Ritenuto che:
Ci.An. proponeva reclamo avverso il decreto emesso da tale Tribunale di Avellino il 30.5.2022, che, nell’ambito del procedimento di revisione proposto ex art 9 legge n. 898/1970, aveva confermato l’assegno divorzile di Euro 100,00 in favore della Ma.An..
Si costituiva Ma.An. che chiedeva il rigetto del reclamo perché inammissibile ed infondato, mentre in via incidentale censurava l’operato del Tribunale quanto al rigetto della domanda riconvenzionale proposta di revisione/modifica dell’assegno divorzile nella misura di Euro 250,00 mensili.
Con decreto nr 15/2024 la Corte di appello di Napoli rigettava il reclamo principale e quello incidentale.
Il giudice del reclamo rilevava che la posizione economica complessiva degli ex coniugi alla luce dell’esame della documentazione in atti, consentiva di escludere anche a volere prescindere dalla consulenza tecnica espletata in prime cure, che nella fattispecie, successivamente al divorzio, si fossero verificati eventi sopravvenuti che avessero alterato gli equilibri patrimoniali pregressi esistenti fra gli ex coniugi.
Con riguardo all’altro elemento addotto ad ulteriore supporto della domanda di revisione vale a dire la sussistenza di una relazione affettiva stabile con un medico affermato, da parte della Ma.An. osservava che la dedotta mancata contestazione della circostanza, come asserita dal Ci.An., non era decisiva, in ogni caso, perché non determinava di per sé la revoca dell’assegno divorzile o la rimodulazione dello stesso, essendo comunque necessario l’ulteriore accertamento finalizzato alla verifica della componente perequativo compensativa dell’assegno in questione.
Osservava al riguardo che la situazione economica delle parti all’epoca in cui era stato pronunciato il divorzio, risalente al 2017, alle condizioni concordate dagli ex coniugi su sollecitazione e proposta del Presidente (cfr. il verbale del 26.9.2017 in atti), poteva essere agevolmente ricostruita sulla scorta di quanto rappresentato nella sentenza di separazione, intervenuta l’anno precedente nel 2016, dove furono effettuate anche indagini tributarie.
All’epoca la Ma.An. era insegnante precaria, aveva potuto contare per alcuni periodi, a far data dal 2011, sull’indennità di disoccupazione e per altri sul reddito da lavoro, in media circa Euro 20.000,00 annui (cfr. in dettaglio pag. 5 della sentenza di separazione in atti); non era proprietaria di beni immobili, ma aveva alienato la quota di 1/5 di un appartamento in Avellino conseguendo l’importo di Euro 30.000,00, aveva una liquidità di Euro 7.685,98, viveva in una casa condotta in locazione per un canone di Euro 550,00 mensili unitamente alla figlia, all’epoca già di anni 28 ma economicamente non autosufficiente.
Il Ci.An., insegnante in pensione percepiva un reddito annuale di Euro 28.800,00, era proprietario di alcuni immobili in Avellino, Grottolella (la casa un tempo coniugale) e Castelfranci, senza trarne utilità al di fuori di indennizzi di esproprio o risarcimenti dei danni.
Alla data del 30.6.2014 risultava titolare di un patrimonio mobiliare di Euro 572.830,35 e già nel 2009 di alcune centinaia di migliaia di euro, patrimonio costituito da una elevata e diversificata componente azionaria (furono rilevate numerose operazioni in titoli dallo stesso effettuate con la banca Santander cfr la sentenza citata e la relazione della Guardia di Finanza).
Il reclamante, peraltro, già all’udienza presidenziale in sede di divorzio aveva riferito di non avere più risparmi.
In epoca successiva al divorzio il Ci.An., quanto al reddito da pensione e per il patrimonio immobiliare non era state registrate significative variazioni mentre in relazione al patrimonio mobiliare del reclamante era titolare di una polizza ramo vita con Poste Italiane, di cui però non era stata offerta documentazione.
Con riguardo alla posizione della reclamata, il conseguimento di un incarico di insegnamento a tempo indeterminato aveva portato ad un incremento del reddito annuale (euro 21.037,00 nell’anno 2018, Euro 22.519,00 nell’anno 2019, Euro 23.452,00 nell’anno 2020 ed Euro 22.795,00 nell’anno 2021), con l’onere locativo della casa nella quale continuava a vivere unitamente alla figlia senza disporre di proprietà immobiliari.
Entrambi gli ex coniugi, inoltre, non erano più tenuti quanto meno da un punto di vista giuridico a contribuire al mantenimento della figlia Ci.Ca., oggi di anni 36.
Sulla scorta di quanto sopra esposto il giudice del reclamo riteneva che pur essendo anche all’attualità migliore la situazione patrimoniale complessiva riferibile al Ci.An., sia con riferimento al reddito percepito, che con riguardo al complesso dei beni immobiliari di cui comunque risulta titolare e che rappresentano una voce attiva in quanto possibile fonte di utilità laddove locati o alienati a terzi, anche a volere prescindere dai risparmi accumulati in passato e sulla cui destinazione non aveva fornito spiegazione, ciò non di meno la Ma.An. era divenuta ormai insegnante di ruolo ed era titolare di un reddito annuo che le consentiva senza dubbio di potere condurre una vita dignitosa, sicché la funzione assistenziale dell’assegno divorzile non poteva dirsi sussistente.
Tuttavia, doveva ritenersi, contrariamente a quanto dedotto dal reclamante, che l’assegno divorzile fosse comunque dovuto quanto al profilo compensativo perequativo.
Osservava al riguardo che dalla documentazione prodotta si evinceva che la reclamata aveva cominciato a prestare servizio come docente non di ruolo nel gennaio 1986 e sino al mese di giugno di quell’anno, per poi riprendere l’attività di supplente, alternata all’indennità di disoccupazione, nel mese di novembre 1999 (cfr. lo stato matricolare in atti) sino a quando nel 2015 è divenuta insegnante di ruolo (ad anni 55).
Detta interruzione coincide proprio con il periodo in cui è nata la figlia Ci.Ca. (29.7.1987) e poteva dunque ritenersi verosimile che la scelta di dedicarsi alle incombenze familiari, con conseguenti sacrifici in termini sia di carriera che previdenziali, avesse consentito al marito di potere attendere senza interruzione alcuna alla propria attività lavorativa, oltre che al proprio considerevole patrimonio (immobiliare e mobiliare).
Avverso tale decreto Ci.An. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico articolato motivo cui ha resistito con controricorso Ma.An.
Ritenuto che:
Con l’unico motivo si deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. violazione del principio della disponibilità delle prove e del principio di non contestazione; la violazione degli artt. 5 e 9 della L. n. 898/1970 in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.
Si sostiene che fra le circostanze sopravvenute che avrebbero comportato un netto miglioramento delle condizioni economiche della ex moglie, era stata individuata la relazione sentimentale affettiva stabile da lei intrapresa con un facoltoso ed affermato medico specialista, circostanza questa non contestata dall’ex coniuge sicchè risulterebbe provato, in ragione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., non solo che la sig.ra Ma.An. abbia intrapreso una nuova stabile relazione sentimentale, ma anche che questa intercorreva con un affermato medico specialista, ovvero una persona facoltosa e che ciò abbia determinato un considerevole miglioramento delle sue condizioni economiche.
Sul punto, è evidente che la Corte di Appello di Napoli abbia fatto evidente mal governo dell’art. 115 c.p.c. e del principio di non contestazione, perché non ha dato rilevanza all’aspetto fondamentale della suddetta circostanza, ovvero che le condizioni economiche della sig.ra Ma.An. – già progredite per effetto degli avanzamenti di carriera conseguiti e dei conseguenti maggiori trattamenti retributivi – in virtù della relazione sentimentale intrapresa con un medico specialista affermato e quindi con una persona facoltosa risultano essere, certamente, migliori di quelle del ricorrente.
Inoltre, sul punto, il Giudice di secondo grado avrebbe del tutto obliterato il consolidato orientamento giurisprudenziale, confermato da recenti arresti, a mente del quale la negazione del diritto all’assegno divorzile a causa di sopraggiunti motivi può essere desunta da una serie di indici, tra i quali ben può essere ricompresa anche una stabile relazione more uxorio ciò si aggiunga che la Corte di Appello di Napoli ha del tutto omesso di considerare che la sig.ra Ma.An. convive con la figlia che è autonomamente sufficiente (non a caso nel corso del procedimento di revisione il Tribunale le ha revocato l’assegno di mantenimento) ed esercita la professione di avvocato e quindi garantisce certamente, oltre ogni ragionevole dubbio, ulteriori entrate/redditi per il nucleo familiare.
Le suesposte tre dirimenti circostanze (i progressi nella carriera lavorativa della Ma.An., l’instaurazione di una stabile relazione sentimentale con una persona facoltosa, la convivenza con sua figlia, avvocato, che garantisce ulteriori redditi per il suo nucleo familiare), emerse con piana evidenza dalle risultanze processuali (anche perché non contestate da controparte) costituiscono quegli eventi sopravvenuti al divorzio (del tutto obliterati dalla Corte di Appello) che hanno, oltre ogni ragionevole dubbio, alterato gli equilibri patrimoniali pregressi esistenti tra gli ex coniugi e che sono certamente rilevanti ai fini della revisione, recte della revoca dell’assegno divorzile, sia se lo si consideri per la sua funzione assistenziale, sia se lo si consideri per la sua funzione perequativa compensativa.
Si critica poi la valutazione data dalla Corte di Appello di Napoli alle risultanze documentali (foglio matricolare) sulla base delle quali ha ritenuto verosimile che la scelta di dedicarsi alle incombenze familiari, con conseguenti sacrifici in termini sia di carriera che previdenziali, abbia consentito al marito di potere attendere senza interruzione alcuna alla propria attività lavorativa.
