Massima

La legittimazione dell’amministratore di condominio a promuovere l’azione di responsabilità per gravi difetti ai sensi dell’art. 1669 c.c. è limitata esclusivamente ai danni che riguardano le parti comuni dell’edificio, anche se questi possono indirettamente interessare le proprietà esclusive.

Supporto alla lettura

AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO

L’amministratore di condominio, viene nominato dai condomini, e si occupa della gestione dello stabile e dell’esecuzione delle delibere assembleari. Le sue competenze spaziano dalla manutenzione ordinaria alle funzioni di gestione dello stabile, passando per la conservazione dei beni comuni.

Le attribuzioni dell’amministratore sono sia di carattere esecutivo che amministrativo, soggiace alle regole generali dettate in materia di contratto di mandato e le sue principali attribuzioni sono contenute nell’art. 1130 c.c., anche se il regolamento condominiale può contenere ulteriori previsioni al riguardo.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con sentenza n. 8002 del 19.12.2019, la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, accolse la domanda proposta, con atto di citazione del 2010, dal condominio (Omissis), nei confronti della (Omissis), che aveva venduto le varie unità dell’edificio condominiale, per il risarcimento dei danni provocati da infiltrazioni d’acqua nel garage condominiale, realizzato al piano interrato.

La Corte distrettuale motivò la decisione accogliendo il motivo di appello che aveva dedotto la responsabilità contrattuale della convenuta, fondata sul fatto che quest’ultima nel 1999, dopo un anno dalla edificazione, rispondendo alla denuncia del condominio, aveva eseguito lavori di riparazione sull’immobile al fine di eliminare le infiltrazioni d’acqua nel piano garage; ha rilevato che l’azione non era prescritta per decorso del termine ordinario decennale, avendo il condominio inviato successivamente missive contenenti una chiara ed univoca richiesta di adempimento e contestuale manifestazione della volontà di agire in giudizio in caso di inottemperanza.

Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 24.12.2019, ha proposto ricorso la società (Omissis) in liquidazione, affidato a quattro motivi.

Il condominio di via del (Omissis) ha notificato controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

2. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1667, 2943 e 2946 c.c.

La società lamenta che la Corte di merito abbia attribuito valore di riconoscimento dei vizi costruttivi e di assunzione di una nuova obbligazione di provvedere alla loro eliminazione al comportamento della convenuta, che si era limitata ad interessare degli inconvenienti lamentati la impresa SILP che aveva svolto in appalto i lavori di costruzione dell’edificio, senza effettuare sul punto alcun accertamento specifico e senza considerare che le successive denunce avevano interessato parti diverse dell’edificio rispetto all’intervento del 1999. Sostiene la ricorrente che, in caso di responsabilità del costruttore per gravi difetti dell’immobile ai sensi dell’art. 1669 c.c., non sarebbe applicabile il principio secondo cui un qualsiasi intervento riparatore genererebbe automaticamente una obbligazione di natura contrattuale, soggetta come tale al termine ordinario di prescrizione di dieci anni.

Il motivo è infondato e per il resto inammissibile.

Risulta dalla lettura della sentenza e non è contestato dallo stesso ricorso che, a seguito di denuncia del condominio circa la presenza di infiltrazioni d’acqua nel piano garage dell’edificio, la società venditrice aveva provveduto, nel 1999, ad effettuare, non importa se direttamente o tramite altra impresa, lavori di riparazione. La Corte di appello ha accolto sul punto la tesi del condominio appellante, che aveva ravvisato nella esecuzione di tali lavori non solo il riconoscimento dei difetti da esso lamentati, ma anche l’impegno da parte della società di eliminarli. La valutazione sul punto effettuata dalla Corte romana è conforme al principio di diritto affermato da questa Corte, secondo cui l’assunzione in capo all’appaltatore dell’obbligo di eliminare i vizi dell’opera configura una nuova e distinta obbligazione che, come tale, è soggetta al termine ordinario di prescrizione decennale (Cass. n. 19343 del 2022; Cass. n. 20853 del 2009; Cass. n. 19560 del 2009; Cass. n. 15283 del 2005).

Il motivo va invece dichiarato inammissibile laddove contesta la conclusione della sentenza in ragione della asserita non coincidenza dei difetti oggetto dei lavori nel 1999 con quelli oggetto di causa. La censura, oltre ad essere generica, non indicando gli atti istruttori che darebbero elementi di riscontro a tale tesi, che si assume ignorati dalla Corte di appello, si scontra con un accertamento di fatto, ravvisabile nell’affermazione del giudicante che, richiamando l’accertamento svolto dal Tribunale, ha precisato che il vizio più volte denunciato dal condominio era sempre lo stesso. Trattasi di conclusione che all’evidenza integra una valutazione di fatto che, in quanto tale, appartiene alla esclusiva competenza del giudice di merito e non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità.

Anche l’argomento difensivo secondo cui la odierna ricorrente non avrebbe potuto rispondere ex art. 1669 c.c. avendo venduto ma non partecipato alla costruzione dell’edifico condominiale non appare superare il preliminare vaglio di ammissibilità, una volta tenuto conto che, come riportato dalla Corte di appello in sede di esposizione del fatto, il Tribunale aveva respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla convenuta, con la conseguenza che la questione avrebbe potuto essere introdotta nel giudizio di secondo grado solo in forza di appello incidentale, sia pure in forma condizionata, che invece non risulta proposto.

Merita aggiungere che, in base al consolidato indirizzo di questa Corte, l’art. 1669 c.c., benché collocato fra le norme disciplinanti il contratto di appalto, è diretto alla tutela dell’esigenza (avente carattere generale) della conservazione e funzionalità degli edifici e di altri immobili destinati, per loro natura, a lunga durata, sicché l’azione di responsabilità ha natura extracontrattuale e, trascendendo il rapporto negoziale (appalto o vendita), può essere esercitata anche nei confronti del venditore che abbia affidato la costruzione ad un terzo in forza di un contratto di appalto, attesi i poteri di direzione, controllo ed ingerenza riconosciuti dalla legge in capo committente (Cass. n. 17955 del 2024; Cass. n. 777 del 2020; Cass. n. 9370 del 2013).

 

3. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2946 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere ravvisato nelle lettere inviate dal condominio il 16.5.2005, il 19.5. 2005 e il 24.1. 2008 atti idonei ad interrompere la prescrizione. Tali missive, si sostiene, non contenevano alcuna intimazione all’adempimento, anche perché i difetti con esse lamentati interessavano parti diverse da quelle per le quali la SILP era intervenuta nel 1999 e comunque non vi era prova che fossero gli stessi. Inoltre la risposta data dalla PAC con la lettera del 6.10.2005 non conteneva alcun riconoscimento, nemmeno implicito, degli asseriti difetti.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di appello nel valutare le lettere inviate dal condominio sotto il profilo della loro efficacia a interrompere la prescrizione, ai sensi dell’art. 2943, comma 4, c.c., si è adeguata al principio di diritto formulato dalla giurisprudenza di questa Corte, che, al di là dell’uso di formule sacramentali, riconosce efficacia interruttiva all’atto inviato dal creditore al proprio debitore che contenga la chiara l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento e sia pertanto idoneo a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto (Cass. n. 15140 del 2021; Cass. n. 15714 del 2018; Cass. n. 17123 del 2015).

Tanto precisato, il motivo è inammissibile per difetto di decisività in quanto non dimostra l’errore di diritto denunciato, omettendo di riportare il contenuto delle menzionate missive al fine di provare la violazione denunciata. Trattandosi di errore di diritto e non di violazione della legge processuale, questa Corte non ha infatti diretto accesso agli atti del giudizio. Il mancato rispetto del principio di autosufficienza determina pertanto l’inammissibilità del motivo, ai sensi dell’art. 366, comma 1, nn. 4 e 6, c.p.c.

