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Cassazione penale sez. I, 31/10/2024, n. 41185

Massima

A causa della natura della messa alla prova, è applicabile in via analogica l’art. 298, comma 2, cod. proc. pen., il quale regola la contestuale esecuzione di una misura alternativa alla detenzione e di una misura cautelare. Pertanto, la coesistenza delle due misure (detenzione domiciliare e MAP), sia che l’una sia disposta anteriormente o successivamente all’altra, deve essere ammessa tutte le volte in cui risulti possibile armonizzare le relative prescrizioni.

Supporto alla lettura

MESSA ALLA PROVA

La messa alla prova è una forma di probation giudiziale che consiste, su richiesta dell’imputato e dell’indagato, nella sospensione del procedimento penale per reati di minore allarme sociale.

Introdotta con la l. 67/2014 che apporta modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, con:

  • la previsione del nuovo istituto agli artt. 168-bis, 168-ter e 168-quater c.p.;
  • l’introduzione degli 464-bis c.p.p. e ss. che regolano le attività di istruzione del procedimento e del processo, nonché l’art. 657-bis c.p.p. che indica le modalità di valutazione del periodo di prova;
  • le norme di attuazione, coordinamento e transitorie del codice di procedura penale;
  • il Testo unico in materia delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale.

La riforma Cartabia è intervenuta sull’ambito operativo di tale istituto consentendo l’accesso alla messa alla prova anche con riferimento ad ulteriori specifici reati, diversi da quelli contemplati all’art. 550 c. 2 c.p.p., puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori da parte dell’autore, compatibili con l’istituto, e, dall’altro, prevedendo che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova possa essere proposta anche dal pubblico ministero in due casi:

  1. istanza formulata in udienza (art. 464-bis c.p.p.):  l’imputato può chiedere un termine non superiore a venti giorni per presentare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova;
  2. istanza formulata nel corso delle indagini preliminari (art. 464-ter c.p.p.):  con l’avviso previsto dall’articolo 415 bis, può proporre alla persona sottoposta ad indagini, la sospensione del procedimento con messa alla prova, indicando la durata e i contenuti essenziali del programma trattamentale.

Con la sospensione del procedimento, l’imputato viene affidato all’ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede come attività obbligatoria e gratuita, l’esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, si può svolgere per un minimo di dieci giorni, anche non continuativi e non può superare le otto ore giornaliere. Inoltre il programma di trattamento, oltre a costituire elemento indispensabile per acceder alla messa alla prova, può prevedere l’osservanza di una serie di obblighi relativi alla dimora, alla libertà di movimento e al divieto di frequentare determinati locali, oltre a quelli essenziali al reinserimento dell’imputato e relativi ai rapporti con l’ufficio di esecuzione penale esterna e con eventuali strutture sanitarie specialistiche.

La misura può essere concessa dal giudice per reati puniti con la reclusione fino a sei anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria e per non più di una sola volta, o per una seconda, in relazione a illeciti commessi anteriormente al primo provvedimento di sospensione (esclusa l’applicazione ai contravventori e delinquenti abituali, professionali e per tendenza). Il procedimento non può essere sospeso per un periodo superiore a due anni, quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva superiore ad un anno, e per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria.

L’esito positivo della prova comporta l’estinzione del reato, mentre l’esito negativo per grave e reiterata trasgressione del programma di trattamento o delle prescrizioni, per il rifiuto opposto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità, per la commissione durante il periodo di prova di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole di quello per cui si procede, implica che il giudice con ordinanza disponga la revoca e la ripresa del procedimento.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con provvedimento 20 dicembre 2023 il Magistrato di sorveglianza di Catania autorizzava il detenuto domiciliare Gi.Sa. ad assentarsi dal domicilio, due giorni a settimana, in orario rispettivamente antimeridiano e pomeridiano, onde consentire al medesimo, in relazione ad un processo penale pendente a suo carico, lo svolgimento del programma di messa alla prova, ai sensi dell’art. 168-bis cod. pen., alla quale Gi.Sa. veniva conseguentemente sottoposto dal giudice di cognizione in data 29 gennaio 2024.

2. In costanza di esperimento sopraggiungeva il provvedimento in epigrafe, adottato d’ufficio, con il quale il Magistrato di sorveglianza dava atto della diversità ontologica esistente tra la detenzione domiciliare e la sospensione del procedimento con messa alla prova, riteneva l’impossibilità di applicazione congiunta dei due regimi (dovendo il secondo essere postergato alla conclusione del primo) e revocava le autorizzazioni già concesse.

3. Gi.Sa. ricorre per cassazione avverso tale secondo provvedimento, con il ministero del suo difensore di fiducia.

Nel motivo unico il ricorrente deduce l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, e processuale penale, sostenendo non esservi alcuna rigida preclusione alla concessione della messa alla prova in pendenza di una misura alternativa alla detenzione e rimarcando l’assenza di circostanze sopravvenute, ostative al mantenimento delle autorizzazioni già concesse.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è anzitutto ammissibile, giacché, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 52134 del 07/11/2019, Z., Rv. 277884 – 01; Sez. 1, n. 108 del 30/11/2012, dep. 2013, Fazzari, Rv. 254166- 01; Sez. 1, n. 45581 del 23/11/2007, Priebke, Rv. 238919 – 01), nei confronti dei provvedimenti adottati dal Magistrato di sorveglianza, ex art. 47-ter, comma 4, legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), è sempre esperibile il ricorso in cassazione per violazione di legge, trattandosi di provvedimenti che incidono sulla libertà personale.

2. Il ricorso è altresì fondato, alla luce delle seguenti considerazioni.

3. L’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, esteso dalla legge 28 aprile 2014, n. 67, agli imputati maggiorenni, si caratterizza quale modalità alternativa di definizione del procedimento penale (v. già Sez. F., n. 35717 del 31/07/2014, Ceccaroni, Rv. 259935 – 01), attivabile nella fase delle indagini preliminari o nei prodromi dell’udienza preliminare o del giudizio, mediante la quale è possibile pervenire, in presenza di determinati presupposti normativi, ad una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato all’esito di un periodo di prova, destinato a saggiare l’avvenuto reinserimento sociale del condannato.

Si tratta di un meccanismo che, su base consensuale e in funzione della riparazione sociale e individuale del torto connesso alla consumazione del reato, innesta nel procedimento una vera e propria fase incidentale in cui si svolge l’esperimento trattamentale, il cui esito positivo determina l’effetto estintivo (Sez. U., n. 36272 del 31/03/2016, Sorcinelli, Rv. 267238 – 01).

L’istituto riveste una portata rieducativa e afflittiva al tempo stesso, in quanto l’esperimento è accompagnato, tra l’altro, dall’obbligo di prestare lavoro di pubblica utilità, nonché dall’imposizione di prescrizioni, concordate all’atto dell’ammissione al beneficio e modulate sullo schema dell’affidamento in prova al servizio sociale, incidenti in maniera significativa, nel corso del procedimento penale, sulla libertà personale del soggetto che vi è sottoposto (Sez. U., n. 14840 del 27/10/2022, dep. 2023, Società La Sportiva, Rv. 284273 – 02).

4. L’art. 298 cod. proc. pen. regola il concorso di titoli esecutivi e misure cautelari processuali.

Tale disposizione, nel suo comma 1, risolve l’interferenza tra ordine di carcerazione e cautela processuale, accordando rilievo poziore al primo, salvo che gli effetti della misura cautelare disposta siano compatibili con l’espiazione della pena (Sez. 6, n. 33051 del 07/06/2018, Baku).

In base al suo comma 2, è da ritenere viceversa possibile, in linea di principio, la contestuale esecuzione della misura alternativa alla detenzione e di una misura cautelare, dovendosi poi solo verificare, in concreto, avuto riguardo alle limitazioni connaturali alle due misure anzidette, l’effettiva compatibilità fra l’una e l’altra, nel rispetto, dalla legge ritenuto preminente, della misura cautelare (Sez. 1, n. 35781 del 27/11/2020, Russo, Rv. 280095 – 01).

5. La natura di misura endoprocessuale, sostanzialmente limitatrice della libertà personale, che, come osservato, deve essere riconosciuta alla messa alla prova ex art. 168-bis cod. pen., rende analogicamente applicabile l’art. 298, comma 2, cod. proc. pen.

La coesistenza di una misura alternativa alla detenzione, anche restrittivamente conformata, quale la detenzione domiciliare, con il regime della messa alla prova, anteriormente o successivamente disposta, non solo, dunque, non è da escludere in linea di principio, ma deve essere ammessa tutte le volte in cui risulti possibile armonizzare le relative prescrizioni.

In materia di detenzione domiciliare, il condannato può essere autorizzato a lasciare il domicilio non solo per il soddisfacimento delle proprie indispensabili esigenze di vita, o per svolgere l’attività lavorativa necessaria per il sostentamento, a norma dell’art. 284, comma 3, cod. proc. pen., ma per ogni diversa esigenza connessa agli interventi del servizio sociale, anche relativi ad una procedura giudiziaria diversa da quella esecutiva in atto, o, più in generale, per altre finalità di giustizia penale; le prescrizioni della detenzione domiciliare possono essere, a tal fine, sempre modificate dal magistrato di sorveglianza, come consentito dall’art. 47-ter, comma 4, Ord. pen.

Il criterio, che deve orientare la discrezionalità di quest’ultimo organo giudiziario, e che funge da limite esclusivo alla concessione di tali autorizzazioni, è che quest’ultima non alimenti realmente il pericolo che il condannato commetta, suo tramite, altri reati, essendo la detenzione domiciliare costruita sul presupposto che la misura risulti idonea a scongiurare la recidiva delittuosa.

6. Il provvedimento impugnato non è conforme agli esposti principi di diritto e deve essere annullato senza rinvio.

Esso muove dal presupposto dell’ontologica inconciliabilità tra le misure giudiziarie di causa, che si è visto essere errato.

Esclusa una tale inconciliabilità, il ritiro delle autorizzazioni già concesse al detenuto domiciliare, necessarie all’esecuzione del programma di messa alla prova, disposto peraltro proprio a seguito del loro rilascio, avrebbe dovuto essere giustificato da concrete sopravvenienze ostative, dal giudice a quo neppure ipotizzate.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2024.

Depositata in Cancelleria l’8 novembre 2024.

Allegati

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