Si sostiene che dagli atti di causa non sarebbe emersa alcuna la prova di una sospensione lavorativa della Ma.An. condivisa con il marito nel periodo 1986/1999 sicché non sarebbe affatto evincibile con certezza e tantomeno in termini di verosimiglianza il contributo offerto dalla sig.ra Ma.An. alla comunione familiare.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente lamenta che la Corte di merito non abbia correttamente valutato, la rilevanza dei fatti sopravvenuti e tra questi la stabile relazione sentimentale dell’ex coniuge con un facoltoso medico, il conseguimento di una stabilità lavorativa e la convivenza con la figlia autosufficiente, circostanze queste che avrebbero inciso sull’assetto patrimoniale quale esistente al momento del divorzio.
Le censure scontano plurimi profili di inammissibilità sollecitano una inammissibile revisione del giudizio di fatto operato dalla Corte di merito.
Giova rilevare che in tema di revisione dell’assegno divorzile ex art 9 L. 898/1970 il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell’entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta, ma, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 18287 del 2018 deve verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato gli equilibri sanciti dall’assetto economico patrimoniale dato dalla sentenza di divorzio (Cass. n. 1645 del 19/01/2023; Cass. n. 7666 del 09/03/2022 v. anche Cass. n. 1119 del 20/01/2020).
A maggior ragione questi principi valgono nel caso di specie, ove le condizioni di divorzio derivano da un accordo delle parti recepito nella sentenza emessa a seguito di ricorso congiunto; vale a dire che liberamente le parti a suo tempo hanno ritenuto sussistenti i presupposti per la spettanza dell’assegno divorzile.
Ciò posto va rilevato che nel caso in esame sia nel giudizio di primo grado che in quello di reclamo è stato accertato ponendo a raffronto le due posizioni economiche non hanno registrato significative variazioni rispetto all’assetto convenuto in sede di divorzio.
Si legge nel decreto impugnato che “l’esame della documentazione in atti, anche a volere prescindere dalla consulenza tecnica espletata in prime cure, consente di escludere che nella fattispecie, successivamente al divorzio, si siano verificati eventi sopravvenuti che abbiano alterato gli equilibri patrimoniali pregressi esistenti fra gli ex coniugi”.
Sulla relazione sentimentale la Corte ha rilevato la genericità dell’allegazione senza che sia stato specificato e provato quali fossero gli elementi dai quali potere desumere le caratteristiche proprie di una convivenza stabile e continuativa.
Genericità che si è riflessa nella capitolazione dedotta che per tale ragione non è stata ammessa.
Ha poi aggiunto che al di là di ritenere che la Ma.An. non abbia specificamente contestato in prime cure l’esistenza della relazione sentimentale la circostanza allegata, in ogni caso, non determinava di per sé la revoca dell’assegno divorzile o la rimodulazione dello stesso, essendo comunque necessario l’ulteriore accertamento finalizzato alla verifica della componente perequativo compensativa dell’assegno in questione.
Non può dirsi quindi sia stato erroneamente applicato il principio della non contestazione o che vi sia stato travisamento della prova.
Il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (“demonstrandum”), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (“demonstratum”), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Cass. n. 9507 del 06/04/2023).
In questo caso non si apprezza la sussistenza di alcuno di questi presupposti e in particolare non si apprezza la sussistenza del presupposto sub. a), essendo stata censurata la valutazione e non la ricognizione del contenuto oggettivo degli elementi di prova documentale, nel contesto di una valutazione complessiva di quelle che sono le sopravvenienze e la loro incidenza sulle condizioni economiche delle parti, nei termini sopra esposti. Il che comporta che la relativa censura ricade nell’ambito della doglianza meritale.
Deve qui peraltro anche ricordarsi che, per costante principio affermato nella giurisprudenza di questa Corte, al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 8767 del 15/04/2011; Cass. n. 12123 del 17/05/2013; Cass. n. 29730 del 29/12/2020; Cass. n. 10525 del 31/03/2022).
L’inammissibilità delle doglienze emerge ancora più ove si consideri che la Corte di appello ha affermato che “pur volendo comunque ritenere che la Ma.An. non abbia specificamente contestato in prime cure l’esistenza della relazione sentimentale (nella memoria di costituzione del 16.3.2021 sulla questione nulla fu effettivamente rilevato) come asserito dal Ci.An., la circostanza allegata, in ogni caso, non determina di per sé la revoca dell’assegno divorzile o la rimodulazione dello stesso, essendo comunque necessario l’ulteriore accertamento finalizzato alla verifica della componente perequativo compensativa dell’assegno in questione.
E proprio con riferimento alla detta componente il Giudice di merito ha ritenuto che l’assegno divorzile sia comunque dovuto quanto al profilo compensativo perequativo.
Ratio decidendi questa che non è stata minimamente aggredita dal motivo in esame.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio seguono il principio di soccombenza e si liquidano in dispositivo.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri elementi identificativi a norma dell’art.52, comma 2, D.Lgs. 196/2003.
Così deciso in Roma il 20 marzo 2025.
Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2025.
