• Home
  • >
  • Cassazione civile sez. V, 05/09/2023, n. 25859

Cassazione civile sez. V, 05/09/2023, n. 25859

Massima

Nel contenzioso tributario avente ad oggetto l’impugnazione del silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso di un tributo (come nel caso del rimborso IRPEG 1996), il contribuente riveste la posizione di attore in senso non solo formale ma anche sostanziale.

Supporto alla lettura

PROCESSO TRIBUTARIO

Il Processo Tributario è un procedimento giurisdizionale che ha ad oggetto le controversie di natura tributaria tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, è disciplinato nel d.lgs. 546/1992 e non è incluso in nessuna delle giurisdizioni indicate dalla Costituzione, rappresenta quindi un’eccezione giustificata dal grande tecnicismo della materia.

Il 03 gennaio 2024 è stato pubblicato in G.U. il d.lgs. 220/2023 recante disposizioni in materia di contenzioso tributario, le quali vanno a modificare il d.lgs. 546/1992, e sono da collocare in attuazione della L. 111/2023, con la quale è stata conferita delega al Governo per la riforma fiscale.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

Le Assicurazioni di Roma Mutua Assicuratrice Romana presentava dichiarazione dei redditi, ai fini IRPEG, relativa all’anno di imposta 1996, nella quale veniva evidenziato un credito d’imposta di cui veniva chiesto il rimborso con istanza del 18 aprile 2002.

Formatosi il silenzio-rifiuto su tale istanza, la contribuente lo impugnava dinanzi alla CTP di Roma.

La commissione tributaria adita accoglieva il ricorso, riconoscendo il diritto al chiesto rimborso ritenendo l’Ufficio decaduto dal potere di disconoscere il credito o di rettificarlo, essendo scaduti i termini per l’accertamento.

La CTR del Lazio confermava la decisione di primo grado.

La Corte di cassazione, con ordinanza n. 29163 del 2017, in accoglimento del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, esclusa la decadenza dell’Ufficio alla stregua del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 5069 del 2016, cassava la decisione impugnata e rinviava al giudice di appello per il riesame della causa nel merito.

Il giudice del rinvio, con la sentenza indicata in epigrafe, respingeva l’appello dell’Ufficio. Osservava che l’Agenzia delle entrate, a fronte di esplicita domanda di rimborso presentata dalla contribuente, aveva assunto una posizione di totale inerzia, contestando genericamente la richiesta e richiedendo alla predetta di depositare la documentazione attestante il diritto al rimborso solo dopo l’instaurazione del giudizio. Riteneva che l’Ufficio avesse manifestato l’erroneo convincimento che l’assolvimento dell’onere probatorio nella specie spettasse esclusivamente alla parte contribuente, senza considerare che l’Amministrazione finanziaria è tenuta formulare in forma specifica la richiesta di produzione documentale e che, ai sensi della l. n. 212 del 2002, art. 6, comma 4, non può comunque richiedere al contribuente la produzione di atti di cui abbia già la disponibilità.

Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.

La contribuente resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con unico mezzo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973artt. 36-bis36-ter4142 e 43, degli artt. 2697 c.c. e 384, comma 2, c.p.c., nonchè della l. n. 212 del 2000art. 6, comma 4. Rileva che l’Ufficio aveva sin dal primo grado di giudizio contestato il preteso rimborso e che la richiesta di documentare l’esistenza del credito era in linea con l’onere posto a carico della contribuente di dimostrare il fatto costitutivo della pretesa azionata in giudizio. Osserva che il principio racchiuso nella l. n. 212 del 2000art. 6, comma 4, non esonerava la contribuente dal fornire le prove a sostegno dell’istanza di rimborso, essendo comunque la documentazione necessaria a valutare la spettanza del credito (certificazione relativa alle ritenute d’acconto) nella disponibilità della contribuente.

2. Preliminarmente vanno disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso.

Non sussiste, invero, la dedotta violazione del principio di autosufficienza del ricorso, dato che esso contiene tutti gli elementi necessari a porre questa Corte in grado di avere piena cognizione della controversia. Va, del pari, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso in quanto asseritamente volto ad ottenere un riesame del merito della causa, posto che le censure formulate dalla ricorrente involgono precipuamente la violazione delle norme di diritto indicate in rubrica.

3. Il ricorso è fondato.

Va, anzitutto, rilevato che le considerazioni svolte nella sentenza impugnata circa l’inerzia dell’Amministrazione finanziaria a fronte della richiesta di rimborso avanzata dalla contribuente risultano inconferenti, posto che oggetto del giudizio è, per l’appunto, il silenzio-rifiuto formatosi su tale istanza.

La richiesta avanzata dall’Ufficio di produrre la documentazione idonea ad attestare il diritto al rimborso non comporta alcuna ricaduta sulla ripartizione dell’onere probatorio nel caso di specie, essendo acquisito in giurisprudenza il principio in base al quale ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo ovvero del silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza, il contribuente è attore in senso non solo formale ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato e che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita, costituiscono mere difese, non soggette ad alcuna preclusione processuale (Cass. n. 21197 del 2014, Cass. n. 1906 del 2020).

Il giudizio di rimborso del tributo si atteggia dunque secondo il modello processualcivilistico dell’azione di ripetizione d’indebito, restando a carico dell’attore l’onere di provare – di norma tramite produzione documentale – i fatti costitutivi del diritto di credito dedotto in giudizio. La richiesta di formulata dall’Ufficio di documentare l’esistenza del preteso credito, dunque, può essere inquadrata – nell’ambito della collaborazione che deve sussistere tra Amministrazione finanziaria e contribuente – come un invito rivolto alla contribuente a comprovare, come era suo onere, l’esistenza del credito.

In tale prospettiva, non è configurabile alcuna violazione del divieto di chiedere al contribuente documenti già in possesso dell’Amministrazione finanziaria ai sensi della l. n. 212 del 2000art. 6, comma 4, norma che peraltro presuppone che la documentazione sia già sicuramente in possesso dell’Ufficio o che, comunque, il contribuente ne dichiari e provi l’avvenuta trasmissione all’Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. n. 958 del 2015).

4. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2023

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi