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Cassazione civile sez. trib., 24/09/2025, n. 25992

Massima

Il ricorso per cassazione avverso la sentenza di merito può essere fondato sul motivo di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. (violazione e falsa applicazione di legge) qualora il giudice di merito abbia erroneamente ritenuto che le “oggettive situazioni” giustificative della disapplicazione debbano sussistere unicamente in sede di interpello, o nel caso in cui sussista un vizio di sussunzione, ovvero l’erronea applicazione della norma (Art. 30, comma 4-bis, L. n. 724/1994) ai fatti dedotti dalla contribuente. In presenza di un errore nell’applicazione dei principi sull’onere della prova e sulla definizione delle cause oggettive, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio al giudice di merito (Corte di Giustizia tributaria di secondo grado), in diversa composizione, per un nuovo e motivato esame.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione (artt. 360 e ss. c.p.c.) è un mezzo di impugnazione ordinario che consente di impugnare le sentenze pronunciate in unico grado o in grado d’appello, ma solo per errori di diritto, non essendo possibile dinanzi alla Suprema Corte valutare nuovamente il merito della controversia come in appello. Di solito è ammessa solo la fase rescindente in quanto il giudizio verte sull’accertamento del vizio e sulla sua eventuale cassazione, il giudizio rescissorio spetta al giudice di rinvio. Solo nel caso in cui non dovessero risultare necessari ulteriori accertamenti in cassazione, avvengono entrambi i giudizi.

La sua proposizione avviene nel termine (perentorio) di 60 giorni (c.d. termine breve), è previsto un ulteriore termine (c.d. lungo) che scade 6 mesi dopo la pubblicazione della sentenza.

Per quanto riguarda i motivi di ricorso l’art. 360 c.p.c dispone che le sentenze possono essere impugnate:

  • per motivi attinenti alla giurisdizione,
  • per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
  • per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
  • per nullità della sentenza o del procedimento;
  • per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Inoltre può essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale se le parti sono d’accordo per omettere l’appello (art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.), mentre non sono immediatamente impugnabili per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, in questo caso il ricorso può essere proposto senza necessità di riserva quando sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente il giudizio.

Il ricorso per cassazione è inammissibile (art. 360 bis c.p.c) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, oppure quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.

A pena di inammissibilità sono previsiti determinati requisiti di forma:

  • la sottoscrizione da parte di un avvocato iscritto in apposito albo e munito di procura speciale;
  • l’indicazione delle parti;
  • l’illustrazione sommaria dei fatti di causa;
  • l’indicazione della procura se conferita con atto separato e dell’eventuale decreto di ammissione al gratuito patrocinio;
  • l’indicazione degli atti processuali, dei contratti o accordi collettivi o dei documenti sui quali si fonda il ricorso;
  • i motivi del ricorso con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano.

Il ricorso va depositato, a pena di improcedibilità, entro 20 giorni dall’ultima notifica fatta alle parti contro le quali è proposto.

Chi intende resistere al ricorso per cassazione può depositare controricorso e deve essere fatto entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso, insieme agli atti e ai documenti, e con la procura speciale se conferita con atto separato.

Ambito oggettivo di applicazione

RILEVATO CHE:

1. L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della società KAMA Srl in liquidazione, esercente attività immobiliare in genere, gli avvisi di accertamento n. (Omissis) e n. (Omissis) afferenti IRES e IRAP per l’anno di imposta 2013 e 2014. In particolare, con l’avviso n. (Omissis) veniva accertato un reddito di Euro 83.890,61 in luogo di quello dichiarato pari ad Euro 2.813,00 cui conseguivano appunto i maggiori importi ai fini impositivi; con l’avviso di accertamento n. (Omissis) veniva accertato un reddito di Euro 84.834,02 in luogo di quello dichiarato pari ad Euro 8.855,00 cui conseguivano appunto i maggiori importi ai fini impositivi; il tutto oltre sanzioni ed interessi.

2. Avverso gli avvisi di accertamento, la società proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Asti, la quale con sentenza n. 1/2020 riuniva i ricorsi e li rigettava; in particolare, avendo la società, per l’anno di imposta 2014, invocato la mancata disapplicazione della disciplina di cui all’art. 30 della legge n. 72/1994 per la presenza di oggettivi impedimenti, la C.t.p. si pronunciava ritenendo non provate le condizioni oggettive normative per la mancata produzione di reddito.

