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Cassazione penale sez. III, 20/11/2024, n. 1760

Massima

In tema di ricorso per cassazione avverso le ordinanze in materia di sequestro (probatorio o preventivo), ammesso solo per violazione di legge, costituisce vizio radicale della motivazione o error in iudicando l’annullamento dell’ordinanza di riesame che, confermando il decreto di convalida di sequestro, abbia illegittimamente qualificato la valuta virtuale Bitcoin come profitto diretto del reato di dichiarazione infedele (Art. 4 D.Lgs. n. 74/2000), consistente nell’ammontare dell’imposta evasa.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione, nel processo penale, disciplinato dagli art. 606 e ss. c.p.c, è un mezzo di impugnazione ordinario, costituzionalmente previsto avverso i provvedimenti limitativi della libertà personale ed esperibile negli altri casi previsti dal codice di procedura penale, tramite il quale l’impugnante lamenta un errore di diritto compiuto dal giudice nell’applicazione delle norme di diritto sostanziale (c.d. error in iudicando) o di diritto processuale (c.d. error in procedendo).

Legittimata a ricorrere è la parte che vi abbia interesse e conseguentemente le parti necessarie quali l’imputato (a mezzo di difensore abilitato al patrocinio avanti le giurisdizioni superiori) e il pubblico ministero. Altresì, possono proporre ricorso anche le parti ritualmente costituite come la parte civile, civilmente responsabile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria.

I giudici della Cassazione possono decidere soltanto nell’ambito dei motivi palesati dal ricorrente, in quanto il giudizio verte sulla fondatezza di tali motivi che devono corrispondere alle ipotesi tassativamente previste dall’art. 606 c.p.p.:

  • eccesso di potere;
  • error in iudicando;
  • error in procedendo;
  • mancata assunzione di una prova decisiva;
  • carenza o manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorso può essere presentato da una parte o da un suo difensore, che deve essere iscritto ad un albo speciale predisposto dalla Corte stessa, (in mancanza viene nominato uno d’ufficio), quindi il Presidente della Cassazione assegna il ricorso ad una delle sei sezioni della Corte a seconda della materia e di altri criteri stabiliti dall’ordinamento giudiziario. Se rileva l’inammissibilità del ricorso, lo assegna alla VII Sezione Penale (c.d. Sezione Filtro), composta dai magistrati di Cassazione delle altre Sezioni Penali che vi si alternano a rotazione biennale. Entro 30 giorni la sezione adìta si riunisce in Camera di Consiglio e decide se effettivamente esiste la causa evidenziata dal Presidente, in mancanza rimette gli atti a quest’ultimo. Come nel procedimento civile, la Cassazione si riunisce a “Sezioni Unite” quando deve decidere una questione sulla quale esistono pronunce contrastanti della Corte di Cassazione stessa o per questioni di importanza rilevante.

Qualora non si proceda in camera di consiglio, l’art. 614 c.p.p. prevede l’ovvia fase dibattimentale. Particolarità è che la sentenza non viene emanata dopo la chiusura del dibattimento, ma subito dopo il termine dell’udienza pubblica. Tuttavia il presidente può decidere di differire la deliberazione ad un’udienza successiva se le questioni sono numerose o particolarmente importanti e complesse.

Sono quattro i tipi di sentenza che la Corte può emettere:

  • di inammissibilità;
  • di rigetto;
  • di rettificazione;
  • di annullamento (con rinvio o senza rinvio).

Come per il procedimento civile, anche nel processo penale è previsto il “ricorso per saltum“, cioè dal primo grado direttamente in Cassazione (art. 569 c.p.p.), è importante precisare che non si può ricorrere per saltum per i motivi alle lettere d) ed e) dell’art. 606 c.p.p. (prove non ammesse in giudizi di grado inferiore e per illogicità o motivazione carente nella sentenza) in quanto la Cassazione ha potere cognitivo di merito molto ristretto.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 14 giugno 2024, il Tribunale di Firenze ha respinto il riesame cautelare proposto dal ricorrente avverso il decreto di convalida del sequestro emesso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze in data 23 maggio 2024, avente ad oggetto la somma di denaro pari ad Euro 120.638,20 quale controvalore al momento del trasferimento in Euro del BTC pari a 1,88805294, corrispettivo di imposte evase per l’anno di imposta 2021.

2. Avverso l’indicata ordinanza, Ma.Ro., a mezzo del difensore di fiducia, avvocato Giuseppe Vaciago, propone ricorso per cassazione, affidandosi a due motivi di ricorso.

2.1 Con il primo motivo, lamenta violazione di legge ex art. 325 co. 1 cod. proc. pen. per avere il Tribunale del riesame confermato il decreto di convalida del sequestro ex art. 355 cod. proc. pen., attribuendo illegittimamente alla valuta virtuale la natura di profitto di un reato tributario (pagina 4 dell’ordinanza impugnata).

