• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. II, 30/10/2020, n. 24041

Cassazione civile sez. II, 30/10/2020, n. 24041

Massima

L’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale deve essere inviato ed anche ricevuto entro cinque giorni prima della data dell’adunanza poiché in base agli articoli 1136 del codice civile e 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile, nella formulazione antecedente alle modifiche apportate dalla legge 220/2012, ogni condomino ha il diritto di intervenire all’assemblea e deve, quindi, essere messo in condizione di poterlo fare

Supporto alla lettura

Condominio

1. La natura giuridica del Condominio.
Quella della natura giuridica del condominio è una questione che ha fatto sorgere numerosi contrasti in dottrina e in giurisprudenza. La giurisprudenza di legittimità si è più volte espressa sostenendo che il condominio non può considerarsi un soggetto giuridico distinto dai singoli condomini che lo compongono. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti.
In questo contesto dottrina e giurisprudenza hanno elaborato diverse teorie alle volte in contraddittorio tra loro. S’è detto che il condominio è:
a) un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica e autonomia patrimoniale distinta da quella dei suoi partecipanti (Cass n. 7891/2000);
b) un centro d’imputazione d’interessi distinto dai singoli partecipanti (Cass. 19 marzo 2009, n. 6665);
c) una organizzazione pluralistica (Cass. SS.UU. n. 9148/08).
La legge di riforma n. 220/2012 non ha preso posizione sul problema ma, come evidenziato dalle Sezioni unite della Suprema corte nella sentenza n. 19663/2014, ha introdotto una serie di disposizioni che sembrerebbero confermare la tendenza alla progressiva configurabilità “di una sia pur attenuata personalità giuridica”. In merito si rimanda all’ammissione della pignorabilità da parte dei fornitori del conto corrente condominiale, nonostante il nuovo disposto dell’art. 63 disp. att. c.c. sulla responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni comuni. Ma con la sentenza n. 10934/2019, le medesime Sezioni unite hanno escluso che il condominio possa configurarsi come un autonomo soggetto di diritto.
2. Condominio consumatore
È utile ricordare che ai sensi dell’art. 3 del codice del consumo (d.lgs n. 206/2005), consumatore o utente è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” (art. 3 lett. a) Codice del consumo), mentre il professionista è “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario” (art. 3 lett. c) Codice del consumo).
L’orientamento che si è finora delineato, sia di merito che di legittimità, ha valorizzato in via pressoché esclusiva l’assunto secondo il quale, essendo il condominio ente di gestione privo di personalità giuridica, «l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale» (Cassazione, sentenze 10679/2015 e 452/2005). Di recente il tribunale di Milano, con ordinanza sospensiva del giudizio, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: “Se la nozione di consumatore quale accolta dalla direttiva 93/13/CEE osti alla qualificazione come consumatore di un soggetto (quale il condominio nell’ordinamento italiano) che non sia riconducibile alla nozione di “persona fisica” e di “persona giuridica”, allorquando tale soggetto concluda un contratto per scopi estranei all’attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista sia quanto al potere di trattativa, sia quanto al potere di informazione …” (Trib. Milano, ord. 1 aprile 2019).
La corte di Giustizia si è pronunciata affermato che il Condominio è consumatore “L’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva” (Corte giustizia UE , 02 aprile 2020, n.329, sez. I).

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

I. Il Condominio (OMISSIS), ha proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 647/2016 della Corte d’appello di Milano, depositata il 19/02/2016.

Resiste con controricorso B.M..

