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Cassazione civile sez. I, 18/07/2025, n.20061

Massima

È legittimo il provvedimento con cui una Regione recupera le somme erogate in eccedenza a un’azienda di trasporti, qualora una specifica legge regionale (nel caso di specie, la L.R. Puglia n. 37 del 1995) autorizzi espressamente tale recupero in attuazione e coerenza con la normativa statale di riferimento (D.L. n. 98/1995).

Supporto alla lettura

CONTRIBUTI

Rappresentano le quote della retribuzione (nel caso di rapporti di lavoro subordinato) o del reddito di lavoro (nel caso del lavoro autonomo, in collaborazione o associato) destinate al finanziamento delle prestazioni previdenziali ed assistenziali previste dalla legge.

Il loro versamento è, di norma, obbligatorio, infatti l’onere contributivo sorge generalmente all’avvio di una qualunque attività lavorativa. Nello specifico, incombe sia sul lavoratore (mediante una trattenuta effettuata sulla retribuzione lorda mensile) sia sul datore di lavoro. Tuttavia, l’obbligo di pagamento dei contributi è gravante esclusivamente sul datore di lavoro, il quale è tenuto a versare le trattenute all’ente previdenziale – assistenziale. Il lavoratore può in ogni caso verificare l’avvenuto versamento dei contributi: o tramite l’attestazione che viene rilasciata annualmente dai datori di lavoro, oppure inoltrando la richiesta dell’estratto contributivo direttamente all’ente previdenziale.

La loro riscossione, unitamente all’erogazione delle prestazioni ed al controllo della corretta applicazione delle norme, è affidata agli enti di previdenza.

Si possono classificare in due differenti tipologie:

  • contributi previdenziali: versamenti obbligatori effettuati dal datore di lavoro nei confronti dell’ente previdenziale al fine di ottenere la prestazione pensionistica;
  • contributi assistenziali: versamenti effettuati all’INPS o all’INAIL, al fine di ottenere una copertura dei rischi legati agli infortuni e alle malattie professionali, all’invalidità, malattia.

Il sistema sanzionatorio in materia previdenziale e assistenziale è disciplinato dalla L. 388/2000 la quale prevede due diverse tipologie di sanzioni:

1. civili: variano a seconda del debito. Al fine di stabilire l’entità delle sanzioni civili applicabili, la giurisprudenza distingue due diverse ipotesi:

  • l’omissione contributiva: si verifica ogniqualvolta vi sia un ritardo nel pagamento dei contributi, risultante dalle registrazioni e dalle documentazioni obbligatorie regolarmente denunciate dal datore di lavoro: in questi casi, le sanzioni previste sono pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti e non possono essere superiori al 40% dell’importo dei contributi o premi non corrisposti;
  • l’evasione contributiva: ravvisabile ogniqualvolta le predette registrazioni o le denunce contributive mensili siano state del tutto omesse o occultate dal datore di lavoro (fenomeno del c.d. “lavoro nero”) ovvero siano non conformi al vero. In tali casi, le sanzioni civili irrogate per l’omesso versamento dei contributi sono pari al 30% e, in ogni caso, non possono essere superiori al 60% dell’importo dei contributi o premi non corrisposti.

2. penali: si configura il reato di omissione o falsità di registrazione o di denuncia obbligatoria, ogniqualvolta il datore di lavoro abbia omesso una o più denunce o registrazioni obbligatorie ovvero abbia eseguito una o più denunce obbligatorie in tutto o in parte non conformi al vero, al fine di sottrarsi dagli obblighi previsti a suo carico dalla normativa previdenziale o assistenziale (salvo il caso in cui non sia ravvisabile un reato più grave). Inoltre, si era in presenza del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ogniqualvolta il datore non avesse provveduto al versamento dei contributi omessi entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione, ovvero avesse corrisposto il pagamento delle retribuzioni “in nero”. Il D.Lgs. 8/2016 ha previsto una parziale depenalizzazione di tale reato, infatti si possono distinguere due diversi tipi di sanzioni in relazione all’omissione contributiva: nel caso in cui l’omissione sia tale da superare i 10.000 € annui permane l’illecito penale; invece, se l’omissione è inferiore a questa soglia, si applica una sanzione amministrativa. L’omissione non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, se il datore di lavoro versa le somme dovute entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.

Tra i datori di lavoro soggetti al nuovo regime devono essere ricompresi anche i datori che operano con il Sistema Uniemens, i committenti della Gestione Separata e, infine, i datori di lavoro agricoli.

