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Corte di Giustizia Tributaria I grado di Livorno sez. I, 29/07/2025, n. 241

Massima

In sede di contenzioso avverso un avviso di accertamento che riqualifica l’attività di un Incaricato alle Vendite a Domicilio (IVD), operante in regime di multilevel marketing, come reddito d’impresa ordinario, la Corte Tributaria è chiamata a valutare la fondatezza dell’accertamento anche alla luce dell’Art. 7, comma 5-bis, del D. Lgs. n. 546/1992.

Supporto alla lettura

PROCESSO TRIBUTARIO

Il Processo Tributario è un procedimento giurisdizionale che ha ad oggetto le controversie di natura tributaria tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, è disciplinato nel d.lgs. 546/1992 e non è incluso in nessuna delle giurisdizioni indicate dalla Costituzione, rappresenta quindi un’eccezione giustificata dal grande tecnicismo della materia.

Il 03 gennaio 2024 è stato pubblicato in G.U. il d.lgs. 220/2023 recante disposizioni in materia di contenzioso tributario, le quali vanno a modificare il d.lgs. 546/1992, e sono da collocare in attuazione della L. 111/2023, con la quale è stata conferita delega al Governo per la riforma fiscale.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(omissis) impugnava l’avviso di accertamento n. (omissis)/2024 per l’anno 2018, emesso dall’Agenzia delle Entrate D.P. di Livorno, per IRPEF € 17.242,00, oltre addizionali e interessi; sanzioni € 8.092,40.

Il contribuente è esercente l’attività di “procacciatore d’affari” e negli anni dal 2017 al 2021 ha percepito provvigioni dalla società (omissis) che svolge attività di commercio al dettaglio di prodotti vari con dimostratore (cod. attività 479910), per l’esercizio di incaricato alle vendite a domicilio, cosiddette porta a porta. Il medesimo ha quindi inquadrato la propria attività tra quelle di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 114 del 31 marzo 1998 per le quali sono applicabili le disposizioni dell’art. 25bis, comma 6, del DPR 600/1973, secondo cui la ritenuta è applicata a titolo d’imposta ed è commisurata all’ammontare delle provvigioni percepite ridotto del 22 per cento a titolo di deduzione forfetaria delle spese di produzione del reddito, con la conseguenza che tali compensi non concorrono in nessun caso alla formazione del reddito complessivo e non devono essere indicati nella dichiarazione dei redditi, senza che sussista l’obbligo di tenuta delle scritture contabili (risoluzione 180/E del 12.07.1995).

A seguito della verifica di cui ai PVC del 9 dicembre 2022 e del 23 marzo 2023, la Guardia di Finanza di Portoferraio riqualificava l’attività quale “agente di commercio” con conseguente assoggettamento a imposizione ordinaria del reddito di impresa, in quanto la prestazione lavorativa effettivamente esercitata dal Contribuente, era basata per oltre il 98% dei propri proventi (€ (121.735,27 su € 123.671,30 corrisposti dalla società (omissis) S.r.l.) sul reclutamento di altri affiliati secondo il metodo piramidale del cd “multilevel marketing” piuttosto che sull’attività di vendita diretta presso il domicilio dei consumatori finali. I militari rilevavano anche l’omessa denuncia di redditi fondiari per € 396,00.

Successivamente alla conclusione con esito negativo del contraddittorio instaurato, l’Agenzia delle Entrate accertava un maggior imponibile di complessivi € 122.131,00.

Il Ricorrente chiedeva di dichiarare la nullità e l’annullamento dell’atto impugnato per assenza di elementi di prova ai sensi dell’art. 7, comma 5-bis del D. Lgs. n. 546/1992, avendo egli applicato il proprio regime fiscale, in coerenza con l’autorizzazione amministrativa rilasciata alla società mandante dal comune di Roma, che prevede esclusivamente il commercio al dettaglio tramite incaricato a domicilio.