Premette la difesa che il sequestro della valuta virtuale – 1,88805294 bitcoin – è stato operato e poi convalidato in quanto ritenuto il profitto del reato di cui all’art. 4 D.Lgs. n. 74/2000, per il quale il ricorrente risulta indagato. Precisa, inoltre, la difesa che se l’ammontare dell’imposta evasa rappresenta il profitto del reato ed è l’elemento fondamentale su cui si erge il costrutto normativo del contestato reato di cui all’art. 4 D.Lgs. n. 74/2000, l’attività di sequestro probatorio, per essere legittima, dovrebbe avere ad oggetto esclusivamente l’ammontare dell’imposta che si considera evasa, e cioè, nel caso in esame, l’individuata somma di Euro 120.638,20.

Diversamente, nel caso in esame, il sequestro probatorio, eseguito sostanzialmente per equivalente, ha avuto illegittimamente per oggetto un asset rappresentato da valuta virtuale bitcoin al posto dell’ammontare in Euro dell’imposta ritenuta evasa.

Osserva il ricorrente che le valute virtuali, tra cui bitcoin, sono una rappresentazione di valore non emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non necessariamente legata ad una valuta legalmente istituita, che non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente, in sostanza un asset digitale non assimilabile alla valuta corrente di uno Stato. Pertanto, nel caso di specie, la criptovaluta è stata considerata illegittimamente al pari dell’unica moneta avente corso legale all’interno dello Stato italiano, cioè l’Euro, senza nemmeno dar peso al fatto, per nulla trascurabile, che il controvalore in Euro di bitcoin è soggetto a continue fluttuazioni.

2.2 Con il secondo motivo, lamenta violazione di legge ex art. 325 co. 1 cod. proc. pen. per avere il Tribunale del riesame motivato solo apparentemente la propria ordinanza (pagine 3 – 4 dell’ordinanza impugnata).

Lamenta il ricorrente che il Tribunale si sofferma diffusamente sulla ritenuta sussistenza del fumus e del periculum, senza nulla dire sulle ragioni di diritto che lo avrebbero portato a condividere l’orientamento dell’organo requirente, ritenendo la criptovaluta bitcoin alla stregua di profitto del reato suscettibile di sequestro, e sul perché le ragioni di diritto poste a base dalla difesa a sostegno della richiesta di riesame non sarebbero fondate.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

I motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono fondati nei termini di seguito indicati.

1. In via preliminare, deve richiamarsi la costante affermazione di questa Corte (cfr. ex plurimis Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Non può invece essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di cui alla lett. E) dell’art. 606 cod. proc. pen. (in tal senso, cfr. Sez. Un. n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226710).

2. Occorre premettere altresì che il sequestro qualificato come probatorio dal pubblico ministero ha riguardato delle criptovalute per un controvalore, al momento del sequestro, di Euro 120.635,25, importo ritenuto corrispondente all’imposta evasa nell’anno di imposta 2021 rispetto ad una plusvalenza, derivante da operazioni di trading di criptovalute, quantificata in Euro 463.993,06.

Sul concetto di moneta virtuale Sez. 2, n. 44378 del 26/10/2022, Melis, Rv. 284124, precisa che, nella direttiva 2018/843/UE del 30 maggio 2018 (in modifica della c.d. IV direttiva antiriciclaggio), la criptovaluta viene definita come “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”; la ratio della norma vuole evidentemente disciplinare i rapporti tra moneta virtuale e moneta corrente, senza però correttamente definire il fenomeno (disciplinando “in negativo” le caratteristiche della moneta virtuale); il considerando n. 10 della Dir. antiriciclaggio dimostra l’assunto in quanto afferma che “sebbene le valute virtuali possano essere spesso utilizzate come mezzo di pagamento, potrebbero essere usate anche per altri scopi e avere impiego più ampio, ad esempio come mezzo di scambio, di investimento, come prodotti di riserva di valore o essere utilizzate in casinò online. L’obiettivo della presente direttiva è coprire tutti i possibili usi delle valute virtuali”.

La definizione che ne dà il legislatore italiano si rinviene nell’art. 1 del D.Lgs. 231/2007 come modificato dal D.Lgs. 4 ottobre 2019, n. 125 dove la moneta virtuale viene definita (lett. qq) “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”; si nota subito che tale definizione aggiunge, rispetto a quella del legislatore comunitario, espressamente la finalità di investimento.

