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T.A.R. Napoli (Campania), Sez. II, 29/09/2025, n. 6416

Massima

In applicazione del principio dispositivo che regola il processo amministrativo, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto d’interesse qualora, nel corso del giudizio, la parte ricorrente dichiari di non avere più interesse alla decisione nel merito della causa. Tale declaratoria, fondata sull’art. 35, comma 1, lett. c), del Codice del Processo Amministrativo, preclude l’esame delle censure sollevate e può giustificare la compensazione delle spese di lite tra le parti, data la natura formale della decisione.

Supporto alla lettura

ORDINANZA DI DEMOLIZIONE

L’ordinanza di demolizione (o ingiunzione di demolizione), rappresenta un atto amministrativo mediante il quale il Comune, ordina la demolizione di un edificio non autorizzato, realizzato in modo abusivo o non conforme alla normativa edilizia vigente.

Nell’ambito delle pratiche abusive nel settore edilizio, vi sono diverse tipologie di infrazioni che possono portare all’emissione di un’ordinanza di demolizione:

  • lottizzazione abusiva: divisione di terreni in lotti edificabili senza autorizzazione;
  • lavori eseguiti senza permesso o in difformità edilizia: casi in cui vengono eseguiti lavori edilizi senza ottenere il permesso necessario o in totale difformità da esso senza rispettare la normativa vigente;
  • interventi abusivi su terreni pubblici: interventi eseguiti su terreni di proprietà pubblica senza autorizzazione, che compromettono l’utilizzo corretto del territorio destinato a fini pubblici;
  • difformità delle norme urbanistiche: qualsiasi intervento edilizio realizzato in difformità dalle norme urbanistiche e dai piani regolatori vigenti;
  • violazione di vincoli edilizi: opere eseguite in violazione dei vincoli edilizi imposti da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche, che possono riguardare la destinazione d’uso del terreno, il rispetto di zone inedificabili o la salvaguardia di aree di particolare interesse storico o ambientale.

Secondo quanto stabilito dall’art. 31 del D.P.R. 380/01, è compito del dirigente o del responsabile dell’ufficio comunale esercitare il potere di vigilanza sull’attività urbanistica ed edilizia. Dopo aver accertato l’abuso edilizio, il Comune emette un’ordinanza di demolizione, pubblicata sul sito istituzionale e comunicata anche al Prefetto.

Il destinatario ha 60 giorni per impugnare l’ordinanza davanti al T.A.R. o presentare una richiesta di sanatoria. Se non viene avviato alcun procedimento di sanatoria nei 90 giorni successivi, la Polizia Municipale verifica l’adempimento dell’ordinanza.

Data la natura dell’ordinanza, che impone la demolizione entro 90 giorni e il cui termine, se non prorogato, porta alla confisca automatica del bene, la fase cautelare durante il processo di impugnazione riveste un ruolo fondamentale, infatti, il decorso dei 90 giorni previsti dalla legge, può essere interrotto solo mediante sospensione decisa dal giudice amministrativo su richiesta della parte ricorrente. Questa sospensione congela il termine e impedisce la confisca automatica del bene non demolito.

L’ordinanza di demolizione non sempre viene immediatamente eseguita, e ciò può determinare una serie di implicazioni e difficoltà di cui è essenziale essere consapevoli. Una delle prime conseguenze che possono manifestarsi in caso di mancata esecuzione dell’ordine di demolizione è l’applicazione di sanzioni pecuniarie. Inoltre, secondo quanto sancito dall’art. 31 comma 3 del D.P.R. 380/01, se il responsabile dell’abuso non demolisce conripristino dello stato dei luoghi entro 90 giorni dalla notifica, il bene e l’area su cui è stato costruito illegalmente diventano proprietà gratuita del Comune.

In caso di accertamento di inottemperanza, ossia se l’abuso edilizio non viene rimosso entro il termine di 90 giorni fissato dall’ordinanza demolitoria, le sanzioni pecuniarie previste dal D.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia) possono variare da 2.000 a 20.000 euro.

Dopo aver ricevuto l’ordine di demolizione, è possibile presentare un’istanza di sanatoria per l’abuso edilizio (o accertamento di conformità), per ottenere il permesso di costruire in sanatoria o per richiedere la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA in sanatoria) o la CILA tardiva.

L’istanza di sanatoria può essere presentata anche se è già stato presentato un ricorso al Giudice Amministrativo contro l’ordine di demolizione, entro un termine di 60 giorni dalla notifica del provvedimento. In questo caso, l’ordine di demolizione viene temporaneamente sospeso in attesa del completamento del nuovo e separato procedimento relativo alla sanatoria dell’abuso edilizio.