Eccepiva l’Illegittimità della riqualificazione soggettiva operata dall’Agenzia delle Entrate per violazione dell’art. 69, comma 5-bis del Decreto legislativo n. 59 del 26/03/2010, non rientrando nel concetto di impresa l’attività di Incaricato alle Vendite a Domicilio, come espressamente previsto dalla Circolare n. 3407/C del 09/01/1997 del Ministero dell’Industria, con la quale si esclude l’iscrizione degli Incaricati alle Vendite a Domicilio nel Registro delle Imprese della Camera di Commercio; come non può essere qualificata di lavoro autonomo in quanto i ricavi sono identificati come provvigioni, comunque senza alcuna forma di organizzazione. Sosteneva il Ricorrente che la circostanza che l’incaricato alle vendite a domicilio non svolgerebbe prevalentemente attività di raccolta ordini presso il domicilio del consumatore o nei luoghi nei quali questo si trova, anche temporaneamente, per motivi personali, di lavoro, di studio, di intrattenimento o di svago non può consentire di modificare il suo status giuridico, in quanto la normativa che disciplina l’attività dei venditori “porta a porta” espressamente prevede la presenza di provvigioni maturate attraverso la raccolta ordini indiretta, ovverosia mediante lo strumento del Multilevel Marketing (cfr. Legge n. 173/2005, articolo 1). Nel caso di specie non può configurarsi l’illecita attività piramidale, presunta dalla Guardia di Finanza e recepita dall’Ufficio, perché è necessario che l’attività della società mandante sia improntata prevalentemente al procacciamento di nuovi affiliati, rispetto alla vendita del prodotto, ipotesi questa non applicabile alla (omissis). Il Ricorrente, divenuto oggi apicale, negava di non svolgere più la sua attività di venditore “porta a porta”, poiché tutte le provvigioni che egli percepisce, sia quelle dirette che quelle indirette, costituiscono il frutto di un’attività di continua promozione nei confronti dei consumatori finali, di formazione ed accompagnamento di questi laddove i medesimi decidano di intraprendere l’attività di IVD, che solo in quel momento iniziano ad appartenere alla sua down-line, la quale, senza la sua continua partecipazione, tenderebbe a fermarsi o comunque a regredire. Segnalava la sentenza di questa Corte n. 397/2024 del 9 ottobre 2024, depositata l’11 novembre 2024 (RGA 114/2024) a lui favorevole, relativa al medesimo accertamento per l’anno 2017, nonché la sentenza n. 2295/2024, del 24 luglio 2024 e depositata il 29 agosto 2024, che in un caso perfettamente identico, in riforma della sentenza di primo grado n. 2939/2023, accoglieva le tesi del contribuente, rigettando l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate; anche la Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Torino, Sezione 1, con la sentenza n. 1190/2024 del 7 ottobre 2024, depositata il 4 novembre 2024, accoglieva il ricorso proposto dalla contribuente, altra incaricata alle vendite della precedentemente richiamata (omissis) S.r.l.

Il Ricorrente contestava il fatto che le tesi dell’Ufficio si manifestano palesemente illegittime ed infondate in quanto basano il presupposto di riqualificazione di uno status soggettivo, normativamente disciplinato, in base all’entità del volume d’affari, principio, questo, estraneo al nostro ordinamento fiscale e previdenziale.

In via subordinata il Ricorrente chiedeva di determinare della base imponibile IRPEF, applicando al volume dei ricavi conseguiti una riduzione forfetaria non inferiore al 38% e pertanto rideterminando il reddito d’impresa in misura non superiore al 62% dei ricavi conseguiti e pertanto in misura non superiore a € 75.476,00.

In via seconda subordinata il medesimo chiedeva di voler dichiarare non applicabili le sanzioni poiché l’eventuale violazione è stata giustificata dalle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce.

