Massima

La donazione di bene altrui (a non domino), sebbene non espressamente disciplinata, è affetta da nullità (ai sensi dell’art. 1418, comma 2, cod. civ.) per mancanza della causa tipica del negozio, in quanto difetta l’elemento costitutivo dell’arricchimento del donatario con correlativo depauperamento del donante. Tale nullità non è equiparabile alla mera inefficacia.

Supporto alla lettura

DONAZIONE

Si tratta di un negozio giuridico, disciplinato dall’art. 769 c.c., con il quale una parte (c.d donante) arricchisce intenzionalmente l’altra (c.d. donatario) senza conseguire un corrispettivo.

Elementi del contratto di donazione sono:

  • lo spirito di liberalità (animus donandi): si tratta dell’intento altruistico di beneficiare il donatario;
  • l’arricchimento: è l’incremento del patrimonio del donatario.

Esiste anche la c.d. donazione indiretta, il caso più frequente è quello della vendita di una cosa a un prezzo inferiore al suo valore (negotium mixtum cum donatione). Rientrano nella donazione indiretta anche il pagamento di un debito altrui (es. il genitore che paga un debito del figlio), la remissione del debito (es. il creditore cancella un debito al suo debitore), il procurare l’acquisto di un bene a un terzo o, intervenendo all’atto di acquisto per pagare il relativo prezzo, o fornendo al terzo il denaro necessario per l’acquisto, o apponendo al contratto di acquisto una clausola che comporti l’intestazione del bene a favore del terzo che si intende beneficiare (c.d. contratto a favore del terzo).  Oltre alla sproporzione oggettiva fra le due prestazioni, serve che questa sproporzione sia voluta dalla parte che la subisce, allo scopo di dar vita a una liberalità. Questo fine è necessario che sia noto alla controparte. La donazione indiretta non soggiace a tutte le norme in tema di donazione, ma soltanto ad alcune, soprattutto quelle in tema di riduzione e collazione. Non necessita della forma pubblica.

La “capacità di donare” è regolata dai principi generali, infatti, non possono donare i minori, gli interdetti, gli inabilitati e gli incapaci naturali. Parziale eccezione è prevista per le donazioni obnuziali (cioè quelle fatte a causa di matrimonio) che sono valide se fatte con l’assistenza di chi esercita la potestà (o la tutela o la curatela) le donazioni fatte nel contratto di matrimonio dal minore o dall’inabilitato.

Le persone giuridiche possono donare se così è previsto nello statuto o nell’atto costitutivo, e nei limiti di tali discipline.

La donazione è un atto personale del donante: perciò, la scelta del donatario o dell’oggetto della donazione deve essere frutto dell’esclusiva volontà del donante, quindi non è una decisione che può essere rimessa al rappresentante.

L’oggetto della donazione non può essere un bene futuro (art. 771 c.c.), mentre può essere costituito da tutti i beni presenti nel patrimonio (c.d. donazione universale), cioè si fa riferimento ai singoli beni che compongono il patrimonio, essendo esclusa l’indeterminatezza dell’oggetto della donazione. Per quanto riguarda la donazione dell’azienda, invece, si deve fare riferimento, ai fini della determinazione dell’oggetto della donazione, non solo al valore dei beni che compongono l’azienda, bensì anche al valore dell’avviamento.

In merito alla forma, la donazione richiede sempre l’atto pubblico a pena di nullità (art. 782 c.c.), sia quando ha per oggetto immobili sia mobili, alla presenza di due testimoni, questo perchè il donante deve rendersi conto della gravità della scelta che compie (infatti questa forma solenne non è richiesta per le donazioni di modico valore aventi ad oggetto beni mobili o immobili specifici).

La donazione si perfeziona con l’accettazione, fino a questo momento è ammessa la revoca dell’offerta; è altresì ammessa la revoca tempestiva dell’accettazione, che costituisce certamente un atto recettizio. È ammessa l’irrevocabilità convenzionale dell’offerta.

Vista la gratuità del contratto, l’inadempimento del donante è regolato meno duramente rispetto a quello del comune debitore, infatti il donante inadempiente risponde per dolo o colpa grave (art. 789 c.c.).