Nel caso di omesso o insufficiente versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, spettano al lavoratore due differenti azioni legali:

  • richiesta di condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi omessi;
  • risarcimento del danno (art. 2116 c. 2 c.c.), qualora dalla inadempienza contributiva sia conseguita la perdita totale o parziale del diritto alla prestazione assicurativa.

Nel caso in cui sia intervenuta prescrizione dei contributi (5 anni dal giorno della scadenza prevista per il versamento degli stessi), il lavoratore può chiedere all’Istituto previdenziale la costituzione di “una rendita vitalizia reversibile” per ottenere l’accredito del periodo di omissione contributiva: tale rimedio consente, attraverso un versamento all’INPS il cui importo varia a seconda di diversi fattori, l’accreditamento del periodo non coperto da contribuzione. La prescrizione contributiva diviene decennale qualora  l’omissione contributiva sia denunciata direttamente dal dipendente lavoratore, e non dall’ente previdenziale; in tal caso, decorso tale termine,  il lavoratore potrà esperire un’azione giudiziale volta unicamente ad ottenere il versamento da parte del datore di lavoro, della somma corrispondente al c.d. “vuoto contributivo”, utile ai fini del percepimento della pensione.

Ambito oggettivo di applicazione

RILEVATO CHE

1. L’Azienda per la (Omissis) chiedeva al TAR l’annullamento della delibera della Giunta regionale n. 284/1996 che aveva deciso di recuperare le somme erogate in eccedenza alle assegnazioni statali ex Fondo nazionale trasporti negli anni dal 1985 al 1993, trattenendo sui contributi in costo esercizio che avrebbe erogato nei successivi anni 1996, 1997 e 1998, la quota annua di Lire 7.108.854.000 per un totale di Lire 21.326.562.000 corrispondente all’importo del disavanzo certificato in relazione ai fondi erogati nel corso degli anni 1987-1993.

 

2. Assumeva (Omissis) che la delibera 284/1996 violava il d.l 98/1995 convertito nella legge 204/1995 , la legge regionale n. 37/95 e degli artt. 3 e 117 Cost.

 

3. Il Tar Puglia-sezione di Bari rigettava il ricorso di (Omissis). Proposto ricorso al Consiglio di Stato, questi dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, disponendo la rimessione degli atti avanti al giudice ordinario.

 

4. Riassunto il giudizio avanti al Tribunale di Bari con la sentenza n. 2185/2017 veniva affermata la legittimità della delibera e del recupero effettuato dalla Regione Puglia con rigetto della domanda di condanna articolata nei confronti della Regione Puglia.

 

5. Avverso detta sentenza (Omissis) ha proposto gravame e la Corte d’Appello di Bari nel contraddittorio delle parti ha riformato la sentenza di prime cure e condannando la Regione al pagamento di quanto richiesto da (Omissis) con compensazione delle spese di lite.

 

6. La Corte d’Appello dopo aver ricostruito il tenore dispositivo dell’art. 1 , D.L. n.98/1995 ha ritenuto che in presenza dei relativi presupposti di legge, consistenti nella sussistenza delle perdite di esercizio secondo i bilanci riclassificati ai sensi del D.L. n.98/1995 , art. 1, comma 5, sussisteva il diritto dell’impresa concessionaria a conseguire dal concedente il ripiano dell’intera quota di disavanzo di esercizio non ristorata da precedenti contributi con ciò condividendo il principio ermeneutico sancito da questa Corte nella sentenza n. 11257 del 2018.

 

7. La cassazione della sentenza d’appello depositata il 29.10.2020 è chiesta dalla Regione Puglia con ricorso notificato il 18.1.2021 ed affidato a quattro motivi, cui resiste con controricorso (Omissis).

 

7.1. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

CONSIDERATO CHE

 

8. Con il primo motivo la Regione deduce (in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, cod. proc. civ.) la violazione/falsa applicazione di legge di una serie di norme art. 12 Preleggi, art. 6 e 9 L. 151/1981, art. 1 D.L. 98/1995, L.R. Puglia n. 11/1990 e 37/1995 argomentando che la sentenza impugnata avrebbe applicato erroneamente le norme statali e regionali, riconoscendo un diritto non più esistente in capo ad (Omissis).

 

9. Con il secondo motivo si deduce (in relazione all’art. 360, comma 1, n.4, cod. proc. civ.) la nullità della sentenza per motivazione apparente. Assume la Regione che la motivazione della sentenza di appello sarebbe solo apparente.

 

10. Con il terzo motivo si deduce (in relazione all’art. 360, comma 1, n.5 cod. proc. civ.) l’omesso esame di un fatto decisivo e cioè l’esame della Delibera Regionale n. 6138/1995, base della successiva delibera impugnata.