Resisteva in giudizio l’Agenzia delle Entrate, la quale contestava tutto quanto ex adverso dedotto e prodotto, chiedendo il rigetto del ricorso. Produceva in allegato i due PVC che insieme alle motivazioni contenute nell’avviso di accertamento dimostrano l’iter logico che ha guidato l’azione dei verbalizzanti, a cui sono seguite le interlocuzioni in fase di svolgimento del contraddittorio preventivo.

Per l’Agenzia la causa dell’accertamento non né da ricondurre, come sostenuto dal Ricorrente, dalla soglia dei ricavi percepiti dal venditore porta a porta – quantunque elevati – bensì dalla natura dell’attività lavorativa effettivamente prestata: da cui consegue la totale inconferenza di tutti i rimandi normativi e di prassi contenuti nel ricorso. Difatti, il regime fiscale di particolare favore previsto dall’articolo 25-bis, comma 6 del D.P.R. 600/73 ben può essere applicato anche ad elevati proventi purché derivanti dall’attività di vendita diretta a domicilio, intendendosi per essa quella posta in essere direttamente dal Contribuente presso il domicilio del consumatore finale o in luogo dove quest’ultimo si trova temporaneamente (ad esempio nei centri commerciali). Secondo l’Agenzia, nei casi quali quello in esame in cui, la quasi totalità dei compensi (circa il 99%) deriva non dalla vendita porta a porta (in qualunque forma possa essa trovare manifestazione, dunque anche indirettamente) ma dalla
semplice attività di reclutamento di nuovi venditori secondo uno schema piramidale tipico del multilevel marketing che la stessa Legge 173/2005 istitutiva della vendita a domicilio ha inteso espressamente vietare. Il (omissis) avrebbe ottenuto pressoché tutti i suoi guadagni espletando mansioni che niente avevano a che vedere con la vendita porta a porta, quanto piuttosto riconducibili al mero reclutamento di terzi che a loro volta reclutavano altri soggetti, dando luogo ad una catena di venditori che solo nell’ultimo anello sfociava nella vendita diretta al consumatore finale. L’Agenzia riferiva che la questione è già stata affrontata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che con le sentenze n. 5172/2015 e n. 532/2016 (quest’ultima definitiva per omessa impugnazione), decidendo su un caso analogo a quello di cui al presente procedimento, ha statuito come il regime fiscale di favore di cui all’articolo 25-bis, comma 6 del D.P.R. 600/73 non possa essere accordato a soggetti che traggono i propri ricavi prevalentemente dal reclutamento di altri affiliati addetti alle vendite. Citava a proprio favore anche la sentenza n. 873 depositata dalla Sezione III della CGT di II grado del Piemonte in data 04/11/2021.

Il Contribuente non svolgeva esclusivamente attività di vendita ma anche quella di formazione, come evincibile dal materiale extracontabile reperito dai verificatori (siti internet) e differentemente da quanto asserito dalla società mandataria; – a riprova della bontà della configurazione di un’attività di agente di commercio estranea alla vendita diretta a domicilio depone altresì l’elevato numero degli affiliati e i guadagni irrisori di gran parte di essi, dimostrazione del fatto che i compensi del (omissis) derivavano più dal numero dei venditori reclutati che non dal volume delle compravendite, traendo profitto esclusivamente in virtù della sua posizione apicale e senza la conclusione diretta dei negozi, ossia ottenendo percentuali pure sui nuovi affiliati reclutati indirettamente da altri posti a livelli inferiori della piramide, beneficiando di una sorta di rendita dovuta al ruolo verticistico ricoperto; – differentemente da quanto sostenuto dalla società mandataria, gli acquisti diretti per autoconsumo da parte degli affiliati non possono che essere irrisori, ossia nel rispetto di determinati limiti che la stessa società fissava per evitare la vendita impropria di merce al di fuori dei regolari circuiti aziendali; – lo stesso schema piramidale del marketing multilivello (che espressamente preclude la configurabilità del venditore porta a porta) è stato tratteggiato direttamente dalla (omissis) S.r.l. in sede di verifica ad opera della Finanza, non costituendo dunque presunzione dell’Ufficio; – la stessa Compagine, in sede di prima assunzione del Contribuente, denotava la possibilità di riconfigurare la tipologia contrattuale in ipotesi di variazione delle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa (allegato al pvc).

