Svolgimento del processo
(omissis) conveniva in giudizio (omissis), società cooperativa sociale, allegando che:
– sua madre, (omissis), riconosciuta giudizialmente invalida al 100%, perché affetta da demenza senile con gravi turbe di comportamento e parkinsonismo, era stata affidata alla Casa di riposo (omissis) di (omissis), gestita dalla convenuta, a fronte del pagamento di una retta mensile;
– durante la permanenza presso la suddetta Casa di riposo, la madre era scomparsa e, dopo ricerche, era stata trovata, il pomeriggio del giorno successivo, a 600 metri di distanza dalla struttura, deceduta per assideramento;
domandava, quindi, la condanna, per omissione della vigilanza e custodia, al risarcimento dei danni biologico e per perdita del rapporto parentale, iure proprio, biologico terminale e morale catastrofale, iure hereditatis, nonché patrimoniale per spese funerarie e perdita del contributo materiale familiare;
il Tribunale accoglieva la domanda per quanto di ragione, con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare, per quanto qui ancora di utilità:
– la struttura si era impegnata, con contratto atipico di spedalità, alla cura sanitaria e salvaguardia della persona, non incidendo, l’eventuale stato d’incapacità d’intendere e volere, sulla sussistenza di tali obblighi, bensì solo sulle relative modalità;
– come ancora osservato condivisibilmente dal giudice di prime cure, le difformi clausole del regolamento della Casa di riposo non potevano escludere obblighi nascenti dalla conoscenza dello stato fisico dell’assistita, affetta in specie da Alzheimer, tanto più in quanto la permanenza durava da un anno e otto mesi;
– ne derivava la prevedibilità di condotte come quella che aveva portato alla scomparsa e poi la morte;
– il danno da perdita del rapporto parentale era stato richiesto con domanda non rigettata dal Tribunale, come eccepito dalla difesa della struttura, essendo stato liquidato unitariamente al danno biologico nell’ambito del danno non patrimoniale subìto iure proprio;
– secondo le tabelle c.d. milanesi, parametro di omogenea equità, l’importo avrebbe dovuto essere anche maggiore di quello quantificato dal Tribunale;
avverso questa decisione ricorre per cassazione (omissis) società cooperativa sociale, articolando sei motivi;
resiste con controricorso (omissis);
le parti hanno depositato memorie;
rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909, cod. civ., 324, cod. proc. civ., poiché la Corte di secondo grado avrebbe errato mancando di considerare che il Tribunale aveva rigettato la domanda di ristoro del danno da perdita del rapporto parentale, affermando che, come in effetti constatabile, era carente di allegazione e soprattutto di prova, statuizione, questa, rimasta senza censure, con conseguente giudicato interno;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che la domanda effettivamente svolta era quella per il risarcimento del danno biologico dell’attrice, supportata, però, inidoneamente, solo da certificazione medica e non dall’invece necessario accertamento medico legale;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che, in ogni caso, non vi era stata allegazione delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’indicata perdita del rapporto parentale, essendo stata prospettata ed emersa solo una sindrome psichica, sicché, sul punto, era stato accordato immotivatamente il risarcimento in questione;
con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2049, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che il Tribunale, condiviso dal Collegio di seconde cure, non aveva specificato se avesse ritenuto sussistente la responsabilità in parola per fatto proprio o del proprio dipendente, che aveva omesso la custodia, con lesione del diritto di difesa della deducente;
con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2049, cod. civ., 360, n. 5, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato omettendo di esaminare i fatti da cui emergeva l’insussistenza della responsabilità per fatto illecito del dipendente, la cui condotta avrebbe dovuto valutarsi in relazione al controllo diretto della deceduta risultato fino a pochi minuti prima della scoperta della sua assenza, e in rapporto, inoltre, alle difficoltà di deambulazione della stessa assistita che confermava l’imprevedibilità, secondo ragionevolezza, dell’evento occorso, fermo rimanendo che non erano parimenti stata contestate né riscontrate carenze strutturali nell’organizzazione e predisposizione della vigilanza da parte della Casa di riposo;
con il sesto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato affermando, in tesi, la responsabilità della struttura per fatto proprio, quando, in ipotesi, il fatto poteva addebitarsi solo all’operatrice in quel momento in servizio e addetta, che non aveva compiutamente impedito l’allontanamento dell’assistita;
Motivi della decisione
i primi tre motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;
la Corte di appello ha osservato che doveva escludersi che il Tribunale avesse rigettato la formulata domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, avendo proceduto a una liquidazione unitaria, e comprensiva di questa voce, del danno non patrimoniale subìto dall’attrice;