3. Contro tale sentenza proponeva appello la società dinanzi alla C.t.r. del Piemonte; l’Ufficio si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.

4. La C.t.r. del Piemonte, con sentenza n. 189/2022 depositata in data 9 febbraio 2022, accoglieva l’appello della società.

5. Avverso la sentenza della C.t.r. del Piemonte, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo. La società ha resistito con controricorso.

La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 1 luglio 2025.

 

CONSIDERATO CHE:

1. Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 4-bis, legge 23 dicembre 1994, n. 724 e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., anche nel relativo combinato disposto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.”, l’Ufficio lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto sussistere le cause oggettive impeditive normative per la disapplicazione della disciplina antielusiva nonché ritenuto che tale dimostrazione potesse essere data sia in sede di interpello che in sede di giudizio, anche con giustificazioni che non rivestano i caratteri di “oggettive situazioni”.

2. Il motivo di ricorso proposto è fondato.

2.1. L’istituto dell’interpello disapplicativo, ex art. 37–bis, comma 8, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, quale applicabile ratione temporis, consente la disapplicazione delle norme antielusive correttive o impeditive di detrazioni, deduzioni o crediti di imposta quando si dimostri che nella fattispecie concreta non si sarebbero potuti realizzare gli effetti antielusivi impediti dalla relativa disposizione.

2.2. Nel caso di specie si fa riferimento all’utilizzo dell’istituto dell’interpello disapplicativo all’interno della disciplina delle società “di comodo”, altrimenti dette “non operative”, disciplina per mezzo della quale si è inteso disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi da quelli previsti dal legislatore per tale istituto (Cass. n. 21358/2015).

In particolare, l’art. 30, comma 4-bis, L. n. 724/1994, nella formulazione applicabile ratione temporis, prevede che: “in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4 (tutti criteri utilizzati per individuare società in realtà “non operative”), la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37 – bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973″.

2.3. Ora, con riguardo al quesito sotteso al presente ricorso, cioè se l’interpello disapplicativo implichi sempre e comunque la necessità della sua attivazione, a pena di sostanziale decadenza dalla possibilità di ottenere la disapplicazione della norma antielusiva, e, ove omesso, inibisca di conseguenza al giudice di valutare da sé la sussistenza, in concreto, dei presupposti per la disapplicazione stessa, questa Corte ha avuto modo di precisare che: “tale interpello disapplicativo non presenta, ad avviso di questo Collegio, natura di una condizione di procedibilità e di limitazione della tutela giurisdizionale del contribuente, né ha comportato l’elisione della facoltà, per quest’ultimo, di superare la presunzione legale di “non operatività” (sancita dal primo comma della disposizione in esame) mediante la dimostrazione in giudizio di circostanze oggettive e non imputabili che abbiano reso impossibile il conseguimento di ricavi in misura pari alle soglie determinata ai sensi dell’art. 30; infatti, i principi costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) non impediscono al contribuente sia di discostarsi dalla risposta negativa all’interpello resa dalla Amministrazione, senza doverla necessariamente impugnare, per evitarne la cristallizzazione, potendo comunque impugnare gli atti successivi di applicazione delle disposizioni antielusive, sia di esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico impositivo che gli venga successivamente notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva (cfr. Cass., ord., 24 febbraio 2021, n. 4946; Cass., ord., 28 maggio 2020, n. 10158)” (Cass. n. 28251/2021; nello stesso senso Cass. n. 5953/2021).

2.4. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha fatto mal governo dei suddetti principi laddove ha ritenuto che dal citato comma 4 bis discenda che le oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi rilevino e debbano sussistere unicamente in sede di interpello disapplicativo, ex art. 37 bis, comma 8, del D.P.R. n. 600/1973 “come la stessa norma indica nelle ultime quattro righe”.