Le situazioni in cui un’ordinanza di demolizione può decadere sono le seguenti:

  • se l’ordine di demolizione risulta sproporzionato rispetto alla gravità dell’abuso commesso;
  • se è in corso un processo di regolarizzazione (sanatoria), la demolizione può essere sospesa e poi annullata;
  • in casi in cui il ripristino dello stato originario risulta impossibile senza danneggiare irreparabilmente la parte dell’edificio costruita correttamente (fiscalizzazione dell’abuso edilizio

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO

Il ricorrente premette di aver avuto in concessione, in comodato gratuito, l’immobile identificato nel provvedimento impugnato e d’avere ivi realizzato delle opere consistenti in delle tettoie destinate al ricovero di materiali ed attrezzi agricoli.

L’ordinanza impugnata ha ingiunto sia ai proprietari sia al ricorrente, in qualità di esecutore materiale dei lavori, la demolizione delle suddette opere in quanto ritenute abusive, poiché realizzate in assenza di idoneo titolo autorizzativo.

Il ricorrente censura l’ordinanza de qua per motivi di illegittimità consistenti in violazione di legge laddove risulterebbero finalizzati esclusivamente all’adozione delle sanzioni definitive che comportano la perdita definitiva del bene da parte del ricorrente, senza alcuna valutazione della possibilità dell’adozione di sanzioni alternative di tipo pecuniario o che consentano la conservazione dell’edificato.

Nel caso di specie, si deduce che le opere consistono in n. 4 tettoie aperte su tre o quattro lati e destinate al deposito di materiali ed attrezzi per l’esercizio dell’attività agricola e si tratterebbe, quindi, di manufatti che non creano volumi e come tali non necessitavano di permesso a costruire.

In tali termini, pertanto, si sarebbe dovuta valutare la possibilità di applicare una sanzione di tipo pecuniario, quanto meno con riferimento ai manufatti aventi mera funzione di copertura, e non invece demolitoria.

Nel merito, inoltre, evidenzia che anche a voler ritenere che i manufatti fossero destinati al deposito di materiali edili, in ogni caso si tratterebbe di una utilizzazione del bene non incompatibile con la destinazione agricola dell’area e come tale legittimamente esercitabile; in tal senso l’ordinanza impugnata apparirebbe illegittima per eccesso di potere e travisamento dei fatti.

Nel verbale di sopralluogo si sarebbe, infatti, completamente omesso di considerare che buona parte delle opere ritenute abusive, come sopra detto, consistevano in manufatti di modesta entità che non necessitavano di permesso a costruire; inoltre, tali manufatti erano stati realizzati nell’anno 2008 e l’Amministrazione non aveva in precedenza adottato alcun provvedimento sanzionatorio ingenerando così un affidamento da parte del ricorrente circa la sua conformità allo strumento urbanistico.

Nell’ordinanza in questione non sarebbero esplicitate le ragioni di pubblico interesse che ne giustificano l’emanazione, dopo un considerevole lasso temporale; omissione che integrerebbe la violazione dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990.

Difetterebbe, altresì, la corretta individuazione dell’opera abusiva sia ai fini della sua demolizione sia ai fini della particolare sanzione ingiunta in caso di inottemperanza, poiché le particelle sulle quali insistono i manufatti asseritamente abusivi hanno un’estensione di oltre 1000 mq., mentre nel provvedimento impugnato non è in alcun modo indicata l’esatta superficie di tali manufatti né la loro dislocazione.

Ne discenderebbe, a parere di parte ricorrente, illegittimità per difetto di motivazione e comunque per manifesta ingiustizia dei provvedimenti impugnati.

Si costituiva in giudizio il Comune di Sant’Antimo, con memoria in cui replicava alle avverse censure, concludendo per il rigetto del gravame.

Con note difensive depositate il 22.09.2025, era dichiarato il sopravvenuto difetto d’interesse del ricorrente alla definizione, nel merito, del contesto.

All’udienza di smaltimento dell’arretrato del 25.09.2025, tenuta da remoto in modalità TEAMS, il ricorso era trattenuto in decisione.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Rileva il Tribunale che il ricorso – atteso quanto dichiarato da parte ricorrente nell’imminenza della discussione – va dichiarato improcedibile, per sopravvenuto difetto d’interesse.

Tanto conformemente a pacifica giurisprudenza, per la quale vedi da ultimo Consiglio di Stato, sez. II, 26/05/2025, n. 4575: “In ossequio al principio dispositivo applicabile anche al giudizio amministrativo, il giudice deve prendere atto della dichiarazione di sopravvenuto difetto di interesse del ricorrente alla decisione della causa, applicando, per l’effetto, l’art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a ., che prevede che il giudice dichiara improcedibile il ricorso, tra altro, quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione”.

Le spese di lite, per la natura formale della decisione, possono essere compensate tra le parti.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile, per sopravvenuto difetto d’interesse.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

Conclusione

Così deciso, in Napoli, nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2025, con l’intervento dei magistrati (Omissis).

Allegati

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