la parte odierna ricorrente non allega né dimostra di aver censurato la sentenza di prime cure per ultrapetizione, anzi avendo prospettato come visto un rigetto che presuppone la sussistenza della domanda: su tale ultimo e specifico punto vi è quindi giudicato interno;
ciò posto, è evidente che, sia il giudice di primo grado che il Collegio di secondo grado, hanno implicitamente ma univocamente fatto leva sulle nozioni di comune esperienza per cui, nel caso di rapporto di diretta discendenza, come quello tra madre e figlio, sussistono, secondo acquisiti canoni di normalità che costituiscono patrimonio comune, conseguenze pregiudizievoli per la perdita del rapporto parentale in scrutinio, così come per la connessa sebbene distinta sofferenza morale, a prescindere dalla mancanza di una convivenza (cfr., tra le molte, sul punto e sulla distinzione tra perdita relazionale inerente al rapporto venuto meno, danno biologico proprio in ipotesi intervenuto per pregiudizi occorsi alla salute della vittima istante, nonché danno morale pure conseguente, Cass., 4/03/2024, n. 5769, Cass., 12/01/2025, n. 761, ma anche, poco prima, Cass., 27/12/2023, n. 35998, specie sul profilo discusso e menzionato, ad esempio, a pag. 13, ultimo capoverso);
come riportato nell’odierno ricorso (pag. 11), il Tribunale aveva sufficientemente osservato che erano necessarie sia l’allegazione che la prova anche presuntiva per la sofferenza da perdita del rapporto, non per la perdita relazionale stessa, e, nonostante fosse risultata la mancanza di convivenza e null’altro per meglio definire la relazione tra la figlia e la madre, “tuttavia” era emerso, con certificazione medica, un pregiudizio psichico chiaramente “riconducibile” al trauma della perdita, che dunque era stata sofferta ed era riferibile a un rapporto effettivo e non meramente anagrafico, “in tale contesto” procedendosi a una liquidazione del danno non patrimoniale “unitariamente inteso”;
la complessiva motivazione della sentenza di appello, che si pone in congruenza logica e ricostruttiva con quella del Tribunale, è dunque riconoscibile appieno, mentre non può dirsi che vi sia vincolo legale di prova, non previsto da alcuna norma, per l’accertamento di un pregiudizio fisico o psichico;
al contempo, quanto alla quantificazione del danno, la Corte territoriale ha spiegato che quello da perdita del rapporto parentale, liquidato secondo le incontestate tabelle c.d. milanesi, era superiore a quello complessivamente liquidato dal Tribunale, sicché non vi è interesse alla censura in ordine all’esatta specificazione del danno (biologico) psichico proprio, a mezzo di accertamento peritale officioso;
il quarto, quinto e sesto motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono infondati;
la Corte distrettuale ha con chiarezza affermato, in coerenza con quanto statuito dal Tribunale, che si è trattato di responsabilità della struttura per fatto proprio, derivante infatti dal perfezionato contratto atipico di spedalità, che doveva ritenersi includere gli obblighi di vigilanza, non ostandovi le inefficaci previsioni regolamentari interne né le dichiarazioni della figlia all’ingresso della madre, indicata come parzialmente autosufficiente e non pericolosa per gli altri, nella casa di riposo, posta la necessaria conoscenza da ritenere emersa in fatto e consolidatasi nel corso della non breve permanenza, dell’assistita, senza che fossero intervenute, all’esito, richieste di modifica del rapporto contrattuale da parte dei gestori del gerocomio;
tale responsabilità è stata correttamente ritenuta nei visti termini, dovendo qualificarsi, in iure, la condotta della persona dipendente a mezzo della quale l’ente agisce, ai sensi dell’art. 1228, cod. civ. (cfr., sul punto, Cass., 11/11/2019, n. 28987, specie pag. 6 e seguenti, di portata ricostruttiva generale, e succ. conf.);
a tale qualificazione è sotteso un accertamento in fatto, riservato al giudice di merito, neppure specificatamente censurato col ricorso, se non, distintamente, con la deduzione di un plurimo omesso esame, volto a far emergere in tesi l’insussistenza della colpa della struttura agente per il tramite della dipendente, deduzione preclusa, però, dalla doppia decisione come visto del tutto conforme dei giudici di merito, secondo quanto ora stabilito nell’art. 360, quarto comma, cod. proc. civ. (e prima dall’art. 348-ter, quinto comma, stesso codice);
a tale ultimo riguardo per completezza va osservato che parte ricorrente solo in memoria illustrativa e solo apoditticamente afferma che le ragioni fattuali rese proprie dai giudici di merito sarebbero state diverse, sicché la deduzione non è neppure scrutinabile perché tardiva oltre che meramente assertiva;
spese secondo soccombenza;
va disposto che, ai sensi dell’art. 52, D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi di (omissis) e di sua madre, (omissis).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso condannando la ricorrente alla rifusione delle spese di lite della parte controricorrente liquidate in Euro 7.200,00, oltre a 200,00 Euro per esborsi, 15% di spese forfettarie e accessori legali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, al competente ufficio di merito, da parte della ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso;
oscuramento dei dati come in motivazione.
Così deciso in Roma, l’8 luglio 2025.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2025.