La donazione, come ogni contratto, può sciogliersi solo per le cause previste dalla legge. In due casi ne è ammessa la revoca: ingratitudine del donatario e sopravvenienza di figli.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato il 15/11/2011, la Cu. del Fallimento della (omissis) Costruzioni Srl, esponeva che:

– con sentenza n. 113 del 3/11/2008, il Tribunale di Bari aveva dichiarato il fallimento di detta Società;

– che essa era proprietaria di un appartamento e della pertinenziale autorimessa, con sovrastante lastrico solare ed entrostante volume tecnico, siti in R, via Pi Snc;

– che detto immobile era stato trasferito ai coniugi Ra.An. e Ca.Gi. con atto del 28/7/1999 al prezzo di Lire 190 milioni;

– che, con sentenza n. 77/2006 dell’8/5/2006, il Tribunale di Bari -Sezione distaccata di Rutigliano, aveva dichiarato la risoluzione del relativo contratto;

– che i predetti coniugi avevano, pertanto, proposto istanza di insinuazione al passivo fallimentare, venendo immessi in via chirografaria nello stato passivo reso esecutivo il 7/7/2009;

– che, con note del 29/5/2009 e del 28/12/2010, la Cu. attrice aveva chiesto la restituzione dei beni;

– che, dall’esame delle visure ipotecarie, era emerso che i predetti coniugi, con atto del 26/11/2008, avevano donato la nuda proprietà dell’immobile alla propria figlia Ra.Mi.e che, con successivo atto di compravendita dell’11/6/2009, i medesimi coniugi e la figlia Mi. avevano trasferito, ciascuno per il proprio titolo, l’intera proprietà del compendio a Ra.Ma., fratello di Ca.Gi., per il prezzo, comunque incongruo, di Euro 90.000,00, senza che vi fosse prova del relativo pagamento; tanto premesso, la citata Cu. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Bari – Sezione distaccata di Rutigliano, Ra.An., Ca.Gi., Ra.Mi.e Ra.Ma. perché:

– venisse accertato e dichiarato che essa Cu. era proprietaria del suddetto complesso immobiliare e che nessun diritto potevano vantare i convenuti, chiedendo che il Ra.Ma. venisse condannato alla sua restituzione;

– in subordine, venisse accertata e dichiarata la nullità ed inefficacia dell’atto di donazione stipulato il 26/11/2008 per violazione dell’art. 771 cod. civ., nonché la nullità ed inefficacia sia del succitato atto di donazione, sia dell’atto di compravendita dell’11/6/2009 per violazione della norma imperativa penale di cui all’art. 232 L.F. ovvero per mancanza, nell’oggetto, dei requisiti di cui all’art. 1346 cod. civ. ossia per l’illiceità della causa contraria a norme imperative ovvero per la sussistenza di motivo illecito comune a tutte le parti contrattuali;

– venisse, di conseguenza, dichiarata la retrocessione del compendio immobiliare in favore della Cu. attrice e ordinata al Ra.Ma. la restituzione del compendio immobiliare;

– in via ancora più gradata, venisse accertata e dichiarata la simulazione assoluta dell’atto di donazione stipulato il 26/11/2008 e, per l’effetto la nullità, l’inesistenza e l’inefficacia degli atti in questione, ordinando al Ra.Ma. la restituzione del compendio immobiliare nella piena disponibilità della Cu.;

– in via ulteriormente subordinata, venissero revocati i suddetti atti ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. e/o dell’art. 66 L.F. e, per l’effetto, perché gli stessi fossero dichiarati inefficaci nei confronti della massa dei creditori del fallimento della Sorino Costruzioni Srl, con ordine al Ra.Ma. di provvedere alla restituzione, in favore della Cu., del compendio;

– in estremo subordine e in caso di mancata restituzione e/o retrocessione degli immobili in favore della Cu. attrice ovvero di ritenuta validità e/o efficacia e/o opponibilità dell’atto di compravendita stipulato in favore di Ra.Ma., perché i convenuti Ra.An., Ca.Gi. e Ra.Mi.venissero condannati, anche in solido tra loro, all’ulteriore risarcimento del danno in favore della Cu. attrice, da determinarsi per equivalente in misura pari al valore del bene immobile trasferito illegittimamente in favore di Ra.Ma.;