2.5. Similmente, quanto alla prova contraria che avrebbe dovuto offrire il contribuente, costui può vincere la presunzione dimostrando all’Amministrazione – attraverso l’interpello finalizzato alla disapplicazione delle disposizioni antielusive, ovvero in giudizio, nel caso di contrasto – le oggettive situazioni che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri normativi (Cass. 23 maggio 2022, n. 16472). L’onere della prova contraria deve essere inteso “non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato” (Cass. 28 maggio 2020, n. 10158; Cass. 12 febbraio 2019, n. 4019; Cass. 20 giugno 2018, n. 16204). È stato peraltro escluso che, attraverso il meccanismo della presunzione relativa e dell’onere della prova contraria gravante sul contribuente, si pervenga ad un mero sindacato di merito del giudice sulle scelte imprenditoriali, rilevando che “in tema di società di comodo, non sussistono le oggettive situazioni di carattere straordinario, che rendono impossibile il superamento del test di operatività, L. n. 724 del 1994, ex art. 30, comma 4-bis, nella versione all’epoca vigente, nell’ipotesi di totale assenza di pianificazione aziendale da parte degli organi gestori della società o di completa “inettitudine produttiva”, gravando sull’imprenditore, anche collettivo, – ai sensi dell’art. 2086, secondo comma, come modificato dall’art. 375 c.c.i.i., in coerenza con l’art. 41 Cost. – l’obbligo di predisporre i mezzi di produzione nella prospettiva del raggiungimento del lucro obiettivo e della continuità aziendale.

2.6. Inoltre, con riferimento alla presunzione legale relativa di non operatività, l’onere probatorio può essere assolto non solo dimostrando che, nel caso concreto, l’esito quantitativo del test di operatività è erroneo o non ha la valenza sintomatica che gli ha attribuito il legislatore, giacché il livello inferiore dei ricavi è dipeso invece da situazioni oggettive che ne hanno impedito una maggior realizzazione (Cass. 24 febbraio 2021, n. 4946, in motivazione).

2.7. In forza di queste considerazioni può ribadirsi, con riferimento al quadro normativo applicabile al presente giudizio, che la prova contraria, da parte del contribuente, deve risolversi nell’offerta di elementi di fatto consistenti in situazioni oggettive indipendenti dalla volontà del contribuente, che rendano impossibile conseguire il reddito presunto avuto riguardo alle effettive condizioni del mercato (Cass. 3 marzo 2023, n. 6459; Cass. 23 novembre 2021, n. 36365; Cass. 12 febbraio 2019, n. 4019), e che, pertanto, facciano desumere “l’erroneità dell’esito quantitativo del test di operatività, ovvero la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale e, dunque, l’operatività reale della società (Cass. 3 marzo 2023, n. 6459; Cass. 23 novembre 2021, n. 36365; Cass. 12 febbraio 2019, n. 4019).

2.8 Quindi, stante che l’Amministrazione lamenta il c.d. vizio di sussunzione, inquadrabile nel paradigma del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. (falsa applicazione di legge), con riferimento ai fatti dedotti dalla contribuente come integranti le cause oggettive d’impossibilità del raggiungimento dei requisiti di operatività (v. Cass. sez. 5, ord. 16.5.20234, n. 13228; Cass. sez. 5, ord. 3.3.2023, n. 6459), nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha motivato illustrando, attraverso il deposito di una perizia, come gli immobili fossero fatiscenti e che erano intervenute difficoltà amministrative sia per ottenere le imprescindibili autorizzazioni sanitarie regionali che le autorizzazioni comunali per ampliare e adeguare progettualmente le strutture. Orbene, l’esistenza di oggettive situazioni concretanti l’elemento giustificativo della non idonea redditualità dell’impresa devono consistere in scelte indipendenti dalla volontà dell’imprenditore e, nel caso di specie, i beni immobili erano stati acquistati dalla società non per godimento dei soci ma per realizzare due strutture socio-assistenziali in due diversi comuni e che il progetto era naufragato perché richiedente uno sforzo economico molto gravoso tale da non garantire un adeguato livello economico. A tacer del fatto che si trattava dello svolgimento di una attività di impresa e di commercio immobiliare idonea a produrre ricavi e redditi; pertanto, vanno approfonditi l’esame della prova nel merito in relazione ai principi affermati.

3. In conclusione, va accolto il ricorso, la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio va rinviato innanzi al giudice a quo, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio del giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma in data 1 luglio 2025.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2025.

Allegati

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