La Corte d’appello di Milano ha accolto il gravame avanzato da B.M. contro la decisione resa in primo grado dal Tribunale di Lodi il 23 febbraio 2012 e perciò ha annullato la Delib. assembleare approvata il 27 gennaio 2010 dal Condominio (OMISSIS). La Corte di Milano ha evidenziato come, a fronte di riunione dell’assemblea fissata in prima convocazione per il 26 gennaio 2010 ed in seconda convocazione per il 27 gennaio 2010, l’avviso ex art. 66 disp. att. c.c., era stato ricevuto dalla condomina B.M. soltanto in data 23 gennaio 2010, senza che rilevasse, al fine di escludere l’invalidità dell’impugnata Delibera, nè il dedotto inadempimento di Poste Italiane incaricata del recapito, nè la “prova di resistenza” offerta dalla maggioranza comunque raggiunta.

La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c..

II. Il primo motivo del ricorso del ricorso del Condominio (OMISSIS) deduce la violazione dell’art. 100 c.p.c., quanto al difetto di un interesse concreto ad agire per l’annullamento in capo alla condomina B.M., interesse diverso e qualificato rispetto a quello alla semplice rimozione della Delibera viziata. Si tratterrebbe, a dire del ricorrente, di una iniziativa processuale a fini emulativi.

Il secondo motivo di ricorso censura la violazione dell’art. 345 c.p.c., avendo la Corte d’appello dichiarato inammissibili i documenti prodotti dal Condominio appellato nel giudizio di secondo grado, trattandosi in realtà di delibere approvate dall’assemblea in data successiva alla chiusura della fase istruttoria svoltasi davanti al Tribunale e comprovanti il difetto di interesse della condomina B. a lamentare il riparto delle spese di gestione, sempre effettuato in base alla tabella “supercondominiale“.

Il terzo motivo di ricorso deduce che, ai sensi dell’art. 66 disp. att. c.c. (nella formulazione antecedente alla Riforma entrata in vigore il 18 giugno 2013), l’avviso di convocazione dell’assemblea deve essere soltanto spedito nel termine fissato, e non anche recapitato. Nella specie, il ricorrente espone che alla condomina B. si procedeva a comunicare le convocazioni dell’assemblea mediante posta raccomandata in seguito a pregresso contenzioso tra le parti. Viene quindi richiamato il principio di scissione soggettiva degli effetti della notificazione per il notificante ed il destinatario, sancito dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali.

III. Risulta logicamente preliminare l’esame del terzo rinvio, attenendo esso al giudizio di invalidità della Delibera assembleare.

Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto inerente alla tempestività della comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo di ricorso non offre elementi per mutare tale orientamento, con conseguente inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c., n. 1 (Cass. Sez. U., 21/03/2017 n. 7155).

Secondo consolidata interpretazione, infatti, l’art. 1136 c.c. e art. 66 disp. att. c.c., nella formulazione antecedente alle modifiche apportate dalla L. n. 220 del 2012 (formulazione qui operante, dovendosi giudicare la validità di una Delib. approvata il 27 gennaio 2010), ogni condomino ha il diritto di intervenire all’assemblea e deve, quindi, essere messo in condizione di poterlo fare, con la conseguente necessità che l’avviso di convocazione previsto dall’art. 66 disp. att. c.c., u.c., testo previgente, quale atto unilaterale recettizio, sia non solo inviato, ma anche ricevuto nel termine, ivi stabilito, di almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza, avendo riguardo alla riunione dell’assemblea in prima convocazione (Cass. Sez. 6 – 2, 26/09/2013, n. 22047; Cass. Sez. 2, 22/11/1985, n. 5769). Ne consegue che il mancato rispetto di tale termine di ricezione dell’avviso da parte dell’avente diritto costituisce motivo di annullamento della Delibera assembleare, ai sensi dell’art. 1137 c.c., come confermato dal testo ora vigente dell’art. 66 c.c., comma 3, introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, il quale fa riferimento non solo all’omessa, ma anche alla tardiva o incompleta convocazione, specificando peraltro la legittimazione del solo condomino non ritualmente convocati ad agire per l’annullamento.

