1. Il Tribunale di Roma, con decreto del 7 dicembre 2023, rigettava il ricorso proposto da Im.Of., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento emesso dalla locale commissione territoriale con cui la sua domanda reiterata di riconoscimento della protezione internazionale era stata ritenuta inammissibile.
Evidenziava – fra l’altro e per quanto qui di interesse – che il richiedente asilo non aveva dimostrato di aver maturato un grado sufficiente di inserimento sociale sul territorio italiano, né tanto meno di avere costituito un significativo vincolo familiare tale da meritare tutela ai sensi del novellato art. 19 T.U.I. Riteneva, sotto quest’ultimo profilo, che non fosse stata raggiunta la prova dell’esistenza di una relazione sentimentale da tutelare tra l’Im. e una sua connazionale.
Sottolineava a questo riguardo, una volta precisato che la mera coabitazione non può essere equiparata alla convivenza more uxorio, che il deposito del solo certificato di residenza/stato di famiglia, in assenza di un patto di convivenza, non poteva ritenersi prova sufficiente di un effettivo legame di coppia o di una convivenza di fatto, astrattamente meritevole di tutela.
2. Im.Of. ha proposto ricorso per la cassazione di tale decreto prospettando un unico motivo di doglianza.
Il Ministero dell’Interno ha depositato una nota al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione della causa.
3. Il motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., un error in iudicando per violazione degli artt. 8 CEDU, 7 Carta di Nizza, 2, 29 e 31 Cost., 5, comma 6, e 19, commi 1 e 1.1, T.U.I. e 32, comma 3, D.Lgs. 25/2008: il tribunale, nel decidere la domanda di protezione speciale, ha escluso la rilevanza degli “affetti familiari” e del “vincolo familiare” dedotti dal ricorrente opinando che in assenza di patto di convivenza non potesse ritenersi raggiunta una prova sufficiente di un effettivo legame di coppia o di una convivenza di fatto e qualificando il vincolo dedotto come mera coabitazione, non equiparabile a una convivenza more uxorio; una simile decisione ha svuotato di contenuto – in tesi di parte ricorrente – il diritto al rispetto della vita familiare del ricorrente, senza considerare che la nozione di “famiglia” di cui all’art. 8 CEDU non è limitata soltanto alle relazioni fondate sul matrimonio e può comprendere altri legami familiari di fatto, in cui le parti convivono fuori dal matrimonio.
Il tribunale, preso atto che il ricorrente aveva compiuto ogni ragionevole sforzo al fine di documentare l’esistenza e l’effettività del proprio vincolo familiare (producendo, unitamente al certificato contestuale di residenza e stato di famiglia, anche una dichiarazione di convivenza a firma della compagna), ove avesse nutrito dei dubbi su esistenza, natura ed effettività del vincolo familiare dedotto, avrebbe potuto disporre l’esame suo e della convivente, in aderenza ai principi generali applicabili in questa materia.
4. Il motivo merita accoglimento nei limiti che si vanno ad illustrare.
4.1 Questa Corte ha avuto modo recentemente di chiarire, in tema di protezione speciale o complementare, che ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, T.U.I., nel testo vigente ratione temporis (ossia prima dell’entrata in vigore del d.l. 20/2023, conv. nella l. 50/2023), il parametro del vincolo familiare del cittadino straniero nel territorio nazionale ha un rilievo autonomo rispetto a quello del suo inserimento socio-lavorativo, atteso che il primo profilo inerisce al rispetto della vita familiare, mentre il secondo è riconducibile al diverso ambito del diritto al rispetto della vita privata; di conseguenza, la tutela dovrà accordarsi anche nell’ipotesi della sola ricorrenza del vincolo familiare, sempre che tale vincolo – che non deve quindi necessariamente ricorrere simultaneamente e in via cumulativa con i requisiti relativi all’integrazione sociale e lavorativa – abbia le concrete connotazioni previste dalla norma, quanto a natura ed effettività, sì da integrare un radicamento affettivo (Cass. 30736/2023).
La statuizione impugnata non ha affatto inteso svuotare di contenuto – come sostiene il mezzo in esame – il diritto al rispetto della vita familiare del ricorrente, negando che quest’ultima possa comprendere “legami familiari” di fatto in cui le parti convivono fuori dal matrimonio.
Il tribunale, al contrario, dopo aver sottolineato la distinzione esistente fra mera coabitazione e convivenza more uxorio, ha esplicitamente riconosciuto (laddove ha fatto riferimento a “un effettivo legame di coppia o di una convivenza di fatto, astrattamente meritevole di tutela”) che una simile condizione rientrasse fra i legami familiari di fatto che integrano l’esistenza di un vincolo familiare e giustificano il riconoscimento della protezione speciale di cui all’art. 19, commi 1.1 e 1.2, T.U.I. nel testo applicabile ratione temporis.
L’ostacolo al riconoscimento della forma di protezione richiesta stava, invece, nella mancanza di una “prova sufficiente” di un simile legame, giacché il certificato di residenza/stato di famiglia depositato non poteva ritenersi rappresentativo di una relazione significativa, in assenza di una dichiarazione anagrafica di costituzione di nuova convivenza, nel senso prescritto dagli artt. 4, comma 1, e 13, comma 1, lett. b), D.P.R. 223/1989.
Questa valutazione, oltre a non essere stata oggetto di alcuna specifica critica da parte dell’odierno ricorrente, non si presta neppure a censure, perché la certificazione concernente la residenza e lo stato di famiglia degli iscritti nell’anagrafe nazionale della popolazione residente di cui all’art. 33 D.P.R. 223/1989 non può certo avere valore rappresentativo di quanto non sia mai stato oggetto di dichiarazione anagrafica.
4.2 Rimane, tuttavia, che la mera coincidente residenza dichiarata dall’odierno ricorrente e dalla connazionale costituiva un mero indizio della loro convivenza more uxorio, che, pur non essendo di per sé sufficiente ad assolvere l’onere probatorio gravante sul richiedente asilo, poteva concorrere, unitamente ad altri elementi, a fornire la dimostrazione di tale condizione.
Occorreva, perciò, considerare le risultanze di tale certificato, nel loro limitato valore, unitamente agli altri elementi disponibili al fine di verificare se la complessità della congerie istruttoria potesse condurre a ritenere raggiunta la prova dell’esistenza di una vita familiare.
Risulta così censurabile il fatto che il tribunale, pur avendo dato conto della presenza agli atti anche di una dichiarazione della compagna del Im., non si sia curato di apprezzarne il contenuto e la significatività onde stabilire se la stessa, insieme al certificato prodotto, fosse in grado di integrare la prova ritenuta non raggiunta.
5. Il provvedimento impugnato, dunque, deve essere cassato, con rinvio al Tribunale di Roma, il quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/2003 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma il 24 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2024.