– in ogni caso, perché i convenuti venissero condannati, anche in solido tra loro, al risarcimento dei danni ex art. 2043 cod. civ. per la protrazione dell’illegittima occupazione a far data dalla sentenza di risoluzione contrattuale, stante la mancata percezione dei frutti e a causa della ritardata realizzazione delle attività fallimentari a scapito dei creditori, con prova del maggior pregiudizio specifico subito da determinarsi anche in via equitativa ex art. 1226 cod. civ. Si costituirono in giudizio, con separate comparse di risposta, Ra.An., Ca.Gi. e Ra.Mi., da un lato, e Ra.Ma. dall’altro, chiedendo entrambi il rigetto delle domande ed eccependo, quanto a Ra.Ma., l’intervenuta trascrizione della domanda in data successiva a quella dell’atto di disposizione, con conseguente sua priorità ex art. 2644 cod. civ. . Con sentenza n. 149/2019 (pubblicata il 15/1/2019), il Tribunale di Bari accolse la domanda principale della Cu. attrice e, previa declaratoria della sussistenza del diritto di proprietà del compendio immobiliare in capo alla stessa, condannò Ra.Ma. alla sua restituzione e rigettò la domanda risarcitoria perché non provata.

2. Il giudizio di appello, instaurato da Ra.An., Ca.Gi., Ra.Mi. e Ra.Ma. con atto di citazione notificato il 16/7/2019, si concluse, nella resistenza della Cu. fallimentare (che chiese il rigetto dell’appello, proponendo, in subordine, le medesime domande dichiarate assorbite con l’impugnata decisione), con l’emissione della sentenza n. 593/2021 (pubblicata il 24/3/2021), con la quale la Corte d’Appello di Bari rigettò il gravame.

Per quanto ancora qui rileva, la Corte territoriale riteneva di non accogliere l’eccezione di arricchimento senza causa, sollevata dagli appellanti, sul presupposto che, una volta travolto il diritto di proprietà di Ra.An. e Ca.Gi. per effetto della risoluzione del relativo contratto, la società non avrebbe potuto pretendere la restituzione del compendio senza avere a sua volta restituito il prezzo e pagato i danni, come disposto nella relativa sentenza, non essendo in proposito sufficiente l’insinuazione al passivo, siccome incerta nell’esito e nei tempi, sostenendo che mancasse il requisito della sussidiarietà dell’azione, riferibile non agli strumenti processuali per far valere il titolo, ma all’assenza di un titolo e di azioni sostanziali per far valere il diritto, con la conseguenza che, non essendo detta azione utilizzabile in caso di insolvenza dell’obbligato, non poteva trovare ingresso nella specie, essendo gli obblighi restitutori realizzabili attraverso le azioni esecutive.

Quanto poi al rapporto tra atto di donazione, domanda di nullità della stessa e trascrizione, la Corte barese affermava che la trascrizione della donazione prima della domanda di nullità non fosse idonea a sanare il vizio originario di quell’atto che, essendo a non domino, era affetto da nullità, in quanto, nel caso di conflitto tra acquisto a domino e acquisto a non domino del medesimo bene, non opera l’istituto della trascrizione, siccome intesa a risolvere il conflitto tra soggetti che abbiano acquisito lo stesso diritto con diversi atti dal medesimo proprietario, ma quello sancito dall’art. 2652, comma 1, n. 6, cod. civ., che consente al terzo di buona fede che abbia acquistato un diritto in base ad un atto, oggetto della domanda di nullità, di non essere pregiudicato dalla trascrizione di questa quando la trascrizione del proprio atto sia antecedente di cinque anni rispetto alla trascrizione della domanda, quinquennio che, nella specie, non era ancora decorso.

3. Contro la predetta sentenza di appello, Ra.An., Ca.Gi., Ra.Mi.e Ra.Ma. hanno proposto un congiunto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

La Cu. del fallimento (omissis) COSTRUZIONI Srl ha resistito con controricorso.

Il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.

In seguito a tale comunicazione, i ricorrenti, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, hanno chiesto la decisione del ricorso.

Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte di appello ha rigettato l’eccezione di ingiustificato arricchimento che i ricorrenti, a fronte della domanda restitutoria della Cu., avevano sollevato sul presupposto che quest’ultima non avesse dato esecuzione alla sentenza di risoluzione n. 77/2006 che aveva posto a suo carico l’obbligo di restituzione del prezzo della compravendita e di pagamento dei danni, rispetto ai quali avevano notificato precetto il 19/10/2006.

I ricorrenti hanno contestato la sentenza impugnata, che ha escluso la possibilità di sollevare eccezione di arricchimento senza causa in quanto mancante, nella specie, del requisito della sussidiarietà, potendo il credito dagli stessi vantato essere soddisfatto con azione esecutiva e, in caso di fallimento, mediante i rimedi propri della procedura fallimentare, sostenendo che il Fallimento si sarebbe così avvantaggiato del proprio inadempimento alla restituzione del prezzo e al risarcimento del danno, ottenendo altresì la restituzione dell’immobile, posto che l’insinuazione al passivo, peraltro in via chirografaria, non rendeva certo il pagamento e neppure il momento in cui questo si sarebbe verificato.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 796,771,1418,2644 e 2652 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per aver Corte di merito dichiarato la nullità della donazione della nuda proprietà degli immobili, effettuata dai coniugi Ra. – Ca. nei confronti della figlia Ra.Mi. il 26/11/2008, e vanificato, di conseguenza, gli effetti dell’acquisto del bene da parte di Ra.Ma. dell’11/6/2009, sostenendo che la donazione, siccome avvenuta a non domino, fosse affetta da nullità per difetto di causa e ritenuto applicabile, quanto all’atto di Ra.Ma., l’art. 2652, comma 1, n. 6, cod. civ., con l’effetto che questo era stato travolto dalla nullità della donazione, per essere stata la relativa domanda trascritta nel quinquennio dalla data di trascrizione dell’atto di liberalità.

Ad avviso dei ricorrenti, la donazione effettuata dai Ra.- Ca. non si sarebbe dovuta considerare nulla per mancanza di causa, in quanto, essendo avvenuta a non domino, era da ritenersi meramente inefficace e inopponibile al proprietario, con conseguente necessità di modificare l’orientamento contrario affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 5068/2016). Peraltro, dalla qualificazione in termini di inefficacia e non di nullità della donazione a non domino derivava anche l’inapplicabilità dell’art. 2652, comma 1, n. 6, cod. civ., rilevando invece il n. 1 di questa disposizione, il quale dispone che le sentenze che accolgono le domande in esso previste – tra le quali quelle di risoluzione – non pregiudicano i diritti dei terzi in base ad atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale. Da ciò sarebbe dovuto conseguire che la pretesa restitutoria della Cu. non poteva prevalere rispetto al successivo atto di compravendita dell’11/6/2009, trascritto il 16/6/2009, non essendo stata trascritta la sentenza di risoluzione del 17/8/2006. In subordine, avrebbe comunque dovuto trovare applicazione la fattispecie di cui all’art. 2644 cod. civ., vantando tanto la Cu., quanto Ra.Mi. e Ra.Ma. diritti reali sugli stessi immobili ed essendo tutti aventi causa dai coniugi Ra.An. e Ca.Gi., posto che la Cu. aveva acquistato a titolo derivativo per effetto della risoluzione del contratto stipulato in precedenza dalla società con i predetti ed avendo Ra.Mi. e Ra.Ma. acquistato in forza rispettivamente di donazione del 28/11/2008 e compravendita in data 11/6/2009.

3. La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. è del seguente tenore: “INAMMISSIBILITÀ e/o MANIFESTA INFONDATEZZA del ricorso avverso pronuncia di accoglimento di domanda principale di rivendicazione e di accertamento dell’inefficacia della compravendita del 28.7.1999 in favore degli odierni ricorrenti e dei successivi atti dispositivi compiuti da questi ultimi, nonché di rigetto della domanda riconvenzionale di ingiustificato arricchimento (doppia conforme). Primo motivo: inammissibile, o comunque manifestamente infondato, perché contesta il rigetto della domanda riconvenzionale, sulla base dell’assunto che, nonostante l’insinuazione al passivo del credito derivante dalla mancata restituzione del corrispettivo versato a fronte del contratto del 28.7.1999, nulla fosse stato effettivamente restituito agli odierni ricorrenti, con conseguente loro impoverimento ed arricchimento del fallimento controricorrente. La censura non tiene conto che, in presenza di una procedura fallimentare, tutte le domande implicanti la condanna del fallimento al pagamento, o alla restituzione, di una somma di denaro o di una cosa determinata, vanno proposte nelle forme prescritte dall’art. 93 L.Fall., con eventuale proposizione di impugnazione nelle forme di cui al successivo art. 98 L.Fall. Il credito da restituzione, dunque, poteva essere fatto valere soltanto nelle predette forme. Va inoltre considerato che non è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa in presenza di una azione tipica (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 843 del 17/01/2020, Rv. 656686; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4620 del 22/03/2012, Rv. 622110; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 27827 del 22/11/2017, Rv. 647025; nonché Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11038 del 09/05/2018, Rv. 649025, che estende il medesimo criterio anche all’ipotesi in cui esista comunque una azione esperibile nei confronti di altri soggetti). A ciò si aggiunte che l’arricchimento senza causa, alle condizioni previste dagli artt. 2041 e 2042 cod. civ., può essere fatto valere, anche dalla Cu. del fallimento, sia in via d’azione che di eccezione riconvenzionale, al solo scopo di paralizzare la domanda dell’attore (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 29114 del 05/12/2017, Rv. 646193; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11850 del 29/11/1993, Rv. 484549). Il creditore del fallimento, invece, potendo proporre reclamo al Tribunale fallimentare ex art. 26 L.Fall. avverso il decreto con il quale il giudice delegato ha reso esecutivo il piano di riparto, non può agire in sede ordinaria per arricchimento senza causa della procedura fallimentare (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4648 del 26/05/1997, Rv. 504683). Ed inoltre, dopo l’approvazione del piano di riparto fallimentare, in caso di sua mancata impugnazione nei termini di legge e di conseguente chiusura della procedura concorsuale, “… rimane preclusa ai creditori concorrenti, ancorché pretermessi, la possibilità di far valere in separato giudizio le proprie ragioni -invero attinenti a rapporti giuridici ormai definiti nell’ambito della procedura medesima- mediante inammissibili azioni di ripetizione dell’indebito o arricchimento senza causa nei confronti del creditore avvantaggiato nel concorso e del curatore del fallimento” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 31659 del 04/12/2019, Rv. 656125). Secondo motivo: inammissibile, o comunque manifestamente infondato, in quanto con esso si attinge la statuizione con la quale la Corte di Appello ha ritenuto inefficaci, nei confronti del fallimento, anche gli atti dispositivi posti in essere dagli odierni ricorrenti, senza valorizzare la condizione di buona fede di Ra.Mi., che aveva ricevuto la nuda proprietà del cespite controverso in virtù di donazione dai genitori, e di Ra.Ma., che lo aveva acquistato, sempre dai genitori, pure in buona fede. La Corte distrettuale ha ritenuto nulla la donazione eseguita in favore di Ra.Mi., in assenza della proprietà del cespite in capo ai donanti, ed ha applicato, quanto all’acquisto fatto da Ra.Ma., la norma di cui all’art. 2652, secondo comma, c.c., valorizzando la circostanza che la domanda volta a far valere la nullità dell’atto dispositivo soggetto a trascrizione era stata trascritta entro il quinquennio dalla trascrizione dell’atto impugnato, con conseguente irrilevanza della condizione di buona fede del terzo acquirente (rilevante, invece, soltanto in relazione all’ipotesi in cui la domanda fosse stata trascritta dopo il quinquennio).”.

4. Rileva, innanzitutto, il collegio che non può aver seguito l’eccezione di inammissibilità del ricorso – formulata dalla controricorrente – per violazione dell’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., poiché con nessuno dei due motivi risulta denunciato un vizio riconducibile al n. 5 dell’art. 360 c.p.c..

5. Ciò premesso, il primo motivo va ritenuto infondato.

I ricorrenti insistono, in particolare, per la fondatezza dell’eccezione di arricchimento senza causa, sollevata in relazione alla mancata restituzione, da parte della società, del prezzo da essi già corrisposto e del pagamento dei danni posti a suo carico dalla sentenza di risoluzione n. 77/2006, emessa dal Tribunale di Bari, in virtù della quale la Cu. del Fallimento aveva agito al fine di ottenere il rilascio dell’immobile che ne era oggetto. A tal proposito si osserva che, se è vero che la risoluzione del contratto di compravendita comporta, ai sensi dell’art. 1493 cod. civ., l’obbligo del venditore di integrale restituzione delle somme percepite per il prezzo della cosa compravenduta (Cass., Sez. 2, 23/12/1993, n. 12759; Cass., Sez. U, 4/12/1992, n. 12942), è altrettanto vero che, nel caso di insolvenza, il quale costituisce il presupposto del fallimento, rimane al creditore la possibilità di esercitare l’azione insinuandosi al passivo, come correttamente affermato nella proposta ex art. 380-bis cod. proc. civ. (v., di recente, anche Cass., Sez. 6-3, 26/3/2021, n. 1708), atteso che, ai sensi dell’art. 52 L.F., il “fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito” e che “ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell’art. 111, primo comma, n. 1, nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V (artt. 92-103), salvo diverse disposizioni di legge”. La suddetta disposizione, che assoggetta l’accertamento del credito verso l’impresa sottoposta alla procedura concorsuale allo speciale e inderogabile procedimento di verificazione dello stato passivo, risponde infatti all’esigenza di concentrare davanti ad un unico organo, individuato attraverso il procedimento stabilito dalla legge speciale, tutte le azioni dirette a far valere diritti di credito sul patrimonio del debitore insolvente, per assicurare, anche nella successiva fase di cognizione, il concorso necessario dei creditori (e dei titolari di diritti reali mobiliari), con il contraddittorio potenzialmente esteso a tutti i creditori concorrenti, e realizzare così, nel simultaneus processus, il principio della par condicio creditorum (Cass., Sez. 1, 24/6/2015, n. 13089; Cass., Sez. 1, 17/2/2011, n. 3918; Cass., Sez. U, 6/6/2003, n. 9070), implicando, dunque, la domanda di ammissione al passivo, descritta tipicamente dall’art. 93 L.F., una richiesta di accertamento non solo dell’esistenza del credito dell’istante, ma anche dell’idoneità concorsuale del medesimo, intesa come attitudine a beneficiare del soddisfacimento concorsuale cui la procedura è volta (Cass., Sez. 6-1, 11/11/2021, n. 33475). Peraltro, in seguito all’approvazione del piano di riparto fallimentare e della sua mancata impugnazione nei termini di legge, con susseguente chiusura della procedura concorsuale, che non è altro che una procedura esecutiva collettiva, rimane preclusa ai creditori concorrenti, ancorché pretermessi, la possibilità di far valere in separato giudizio le proprie ragioni – invero attinenti a rapporti giuridici ormai definiti nell’ambito della procedura medesima – mediante inammissibili azioni di ripetizione dell’indebito o arricchimento senza causa nei confronti del creditore avvantaggiato nel concorso e del curatore del fallimento (Cass., Sez. 1, 4/12/2019, n. 31659), essendo detta procedura caratterizzata, al pari di quella esecutiva individuale, da una serie di scansioni procedimentali ben determinate ed assimilabili a quelle della procedura esecutiva individuale, con una piena equiparazione dei mezzi di tutela offerti agli interessati avverso i provvedimenti del giudice delegato, (reclamo ex art. 26 legge fall.), a quelli esperibili nell’ambito del procedimento di esecuzione forzata (opposizione agli atti esecutivi) (vedi Cass., 22/01/2009, n. 1610; Cass., 13/09/2006, n. 19667).

A ciò si aggiunga che l’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2042 cod. civ., che è un rimedio restitutorio mirante a neutralizzare lo squilibrio determinatosi, in conseguenza di diversi atti o fatti giuridici, tra le sfere patrimoniali di due soggetti, nei limiti – per l’appunto – dell’arricchimento che non sia sorretto da una “giusta causa”, ha carattere sussidiario ed è proponibile ove la diversa azione – sia essa fondata sul contratto ovvero su una specifica disposizione di legge ovvero ancora su clausola generale – si riveli carente ab origine del titolo giustificativo, imponendo la regola della sussidiarietà di affermare che, se l’impoverito dispone di altre difese, l’azione di arricchimento non può essere esercitata, e ciò vale anche se le altre difese, già pertinenti al soggetto, siano andate perdute, come appunto nel caso della prescrizione e che concedere in questi casi l’azione di arricchimento significherebbe frustrare la finalità di quegli istituti, che consiste proprio nel determinare la perdita di un diritto a danno di chi non lo ha esercitato (Cass., Sez. U, 5/12/2023, n. 33954; Cass. Sez. 3, 18/10/2024, n. 27008).

A tali principi si è attenuta, nella specie, la Corte distrettuale, allorché ha valorizzato la natura residuale dell’azione di arricchimento, escludendone l’ammissibilità nel caso in esame per avere gli appellanti rimedi tipici a tutela del proprio diritto derivante da sentenza definitiva di risoluzione con obbligo restitutore ex art. 2033 cod. civ., ossia l’insinuazione nel passivo fallimentare, come di fatto avvenuto mediante la domanda proposta il 5/6/2009 con la quale avevano chiesto la collocazione nella procedura fallimentare del loro credito restitutorio e risarcitorio. 6. Il secondo motivo è parimenti infondato.

6.1. Al riguardo, occorre evidenziare come questa Corte, con costante orientamento, si sia sempre espressa nel senso di ritenere la donazione di bene altrui, ancorché non espressamente disciplinata, nulla alla luce della complessiva disciplina dell’istituto e, in particolare, dell’art. 771 cod. civ. (in tal senso, cfr. Cass., Sez. 2, 5/5/2009, n. 10356; Cass., Sez. 2, 20/12/1985; Cass., Sez. 2, 12/6/1979, n. 3315).