La richiamata pronuncia Sez. 2, n. 44378 del 26/10/2022, nel descrivere i soggetti che operano nell’ambito delle valute virtuali, rileva che per exchanger si intende il soggetto che gestisce le piattaforme exchange, intendendosi per exchange la piattaforma tecnologica che permette di scambiare questo prodotto finanziario, la cui funzione, quindi, è quella di poter permettere di effettuare l’acquisto e la vendita delle criptovalute e di realizzare un profitto; sono stati inclusi i “prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale” tra i cc.dd. soggetti obbligati (art. 3, comma 5, lett. i), D.Lgs. n. 231/07) ad iscriversi in apposito registro tenuto presso l’OAM – Organismo competente in via esclusiva ed autonoma per la gestione degli Elenchi degli Agenti in attività finanziaria e dei Mediatori creditizi – con relativo obbligo di comunicazione al Ministero Economia e Finanze (art. 17 bis, comma 8 bis, D.Lgs. n. 141/2010): con la IV e la V Direttiva UE Antiriciclaggio, recepite rispettivamente con il D.Lgs. n. 90/2017 e con il D.Lgs. n. 125/2019, sono stati previsti specifici obblighi nei confronti dell’exchanger (cambiavalute di bitcoin et similia, definiti come ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da, ovvero in, valute aventi corso legale o in rappresentazioni digitali di valore, ivi comprese quelle convertibili in altre valute virtuali nonché i servizi di emissione, offerta, trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale all’acquisizione, alla negoziazione o all’intermediazione nello scambio delle medesime valute, art. 1, comma 2, lett. ff, D.Lgs. n. 231/2007) e del wallet provider (gestori di portafogli virtuali, definiti come ogni persona fisica o giuridica che fornisce, a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali, art. 1, comma 2, lett. ff bis)), entrambi inseriti nella categoria “altri operatori non finanziari”.

Si è, quindi, affermato che, ove le monete virtuali vengano utilizzate come strumenti di investimento finanziario, la negoziazione è soggetta al rispetto delle norme in materia di intermediazione finanziaria, ivi compresa la necessaria abilitazione del soggetto intermediario (Sez. 2, Sentenza n. 26807 del 17/09/2020, De Rosa, Rv. 279590.

Gli inconvenienti e i rischi collegati ai bitcoin sono, dunque, facilmente percepibili: essi non sono emessi da una banca centrale o da un’altra autorità pubblica e per essi non vige il principio nominalistico, essendo per lo più privi di regolamentazione, almeno di regolamentazione vincolante. Non svolgono le funzioni tipiche della moneta, di unità di conto e riserva di valore, per via della mancanza di potere liberatorio nei pagamenti e dell’estrema volatilità: non vi è chi possa stabilizzarne in via autoritaria i corsi e da qui discendono le oscillazioni del cambio che generano incertezze in sede di conversione.

3. Tanto premesso, l’ordinanza del Tribunale del riesame ha confermato il decreto di convalida del sequestro probatorio della somma pari a Euro 120.638,20 qualificata come corpo di reato, in quanto profitto del reato di cui all’art. 4 D.Lgs. n. 74 del 2000.

Tuttavia, l’ordinanza è, per un verso carente di motivazione in ordine al presupposto della finalità probatoria perseguita in funzione dell’accertamento dei fatti (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710), facendo rinvio agli atti di P.G. richiamati nel decreto di convalida di sequestro probatorio, senza illustrarne il contenuto, e, per altro verso, nel qualificare come profitto del reato di cui all’art. 4 D.Lgs. n. 74 del 2000 l’ammontare dell’imposta evasa collegata alle plusvalenze derivanti da operazioni di trading di criptovalute attraverso account aperti presso diversi exchange, afferma la sussistenza del nesso di derivazione tra i bitcoin sottoposti a sequestro ed il reato, senza adeguatamente confrontarsi con le critiche contenute nell’atto di gravame.

Coglie nel segno, infatti, il rilievo della difesa allorquando rileva l’inconciliabilità delle motivazioni del Tribunale del riesame che, valorizzando la sussistenza del nesso di derivazione tra l’oggetto del sequestro (bitcoin) e il reato, rispetto ad un profitto del reato consistente in un’imposta evasa quantificata in Euro 120.638,20, finiscono con il legittimare un sequestro probatorio del profitto del reato non diretto, ma per equivalente, perché ricadente non su moneta avente corso legale nello Stato, utilizzata per effettuare i pagamenti ed avente valore liberatorio delle obbligazioni contratte anche nei confronti dell’erario per l’estinzione del debito tributario, ma su un asset digitale rappresentato da valuta virtuale che non svolge le funzioni tipiche della moneta avente corso legale e che è soggetta a continue fluttuazioni di mercato.

4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, si impone l’annullamento con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Firenze.

P.Q.M.

Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Firenze competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, c.p.p.

Così deciso in Roma il 20 novembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2025.

Allegati

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