Essendo, dunque, necessario che l’avviso, in quanto atto unilaterale recettizio, sia non solo spedito ma anche ricevuto dal condomino destinatario almeno cinque giorni prima la data dell’adunanza in prima convocazione (come lascia intendere l’espressione “comunicato“, la quale evoca la regola di cui all’art. 1335 c.c., a differenza, ad esempio, di quanto si legge nell’art. 2479 bis c.c., per l’assemblea della s.r.l.: cfr. Cass. Sez. U, 14/10/2013, n. 23218), ai fini della prova dell’osservanza di tale termine dilatorio è necessario che il condominio dimostri la data in cui esso è pervenuto all’indirizzo del destinatario, con l’ulteriore conseguenza che, nell’ipotesi di invio dello stesso con lettera raccomandata, ove questa non sia consegnata per l’assenza del destinatario, detta data coincide con quella di rilascio dell’avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, in quanto idoneo a consentirne il ritiro (così Cass. Sez. 2, 06/10/2017, n. 23396). E’ perciò corretta in diritto l’affermazione della Corte d’appello di Milano secondo cui, a fronte di riunione dell’assemblea fissata in prima convocazione per il 26 gennaio 2010, risultava tardivo l’avviso ricevuto dalla condomina B.M. in data 23 gennaio 2010.

Nessuna consistenza può riconoscersi alle considerazioni del ricorrente allorchè evoca, per la comunicazione dell’avviso di convocazione all’assemblea, la regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, giacchè quella regola è stata sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali e non a quelli sostanziali, e si estende, al più, anche agli effetti sostanziali dei primi ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale (Cass. Sez. U, 09/12/2015, n. 24822).

III. Anche il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto inerente all’interesse ad agire della condomina B. in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo di ricorso non offre elementi per mutare l’orientamento in questione, con conseguente inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c., n. 1 (Cass. Sez. U., 21/03/2017 n. 7155).

Come più volte ribadito nelle sentenze, in tema di azione di annullamento delle deliberazioni delle assemblee condominiali, la legittimazione ad agire attribuita dall’art. 1137 c.c., ai condomini assenti e dissenzienti, nella specie al condomino che abbia ricevuto una convocazione tardiva per l’assemblea, non è subordinata alla deduzione ed alla prova di uno specifico interesse diverso da quello alla rimozione dell’atto impugnato, essendo l’interesse ad agire, richiesto dall’art. 100 c.p.c., come condizione dell’azione di annullamento anzidetta, costituito proprio dall’accertamento dei vizi formali di cui sono affette le deliberazioni (Cass. Sez. 2, 10/02/2010, n. 2999; Cass. Sez. 2, 23/03/2001, n. 4270; Cass. Sez. 2, 04/04/1997, n. 2912).

Non vi era perciò motivo di richiedere alla condomina B. di dimostrare quale motivo sostanziale avesse per lamentarsi del criterio di ripartizione delle spese seguito dalla Delib. 27 gennaio 2010: la denuncia di un vizio afferente il procedimento di convocazione attiene alla tutela della collegialità dell’assemblea, comportando un’alterazione nella formazione della relativa Delibera, senza che possa rilevare, per escludere l’annullabilità della stessa, il carattere non determinante del voto spettante al condomino non ritualmente convocato per il raggiungimento della maggioranza occorrente ai fini dell’approvazione della deliberazione.

IV. Il secondo motivo di ricorso è, infine, del pari inammissibile. Il ricorrente censura la decisione di secondo grado che non ha ritenuto ammissibile la produzione in appello di nuovi documenti, descritti in ricorso quali delibere assembleari approvate successivamente a quella oggetto di lite, senza che venga però indicato specificamente, come imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, quale contenuto avessero tali documenti. E’ poi comunque evidente come non sia superato il vaglio di decisività di tali documenti che il ricorrente intendeva produrre davanti alla Corte d’appello, essendo essi dichiaratamente volti a dimostrare la carenza dell’interesse ad agire della condomina B., carenza già smentita nell’esame del primo motivo di ricorso.

V. Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 settembre 2020.

 

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi