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Cassazione civile sez. trib., 25/09/2025, n. 26196

Massima

In tema di accertamento tributario standardizzato basato sugli studi di settore, al fine di superare la presunzione di reddito derivante dallo scostamento dai parametri, grava sul contribuente l’onere di dimostrare, attraverso informazioni ricavabili da qualsiasi fonte di prova acquisita al processo, la sussistenza di circostanze di fatto tali da far discostare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento e giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale in virtù di detta procedura.

Supporto alla lettura

ACCERTAMENTO TRIBUTARIO

L’accertamento tributario (o fiscale) è il complesso degli atti della pubblica amministrazione volti ad assicurare l’attuazione delle norme impositive.

L’attività di accertamento delle imposte da parte degli uffici finanziari ha carattere meramente eventuale, essendo prevista nel nostro sistema l’autoliquidazione dei tributi più importanti da parte del contribuente stesso, tramite l’istituto della dichiarazione. Gli uffici intervengono quindi soltanto per rettificare le dichiarazioni risultate irregolari o nel caso di omessa presentazione delle stesse.

A seconda del metodo di accertamento utilizzato, questo può essere:

  • analitico: attraverso l’analisi della documentazione contabile e fiscale;
  • analitico-induttivo: cioè misto, basato su un esame documentale e presunzioni, di norma fondate su elementi gravi, precisi e concordanti, salvo in caso di omessa dichiarazione o di contabilità inattendibile/omessa;
  • induttivo: attraverso l’utilizzo esclusivo di presunzioni che possono essere anche esclusivamente semplici;
  • sintetico: fondato su coefficienti ministeriali.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

1. – La Di. Srl esercita l’attività di “Costruzione di edifici residenziali e non residenziali”. In particolare, la società opera nell’ambito delle costruzioni edili acquisendo commesse in appalto sia pubbliche che private. In data 20 marzo 2015, la Direzione provinciale di Catania, Ufficio territoriale di Caltagirone, notificava alla società l’invito a comparire n. (OMISSIS) ai fini dell’instaurazione del contraddittorio in relazione alle risultanze dello studio di settore VG69U, anno di imposta 2012. Con tale invito la società veniva chiamata a giustificare l’incongruenza tra i ricavi dichiarati (Euro 448.528,00) e quelli accertati (Euro 594.620,00) sulla base delle risultanze dello studio di settore relativo all’attività esercitata. In data 5 maggio 2015 veniva instaurato ii contraddittorio presso l’Ufficio controlli di Caltagirone, nel corso del quale la società evidenziava che per l’anno 2012 lo studio di settore non rappresentava la reale situazione della società. Già in quella sede, la società spiegava di svolgere la propria attività attraverso la stipula di contratti di appalto e che nell’anno 2012 nessun contratto era stato stipulato, ma che l’impresa aveva provveduto solo al completamento di appalti aggiudicati negli anni precedenti, sostenendo inevitabilmente i costi fissi e variabili di gestione (circa Euro 200.000) legati alla struttura dell’azienda, da cui era scaturita una perdita. In particolare, la società rappresentava che nell’anno d’imposta 2012 aveva partecipato a 55 gare di appalto senza tuttavia aggiudicarsene alcuna. In ragione di tali accadimenti chiedeva l’abbattimento del 90% dei maggiori ricavi accertabili in parziale disapplicazione dello studio di settore. In quella sede, la società esibiva la documentazione attestante quanto sostenuto in seno al verbale di contraddittorio. L’Ente impositore riteneva tale giustificazione non sufficiente per l’inapplicabilità dello studio di settore, né per la riduzione dei maggiori ricavi calcolati. In data 13 maggio 2015 la Direzione provinciale di Catania, Ufficio territoriale di Catania, notificava alla Di. Srl l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), relativo all’anno 2012 con il quale venivano quantificati, sulla base dello studio di settore VG69U, maggiori ricavi per complessivi Euro 146.092,00 e, conseguentemente, venivano rideterminati i redditi imponibili ai fini dell’IRES e dell’IRAP e il volume d’affari ai fini dell’IVA. Da tali maggiori redditi imponibili non scaturiva alcun debito di imposta ai fini IRES e IRAP, mentre ai fini IVA veniva determinata la maggiore imposta di Euro 30.679,00, oltre sanzioni e interessi.

La società proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento.

L’Ufficio contestava la fondatezza del ricorso.

Con sentenza n. 10143/16, la Commissione tributaria provinciale di Catania ha accolto, compensando le spese, il ricorso.

2. – Avverso tale pronuncia l’Ufficio proponeva atto di appello.

Si costituiva la contribuente.

La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, con la sentenza n. 4476/2024, depositata il 10 giugno 2024, ha accolto l’appello dell’Ufficio.

3. – La contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

L’Agenzia delle entrate si è costituta con controricorso.

4. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione delle norme che disciplinano l’accertamento standardizzato alla luce dei principi sanciti dalla Corte di cassazione a SS. UU., per avere il giudice tributario di appello ritenuto legittimo l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) fondato sulle risultanze dello studio di settore, sostenendo che contenesse solo l’elencazione analitica delle giustificazioni rese dal contribuente in sede di contraddittorio endoprocedimentale, ma non anche la motivazione del mancato accoglimento; che il contribuente non avesse assolto l’onere dimostrativo neppure parzialmente, ignorando che agli atti del giudizio risultano depositati 52 documenti nel giudizio di primo grado e 10 in quello di secondo grado; che la mancata aggiudicazione nell’anno 2012 di 55 commesse pubbliche fosse un dato fisiologico non straordinario, richiamando a sostegno due elementi sviluppati dall’Ente impositore solo in sede di gravame, di cui il contribuente ha illustrato e dimostrato l’irrilevanza dell’incidenza sullo scostamento accertato.

Con il secondo motivo si prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 115 c.p.c., laddove i giudici tributari di appello hanno erroneamente sostenuto che il contribuente non avesse contestato quanto rilevato in seno all’atto di appello dall’Ente impositore con riguardo alle commesse private aggiudicate dalla società nel 2011, ignorando quanto esposto dallo stesso in seno all’atto di controdeduzioni in sede di gravame.

Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per violazione delle norme sulla motivazione, laddove i giudici tributari di appello non hanno spiegato l’iter logico giuridico in relazione al quale hanno ritenuto di legittimare un avviso di accertamento parametrico che contiene solo l’elenco analitico delle giustificazioni rese dal contribuente in sede di contraddittorio endoprocedimentale ma non le motivazioni del mancato accoglimento delle stesse in contrasto con quanto sancito dalla giurisprudenza di codesta Corte di cassazione.

Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per violazione delle norme sulla motivazione, laddove i giudici tributari di appello hanno statuito che il contribuente non ha assolto all’onere dimostrativo neppure parzialmente, senza spiegare l’iter logico giuridico che li ha indotti a ignorare la documentazione allegata dalla contribuente agli atti del giudizio sia di primo che di secondo grado.

Con il quinto motivo la sentenza viene censurata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione delle norme sulla motivazione, laddove la statuizione ha un contenuto apparente, in quanto non spiegherebbe l’iter logico seguito per sostenere la non straordinarietà del dato della mancata aggiudicazione delle commesse pubbliche, e contraddittorio con riguardo al dato preso in considerazione dai giudici relativo alla aggiudicazione delle commesse private, in ordine alla rilevata non contestazione da parte del contribuente e alla decisività dell’incidenza delle commesse pubbliche sulla giustificazione addotta dal contribuente.

1.1. – I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

In tema di accertamento mediante studi di settore, al fine di superare la presunzione di reddito determinata dalla procedura standardizzata, grava sul contribuente l’onere di dimostrare, attraverso informazioni ricavabili da fonti di prova acquisite al processo con qualsiasi mezzo, la sussistenza di circostanze di fatto tali da far discostare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento e giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale in virtù di detta procedura (Cass. n. 769/2019; Cass. n. 14288/2016).

Nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale ha fatto corretta applicazione della normativa in materia, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, evidenziando come sull’ufficio ricada l’onere di dimostrare soltanto l’inerenza dell’attività del contribuente al cluster di riferimento e l’esistenza dello scostamento dai relativi standard, essendo invece il contribuente tenuto a dimostrare elementi idonei a precludere l’applicazione al caso concreto degli studi di settore. Al riguardo, con valutazione di merito non sindacabile in questa sede, la Commissione tributaria regionale ha esplicitato, puntualmente, le ragioni per le quali ha ritenuto non adeguati gli elementi forniti dalla contribuente per dimostrare il contrario e superare l’onere della prova (la mancata aggiudicazione di appalti pubblici, di per sé non sufficiente a fronte di un appalto pubblico nel 2011 aggiudicato per oltre 120.000 euro, circostanza sottaciuta dalla ricorrente; operatività della contribuente anche in favore di clienti privati; incoerenza nel quadro economico-fiscale con gli indicatori degli studi di settore negli anni precedenti, allorché era impegnata in appalti pubblici di ingente valore, dichiarando utili irrisori, se parametrati ai costi sopportati, al valore degli appalti e all’entità del fatturato).

Non vi è dunque alcuna inversione dell’onere della prova. I giudici tributari hanno motivato sulle deduzioni della contribuente, che mira evidentemente a conseguire una inammissibile rivalutazione del merito.

Sotto altro profilo va evidenziato che non vi è alcuna violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (Cass. n. 13248/2020; Cass. n. 17196/2020), che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090/2022), risultando nella specie chiaro e coerente il ragionamento della Corte tributaria regionale trasfuso nella pronuncia impugnata.

Infine, il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (“demonstrandum”), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (“demonstratum”), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Cass. n. 9507/2023; Cass. n. 37382/2022). Circostanze nella specie non sussistenti alla luce degli elementi richiamati che emergono dalla lettura della motivazione, stante i limiti del giudizio di legittimità.

2. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.700,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma l’8 luglio 2025.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2025.

Allegati

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