Tale orientamento è stato confermato di recente anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, che, con sentenza del 15/3/2016, n. 5068, hanno chiarito come detta invalidità non derivi dall’applicazione, in via analogica, della nullità prevista dall’art. 771 cod. civ. per la donazione di beni futuri, ma dalla mancanza della causa del negozio di donazione, essendone elementi costitutivi sia l’arricchimento del terzo con correlativo depauperamento del donante, sia lo spirito di liberalità, il cosiddetto animus donandi, che connota il depauperamento del donante e l’arricchimento del donatario e che, nella giurisprudenza di questa Corte, va ravvisato nella consapevolezza dell’uno di attribuire all’altro un vantaggio patrimoniale in assenza di qualsivoglia costrizione, giuridica o morale (Cass. n. 8018 del 2012; Cass. n. 12325 del 1998; Cass. n. 1411 del 1987; Cass. n. 3621 del 1980), e dovendosi, perciò, applicare l’art. 1418, secondo comma, cod. civ., allorché sancisce la nullità del contratto quando manchino i requisiti di cui all’art. 1325 cod. civ., tra cui per l’appunto la causa (v. anche Cass., Sez. 2, 5/1/2017, n. 144).

La suddetta pronuncia delle SU ha, peraltro e condivisibilmente escluso la correttezza dell’isolato indirizzo espresso da Cass. n. 1596 del 2001 (invece valorizzato dai ricorrenti), che ha ascritto la donazione di cosa altrui nell’ambito della categoria dell’inefficacia, presupponente, dunque, la validità dell’atto, non essendosi esso posto il problema della compatibilità di un tale negozio con la causa del contratto di donazione stesso.

Può, dunque, dirsi che l’atto di acquisto di Ra.Mi.non era inefficace, come dedotto dai ricorrenti, ma nullo in quanto proveniente a non domino, per essere stato il titolo dei genitori Ra.An. e Ca.Gi., suoi danti causa, travolto dalla risoluzione dell’atto di acquisto di questi ultimi, sicché la sentenza di appello è, anche sotto questo profilo, corretta. 6.2. Ciò detto, occorre, altresì, chiarire come gli artt. 2644 e 2652 cod. civ. si riferiscano a situazioni tutt’affatto differenti: mentre il principio della continuità delle trascrizioni dettato dalla prima disposizione, con riferimento agli atti indicati nell’art. 2643 cod. civ., risolve unicamente il conflitto fra più acquisti a titolo derivativo dal medesimo dante causa nel caso in cui manchi la trascrizione del titolo dell’autore remoto (Cass., Sez. 2, 16/3/2022, n. 8590; Cass., Sez. 2, 03/02/2005, n.2161; Cass., sez. 2, 28/01/1985, n.443), le situazioni contemplate dalla seconda disposizione, che si rivolge alla proposizione di domande di risoluzione, rescissione, revocazione di donazione, simulazione, nullità o annullamento, si riferiscono al conflitto esistente non già tra due aventi causa dallo stesso soggetto, ma tra il dante causa e l’avente causa dall’avente causa, che è poi, nella specie, la parte convenuta, essendo la norma espressione del principio secondo il quale il processo non deve andare a danno dell’attore che ha ragione.

In siffatte situazioni, diverse sono le regole contemplate dall’art. 2652 cod. civ. a seconda della tipologia di domanda proposta, atteso che esso distingue, per quanto qui interessa, la fattispecie di cui al n. 1, dettato per le domande di risoluzione del contratto, da quella di cui al n. 6, riguardante la domanda diretta a far dichiarare la nullità di atti soggetti a trascrizione.