Parte resistente riteneva manifestamente infondata e finanche pretestuosa la richiesta in via subordinata di riconoscimento dei costi in misura pari al 38% dei ricavi conseguiti, come da coefficiente di redditività previsto dal regime forfetario per l’attività di agente di commercio, posto che all’epoca dei fatti (2018) per l’attività di agente di commercio era richiesto, tra gli altri requisiti, una soglia massima di ricavi non superiore ad € 25.000,00; presupposto non rispettato dal Ricorrente, percettore nell’anno d’imposta attenzionato di ricavi pari ad € 123.671,30. Per il Contribuente è possibile vedersi riconoscere solamente i costi debitamente ed analiticamente documentati, non solo genericamente asseriti ma non provati documentalmente, come invece avvenuto nel caso che ci occupa.

L’Agenzia concludeva chiedendo la conferma delle sanzioni irrogate.

Il Ricorrente, con memoria del 3 giugno 2025, insisteva nelle richieste formulate nel ricorso introduttivo, con vittoria di spese delle quali si dichiarava antistatario; faceva presente che la già segnalata sentenza n. 2295/2024, del 24 luglio 2024, della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, Sez. 16, non è stata opposta dall’A.F. presso la Corte di cassazione nei termini di legge e per tale motivo è passata in giudicato; a seguito del predetto passaggio in giudicato, l’Ufficio di Monza Brianza ha proceduto alo sgravio delle somme iscritte a ruolo per l’anno 2016 e ha provveduto, prima ancora della decisione di primo grado, ad annullare in autotutela l’accertamento IRPEF per il successivo periodo d’imposta 2017.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’avviso di accertamento è compiutamente motivato sia in proprio che per relazione ai PVC della Guardia di Finanza del 9 dicembre 2022 e del 23 marzo 2023 e riporta in dettaglio le ragioni dell’an e del quantum della pretesa tributaria. Eventuali carenze di elementi a sostegno delle ragioni avanzate dall’Agenzia dovranno essere valutate nel merito della fondatezza dell’accertamento, in ordine alle prove da questa addotte a sostegno del recupero, anche ai sensi dell’art. 7, co. 5 bis, D.lgs. 546/1992.

In questo senso, occorre preliminarmente valutare se per l’attività di fatto svolta dal Ricorrente, tenuta presente la qualificazione assunta dallo stesso e le risultanze dell’attività svolta dai verificatori, sussistano le condizioni per l’applicazione dello speciale regime definito per attività di “Incaricato alle Vendite a Domicilio” ai sensi e per gli effetti del D. Lgs. n. 114/1995 e della Legge n. 173/2005 e dell’art. 25-bis, 6° comma, del DPR 29 settembre 1973 n. 600/73 e cioè se i proventi di tale attività sono soggetti ad una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 23% sul 78% dell’imponibile e conseguentemente non formano oggetto di dichiarazione nel Modello Unico dell’incaricato alle vendite a domicilio, ai fini del reddito d’impresa, come tra l’altro ricordato dalla Risoluzione Ministeriale 180/E del 12 luglio 1995.