 

11. Con il quarto motivo si deduce (in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 , cod. proc. civ.) la violazione del giudicato esterno costituito dalla decisione del Consiglio di Stato n. 5835/2018.

 

12. Il primo motivo è fondato.

 

12.1. Come pure illustrato da parte ricorrente la materia si inscrive in un articolato quadro normativo che comprende sia la normativa statale che quella regionale. La legge 151/1981 (legge quadro in materia di trasporti) ha istituito il Fondo Nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubbliche e private che esercitano i servizi di TPL. Alla copertura delle differenze fra costi e ricavi partecipano, oltre allo Stato, anche le Regioni.

La Regione Puglia ha disciplinato con propria normativa sin dal 1990 (L.R 11, art. 1) un piano pluriennale di rientro, al fine di estinguere le passività pregresse maturate al 31.12 1989 specificamente stabilendo al comma quarto che “gli importi corrisposti ai sensi delle lett. a) e b) del precedente comma per gli anni 1987, 1988 e 1989 sono considerati anticipazioni delle Regioni rispetto ad eventuali interventi dello Stato per i medesimi anni in aggiunta al Fondo nazionale trasporti.

Con il D.L. 98/1995 convertito con la legge 204/1995 è stato disposto quale intervento urgente in materia di trasporti uno stanziamento a favore del FNT da doversi erogare direttamente alle Regioni. L’articolo 1, comma 14, per quanto qui rileva, dispone che ” nei limiti e con i criteri stabiliti dal presente articolo il concorso dello Stato opera anche nei confronti delle Regioni e degli enti locali che hanno già dato copertura anche parziale ai disavanzi di cui al comma uno.

La Regione Puglia in attuazione di tale norma ha emanato la L. r. n. 37 del 1995 (Misure urgenti nel settore del trasporto pubblico locale) il cui articolo 2 (recuperi) ha previsto che ” in sede di Liquidazione degli interventi finanziari di cui al comma tre del precedente articolo uno la giunta regionale recupera le quote di contributi di esercizio erogati in ciascuno degli anni dal 1987 al 1993 in eccedenza le assegnazioni statali punto per le aziende municipalizzate la giunta regionale dispone il recupero di cui al precedente comma avvalere sulle erogazioni dei contributi di esercizio e di quelli di cui al comma due dell’articolo uno della presente legge secondo un piano di rientro che sarà stabilito dalla stessa giunta”.

Con deliberazione della Giunta regionale n. 6038/95 è stata riconosciuta, fra l’altro, la facoltà della Regione di procedere al recupero, accanto a quello relativo alle somme erogate in eccedenza alle assegnazioni statali per il periodo 1987-1993, anche delle quote contributive erogate in eccedenza alle assegnazioni statali per gli anni 1985 e 1986 anche riguardo all’azienda municipalizzata (Omissis). In attuazione di detta deliberazione la Regione Puglia emise poi la delibera attuativa n. 284 del 1996, avente ad oggetto la L.r. 37 del 1995 con cui dispose “di stabilire che i recuperi di cui all’art. 2, comma 2 della L.r.37 del 1995 nei confronti delle aziende municipalizzate siano effettuati in tre quote uguali a valere sui contributi degli esercizi 1996, 1997 1998 cadauna dell’importo indicato nella colonna “f” del prospetto allegato alla presente deliberazione” per la somma complessiva di Lire 21.326.562.000 pari a Euro 11.014.250,08 in tre somme uguali per ciascun anno.

 

12.2. Ciò posto, emerge che il recupero delle quote di contributi, con riferimento alle anticipazioni disposte – dando copertura anche parziale ai disavanzi, come previsto dal D.L. – è applicazione della norma regionale, la quale, nella misura in cui è relativa ad ammontare eccedente la soglia del contributo statale (il quale non può risultare superiore al 60% dell’ammontare complessivo dei disavanzi), è coerente alla disposizione statale.

 

12.3. Di tale complesso quadro normativo la sentenza impugnata non ha in alcun modo tenuto conto, incentrando la decisione sul richiamo alla precedente pronuncia di questa Corte (Cass 11257/2018) che non è pertinente in quanto relativo ad una Regione nella quale, a differenza della Puglia, non era intervenuta la legge regionale.

 

13. L’accoglimento del primo motivo, comporta l’assorbimento degli altri tre motivi (assorbimento proprio – Cass. 13534/2018) con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa la

sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

 

Così deciso in Roma il 30 maggio 2025.

 

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2025.

Allegati

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