Solo il primo capoverso dell’art. 2652 cod. civ., secondo cui le sentenze che accolgono le domande indicate al n. 1 del primo comma (tra cui quelle dirette alla risoluzione dei contratti) non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi in base ad atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale, contiene l’identico principio espresso dall’art. 2644, primo comma, cod. civ., salva la possibilità, in caso di dolosa preordinazione ai danni del primo acquirente, di esperire l’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., ovvero l’azione di risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ. nei confronti dello stesso terzo acquirente (Cass., Sez. 2, 13/1/1995, n. 383), in quanto stabilisce che l’assenza di trascrizione della domanda giudiziale di risoluzione fa salvi gli acquisti compiuti dai terzi in base ad atto trascritto o iscritto, senza che rilevi, ai fini dell’applicazione dell’art. 1458, secondo comma, cod. civ., la mancata trascrizione del titolo di acquisto del loro dante causa (Cass., Sez. 2, 30/5/2018, n. 13577). Il disposto di cui al citato n. 6 dello stesso art. 2652, comma 1, cod. civ., che disciplina gli effetti della trascrizione della domanda di accertamento della nullità degli atti soggetti a trascrizione, fa, invece, salvi i diritti che i terzi hanno acquistato dal titolare apparente con atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda suddetta, purché questa non sia stata trascritta nel quinquennio successivo alla data di trascrizione dell’atto impugnato, con lo scopo “di limitare l’efficacia retroattiva e l’opponibilità della pronunzia dichiarativa della nullità” (Cass., Sez. 2, 29/3/2024, n. 8580), sicché soltanto in presenza del duplice presupposto della trascrizione del titolo di acquisto e della mancata trascrizione della domanda dichiarativa della nullità entro il quinquennio (e solo a queste condizioni), è possibile attribuire al primo acquirente, sia ad ogni altro successivo avente causa, una posizione di piena tutela nei confronti della pretesa di invalidità del titolo del dante causa (Cass., Sez. 2, 29/3/2024, n. 8580, cit.). I soggetti qualificati terzi ai sensi dell’art. 2652, comma 1, n. 6, cod. civ. sono, in particolare, i soggetti estranei all’atto invalido, che siano aventi causa dell’acquirente, non quelli che non siano parti del giudizio che si apre con la domanda da trascrivere (Cass. Sez. 1, 20/05/1967, n. 1095; Cass. Sez. 3, 24/07/2007, n. 12074), con la conseguenza che, “a fronte della trascrizione della domanda volta ad ottenere l’accertamento della nullità del primario atto di vendita entro il termine di cinque anni dalla trascrizione dell’atto di cui si contesta l’invalidità, l’accoglimento della domanda travolge tutti i sub-acquisti che sono avvenuti successivamente, benché trascritti prima della trascrizione della domanda giudiziale” (Cass., Sez. 2, 29/3/2024, n. 8580, cit.; vedi anche Cass., Sez. 1, 12/5/1973, n. 1301; Cass., Sez. 1, 8/1/1970, n. 46). Ed è questa la situazione ravvisabile nella specie, atteso che l’atto di acquisto di Ra.Mi., fatto salvo dalla mancata trascrizione dell’azione di risoluzione del contratto di acquisto dei suoi danti causa in applicazione del n. 1 dell’art. 2652 cod. civ., è stato a sua volta attinto da una nuova domanda, quella di nullità della donazione, che, soggetta alla disciplina del successivo n. 6 della medesima disposizione, specificamente dettata per una siffatta situazione, non poteva che regolare il diverso conflitto venutosi a creare tra il dante causa (la società) e l’avente causa (Ra.Ma.) dell’avente causa (Ra.Mi.) degli aventi causa convenuti nel giudizio di risoluzione (Ra.An. e Ca.Gi.).

Ai suddetti principi si è, perciò, correttamente attenuta la Corte di appello, allorché ha ritenuto che il conflitto tra la Cu. e Ra.Ma., subacquirente a seguito di un atto (quello di donazione) impugnato per nullità, andava risolto in base al criterio dettato dal più volte citato n. 6 del comma 1 dell’art. 2652 cod. civ..

In tal modo, il giudice di secondo grado ha legittimamente confermato la soluzione cui era giunto il Tribunale con la sentenza di primo grado, secondo cui, essendo stata – nella fattispecie – la domanda diretta a far dichiarare la nullità della donazione trascritta nel quinquennio dalla data di trascrizione dell’atto di liberalità (eseguita il 12.12.2008), ne era conseguito che anche il diritto acquistato dal Ra.Ma. in virtù dell’atto nullo doveva considerarsi inevitabilmente travolto in base al descritto meccanismo, e ciò a prescindere dalla sua buona fede. 7. In conclusione, alla stregua di tutte le complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico dei ricorrenti, in via tra loro solidale.

7. Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., vanno applicati – come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. – il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna dei ricorrente – sempre con vincolo solidale – al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura quantificata in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della Cassa delle ammende.

8. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Condanna, altresì, i medesimi ricorrenti, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ. e in via solidale, al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in Euro 2.000,00, nonché al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte di cassazione, in data 23 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2024.

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