Osserva la Corte che non è qui in contestazione la titolarità del Ricorrente delle autorizzazioni amministrative richieste e della validità del contratto che lo lega con la società (omissis) S.r.l.. La riqualificazione dell’attività eseguita con l’atto impugnato trova fondamento principalmente sulla giurisprudenza espressamente riportata sia nel PVC che nell’avviso di accertamento, le sentenze della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 5172/2015 e n. 532/2016, secondo le quali il regime fiscale di favore di cui all’articolo 25-bis, comma 6 del D.P.R. 600/73 non possa essere accordato a soggetti che traggono i propri ricavi prevalentemente dal reclutamento di altri affiliati addetti alle vendite. L’Agenzia poi rimarca la fondatezza di tali argomentazioni, facendo presente che le predette sentenze sono divenute definitive: la n. 532/12/2016 per omessa impugnazione, mentre la 5172/15/2015 per adesione del Contribuente alla definizione agevolata prevista dal D.L. 119/2018, circostanze queste ultime alle quali però non può essere dato alcun valore pregiudiziale in questo procedimento.

Secondo la sopra citata giurisprudenza, il regime fiscale agevolato su base forfettaria è “volto a vantaggio dei soggetti che spesso esercitano un’attività saltuaria non professionale e che, in ragione del particolare modus operandi, consistente in molteplici trattative non sempre coronate da successo commerciale, non possono documentare agevolmente le spese inerenti; ciò porta ad escludere che esso possa invece estendersi anche a beneficio di sostanziali rendite di posizione, strutturate in complesse forme aziendali, come quella goduta dall’appellato. In contrario, non convince il tentativo di ascrivere il contribuente alla categoria degli incaricati alla vendita diretta a domicilio mediante Il richiamo all’espressione “indirettamente” contenuta nell’art. 1, primo comma lett. b), I. 173/05. La disposizione riconduce all’attività di venditore a domicilio anche le prestazioni di pura promozione, di intermediazione e gli ulteriori servizi resi dopo la conclusione del contratto di vendita (come ad esempio, la consegna dei beni e/o l’esazione del relativo credito), ma sempre che esse siano espletate dai soggetti che ordinariamente raccolgono, nel corso di riunioni indette nei vari domicili di privati consumatori, gli ordinativi di acquisto di alcuni prodotti. La norma, quindi, non si presta ad estendere il suo ambito di applicazione anche alla condizione professionale del contribuente, che non esercita, se non in misura trascurabile (1,1%), l’attività di venditore a domicilio.”.

Tale orientamento non è condiviso da questa Corte, che ritiene invece di apprezzare e fare proprio quello più recente della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia Sezione 16, del 24 luglio 2024 n. 2295, riferita ad un accertamento in cui l’Agenzia delle Entrate ha riqualificato l’attività svolta dal Ricorrente per la medesima società (omissis) s.r.l. di incaricato delle vendite a domicilio di cui all’art. 19 D. Lgs. n. 114/1998 in attività di agente di commercio, assoggettandolo al regime ordinario previsto per i redditi di impresa.

Come già osservato da questa Corte con a propria sentenza n. 397/2024 del 9 ottobre 2024, si ritiene infatti nel caso oggi trattato, priva di rilevanza “la notazione sugli elevati compensi percepiti dal Ricorrente per il tramite del coordinamento dell’attività di altri incaricati ricavando un’ulteriore provvigione sui contratti da costoro stipulati che, secondo la ricostruzione dell’Ufficio, sarebbe non conforme alle disposizioni previste per il regime agevolativo ed indicativo di un’atipica attività di vendita a domicilio.  L’Ufficio, infatti, non tiene nella debita considerazione che è la stessa disposizione legislativa (art.1 della L. 173/2005) a prevedere che l’incaricato alla vendita diretta a domicilio sia colui che promuove, direttamente o indirettamente, la raccolta di ordinativi di acquisto presso privati consumatori e che, quindi, è senz’altro lecito che un venditore percepisca provvigioni indirette sulle vendite prodotte dagli altri incaricati senza che ciò comporti una riqualificazione della sua attività. Non si ravvede quindi alcuna particolare anomalia, anche dal punto di vista quantitativo, circa la provenienza della maggior parte delle provvigioni dalle cosiddette vendite indirette realizzate per il tramite di altri incaricati nell’ambito della struttura di multilevel marketing, peraltro normativamente prevista. Né sembra potersi convenire con l’affermazione dei giudici di prime cure con riferimento al regime di cui all’art. 25, co. 6, DPR 600/1973 secondo la quale “Si tratta di un regime agevolato che, in quanto tale, ha carattere eccezionale e non può avere applicazione estensiva”: trattasi infatti di un mero sistema forfettario, come ce ne sono diversi nel nostro ordinamento, solo derogatorio rispetto al regime ordinario, affatto agevolativo e solo rispondente al divieto posto a carico di tali venditori di portare in deduzione le spese di produzione del reddito.” (Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia Sezione 16, del 24 luglio 2024 n. 2295).

Sulla base delle risultanze dei PVC, non pare che nel caso in esame possa configurarsi l’illecita attività piramidale, in quanto è necessario che l’attività della società sia improntata prevalentemente al procacciamento di nuovi affiliati, rispetto alla vendita del prodotto, ipotesi questa non applicabile alla (omissis) S.r.l., poiché la vendita dei prodotti avviene proprio attraverso una legittima struttura di “multilevel marketing”, costituita da una rete di venditori strutturata su svariati livelli che promuovono la raccolta di ordini dei prodotti della società loro mandante direttamente ai consumatori finali, oltre a incoraggiare e procacciare nuovi venditori in modo da venire ricompensati non solo per le vendite direttamente effettuate ma anche per quelle compiute da altri venditori da essi stessi reclutati. Le provvigioni “indirette” non derivano pertanto dal mero procacciamento di nuovi venditori – veicolo attraverso il quale saremmo in presenza di un illecito amministrativo realizzato attraverso la costituzione di una “catena di Sant’Antonio” per la raccolta non di ordinativi di prodotti a marchio (omissis), bensì per l’acquisizione di nuovi venditori – ma dalla complessiva attività di raccolta ordini attraverso il “porta a porta” realizzata nel pieno rispetto del Piano Marketing della società mandante, che peraltro non ha mai subito alcuna censura da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. La legittimità della struttura di vendita realizzata nel caso di specie non può essere oggetto di discussione – né peraltro lo è stata da parte dell’Ufficio – di talché essa nulla ha a che vedere con le forme illegittime di cui all’art. 5 della L. 173/2005.

Risulta dallo stesso PVC del 9 dicembre 2022 che la società (omissis) S.r.l. ha dichiarato che “il rapporto contrattuale che lega il (omissis) alla nostra società è esclusivamente quello di incaricato alle vendite a domicilio. Non esiste alcuna documentazione che attesti che il sig. (omissis) svolga attività di formazione per conto della nostra società. Come precedentemente illustrato, è la nostra società che svolge la attività di formazione a favore dei propri incaricati alle vendite, gratuitamente.”.

In conclusione i dati normativi e la situazione di fatto, come rappresentata dalle parti e emergente dalla documentazione in atti, non consentono di ritenere legittima l’operazione di riqualificazione del rapporto contrattuale esistente tra le parti che è stata alla base dell’accertamento svolto, e consentono invece il permanere, in capo al Ricorrente, della qualifica di venditore a domicilio, sia pure con la netta prevalenza della forma indiretta, cioè ricavando provvigioni dalla vendita diretta di altri soggetti a lui collegati.

Venuto meno il reddito di impresa accertato, il Ricorrente rimane esonerato dall’obbligo dichiarativo riferito alla titolarità del reddito dell’abitazione principale.

La Corte annulla l’avviso di accertamento impugnato.

Sussistono giustificati motivi per la compensazione delle spese processuali, in considerazione dei diversi e opposti orientamenti giurisprudenziali in materia.

P.Q.M.

Il Collegio accoglie il ricorso. Spese compensate.

Livorno, 14 lu025.glio 2

Allegati

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