, di un potere gestorio (si pensi all’analogo decreto della corte d’appello che decide sul reclamo avverso il provvedimento del tribunale reso ai sensi dell’art. 2409 c.c., parimenti non impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.), restando consentito al titolare del diritto di chiedere la tutela giurisdizionale a cognizione piena del diritto inciso.

Proprio il richiamo dell’art. 1726 c.c. evidenzia le differenze con la revoca giudiziale dell’amministratore di condominio: il procedimento ex art. 1129 c.c. e art. 64 disp. att. legittima anche uno solo dei condomini a rivolgersi al tribunale, anticipando la deliberazione dell’assemblea condominiale eventualmente inerte o persino in contrasto con una già espressa volontà della maggioranza dei condomini, per chiedere la rimozione dell’amministratore, unico legittimato a contraddire; la revoca di un mandato collettivo (quale quello conferito all’amministratore dai condomini in esecuzione della delibera di nomina) supporrebbe, altrimenti, o il comune accordo di tutti i mandanti, ex art. 1726 c.c., oppure una pronuncia giudiziale di risoluzione idonea al giudicato nel litisconsorzio necessario di tutte parti del rapporto contrattuale plurisoggettivo, concettualmente unico e inscindibile.

Anche dopo le modifiche introdotte dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, rimane perciò da confermare la mancanza di attitudine al giudicato del provvedimento con cui il tribunale pone termine ante tempus al rapporto tra amministratore e condomini. Non è determinante in senso contrario il disposto dell’art. 1129 c.c., art. 13 in forza del quale “in caso di revoca da parte dell’autorità giudiziaria, l’assemblea non può nominare nuovamente l’amministratore revocato”. Il divieto di nomina dell’amministratore revocato dal tribunale (peraltro esterno al rapporto processuale determinato dal procedimento camerale di revoca, il quale intercorre unicamente tra il condomino istante e l’amministratore, senza imporre e nemmeno consentire l’intervento dei restanti: cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 21/02/2020, n. 4696) è temporaneo, e non comprime definitivamente il diritto dello stesso di ricevere l’incarico, rilevando soltanto per la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto di rimozione. Il divieto di nomina posto dal riformato art. 1129 c.c., comma 13, funziona, in realtà, nei confronti dell’assemblea, precludendole di rendere inoperativa la revoca giudiziale con una delibera che riconfermi l’amministratore rimosso dal tribunale (e ciò pure se siano ormai venute meno le ragioni che avevano determinato la sua revoca). Tale divieto non oblitera perciò il tipico connotato di provvisorietà ed intrinseca modificabilità dei provvedimenti giudiziari camerali in tema di nomina e revoca dell’amministratore di condominio, lasciando all’amministratore revocato la facoltà di avvalersi della tutela giurisdizionale piena in un ordinario giudizio contenzioso a fini risarcitori (ancora Cass. Sez. 2, 28/10/2020, n. 23743, non massimata).

Infine, che il provvedimento di revoca debba essere adottato “sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente” (art. 64 disp. att. c.c., comma 1) non è affatto indizio contrastante con la natura di volontaria giurisdizione del procedimento, atteso che nei procedimenti camerali di natura contenziosa che si svolgono con il rito camerale deve comunque essere assicurato il diritto di difesa e, quindi, realizzato il principio del contraddittorio.

Va da ultimo precisato come Cass. Sez. 2 11/10/2018, n. 25336, che il ricorrente richiama, avesse in realtà ad oggetto un provvedimento con il quale la corte di appello aveva pronunciato sul reclamo contro il decreto del tribunale in tema di nomina (e non di revoca) dell’amministratore di condominio, previsto dall’art. 1129 c.c., comma 1, all’esito di procedimento che non è diretto a risolvere un conflitto di interessi, ma solo ad assicurare al condominio l’esistenza dell’organo necessario per l’espletamento delle incombenze ad esso demandate dalla legge, e dalla cui definizione non può derivare una situazione di soccombenza ai fini della pronuncia sulle spese di lite (Cass. Sez. VI-2, 16/11/2017, n. 27165; Cass. Sez. 2, 06/05/2005, n. 9516; Cass. Sez. 2, 11/04/2002, n. 5194).

Neppure sono ammissibili avverso il decreto in tema di revoca dell’amministratore di condominio le censure proposte sotto forma di vizi in iudicando o in procedendo, dirette a rimettere in discussione la sussistenza, o meno, delle gravi irregolarità ex art. 1129 c.c., comma 12, ovvero a lamentare l’errore nella forma del provvedimento (ordinanza anziché decreto), l’impropria apposizione di formula esecutiva o la materiale mancanza della motivazione occorrente per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione. In particolare, la circostanza che il reclamo ex art. 739 c.p.c. in tema di revoca dell’amministratore di condominio sia stato deciso con ordinanza non snatura il provvedimento, conservando essa il contenuto e la sostanza del decreto previsto dalla norma indicata, e quindi anche il relativo regime impugnatorio.

La terza censura, rivolta avverso la liquidazione delle spese del procedimento di reclamo, che la Corte d’appello di Milano ha quantificato in complessivi Euro 4.963,00, oltre spese generali ed oneri fiscali, comunque non è fondata.

Alla stregua dei principi enunciati da Cass. Sez. Unite, 29/10/2004, n. 20957, come visto, il procedimento diretto alla revoca dell’amministratore di condominio soggiace al regolamento delle spese ex art. 91 c.p.c.

E’ quindi altrettanto legittima la condanna alle spese giudiziali nel procedimento promosso in sede di reclamo, ex art. 64 disp. att. c.c., comma 2 avverso il provvedimento reso dal tribunale, atteso che ivi si profila comunque un conflitto tra parte impugnante e parte destinataria del reclamo, la cui soluzione implica una soccombenza che resta sottoposta alle regole dettate dagli artt. 91 c.p.c. e ss.; per la relativa liquidazione si applica non già la tabella n. 7 del D.M. n. 55 del 2014 del Ministero della Giustizia, operante ratione temporis, relativa ai procedimenti di volontaria giurisdizione, bensì quella n. 12 del medesimo decreto sui giudizi ordinari innanzi alla corte d’appello, avendo il procedimento di reclamo carattere contenzioso (arg. da Cass. Sez. 1, 12/05/2010, n. 11503; Cass. Sez. 1, 16/05/2007, n. 11320). Tale interpretazione giurisprudenziale trova ora conferma nel D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 4 aggiunto dal D.M. 13 agosto 2022, n. 147, art. 2, comma 1, lett. e) secondo il quale i parametri previsti dalla allegata tabella n. 7 per i procedimenti di volontaria giurisdizione si applicano esclusivamente a quelli aventi natura non contenziosa.

Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 16 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2023

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