 

4. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115,167, comma 2, 183 e 350 c.p.c. in relazione agli artt. 1130 n. 4 e 1669 c.c., vizio di omesso esame e di contraddittorietà della motivazione, censurando la decisione per avere liquidato in favore del condominio il danno da ridotta utilizzabilità dei posti auto siti nel locale garage, quantificato in Euro 206.771,40, oltre rivalutazione. La ricorrente deduce che per tale voce di danno il condominio difettava di legittimazione attiva, trattandosi di beni personali dei singoli condomini. In ogni caso si assume che l’accertamento del danno effettuato dal giudice è generico e contraddittorio, tenuto conto che, da un lato, dà atto che l’inutilizzabilità non ha coinvolto tutti i 59 posti auto esistenti nel piano garage, riducendo così la sproporzionata liquidazione proposta dal consulente tecnico d’ufficio, dall’altro non sono precisati i criteri impiegati per addivenire alla liquidazione del danno.

La prima censura è fondata.

La sentenza impugnata ha condannato la società convenuta al risarcimento dei danni consistenti nei costi per la eliminazione degli accertati difetti costruttivi e nel pregiudizio derivante dalla ridotta utilizzabilità del piano garage, rappresentato dalla parziale non usufruibilità dei posti auto da parte dei singoli condomini.

Ora, poiché quest’ultimo danno, per come considerato dalla sentenza impugnata, ha avuto ad oggetto la lesione del diritto di godimento sui posti auto dei condomini, cioè, deve presumersi, beni o diritti di proprietà personale degli stessi, deve convenirsi con la ricorrente che l’amministratore del condominio non fosse titolare della relativa pretesa risarcitoria e fosse pertanto privo della legittimazione a farla valere in giudizio. La legittimazione dell’amministratore di condominio a promuovere l’azione di cui all’art. 1669 c.c. è infatti limitata alle pretese che investono la tutela indifferenziata dell’edificio nella sua unitarietà, quindi in relazione ai pregiudizi che investono le parti comuni dell’immobile, ancorché interessanti di riflesso anche quelle costituenti proprietà esclusiva di condomini (Cass. n. 2436 del 2018); essa non si estende anche alle azioni risarcitorie relative ai danni subiti dai singoli condomini per il ridotto uso dei beni su cui vantano diritti individuali, essendo tali diritti estranei al potere di rappresentanza dell’amministratore fissato dagli artt. 1130 e 1131 c.c. (Cass. n. 3846 del 2020; Cass. n. 217 del 2015; Cass. n. 22656 del 2010).

Va escluso infine che su tale questione si sia formato il giudicato ovvero preclusioni di ordine processuale, trovando applicazione il principio che le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio e rilevabili anche dal giudice di legittimità se tale mancanza risulti dagli atti già acquisiti in giudizio (Cass. Sez. un. n. 2951 del 2016).

La seconda cesura articolata dal motivo, che investe la liquidazione in concreto del danno, si dichiara assorbita.

 

5. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 112 e degli artt. 345 e 115 c.p.c., lamentando che la Corte di appello abbia liquidato il danno per mancato parziale utilizzo del garage in misura superiore a quella richiesta dal condominio, che, per tale voce di danno, aveva chiesto il pagamento della somma di Euro 40.000,00 ovvero della somma maggiore o minore a quella risultante dalla istruttoria e ribadito tale richiesta nelle sue conclusioni, senza fare riferimento all’importo indicato nella relazione del consulente tecnico d’ufficio.

Anche questo motivo va dichiarato assorbito in conseguenza dell’accoglimento del terzo motivo.

 

6. La sentenza va quindi cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che si adeguerà nel decidere al principio di diritto sopra formulato e provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

– accoglie nei limiti di cui in motivazione il terzo motivo di ricorso, rigetta i primi due e dichiara assorbito il quarto;

– cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 giugno 2025.

Depositato in Cancelleria l’11 luglio 2025.

Allegati

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