Massima

La sentenza stabilisce che l’interesse a impugnare atti endoprocedimentali in procedure concorsuali sorge solo con il provvedimento finale. Afferma l’obbligo di applicare gli indici bibliometrici del D.M. n. 344/2011 nelle procedure di chiamata di professori, qualora il regolamento di ateneo richiami standard qualitativi internazionali. Viene altresì sancita l’illegittimità di criteri di valutazione della produzione scientifica che limitino irragionevolmente il raggiungimento del punteggio massimo o che non rispettino l’autovincolo sui contributi individuali nelle opere in collaborazione.

Supporto alla lettura

CONCORSO PUBBLICO

L’accesso al pubblico impiego, ancorché privatizzato, avviene, salvo limitate eccezioni, per pubblico concorso. La selezione pubblica ha natura procedimentale ed è regolata oltre che dalla legge, da atti e provvedimenti amministrativi.

Secondo l’art. 35 del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165 le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni devono essere conformi ai seguenti principi:

  • adeguata pubblicità della selezione;
  • modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento;
  • adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire;
  • rispetto delle pari opportunità tra lavoratori e lavoratrici;
  • composizione delle commissioni con esperti di provata competenza nelle materie di concorso.

Il procedimento si avvia con il bando di concorso, cioè con la comunicazione scritta attraverso la quale la pubblica amministrazione rende pubblica la volontà di indire un concorso per l’assegnazione di un posto di lavoro, nel suddetto bando vengono indicate, in modo specifico, le modalità in base alle quali il concorso viene condotto, e quindi, sia i requisiti di partecipazione ed i termini entro i quali deve essere inoltrata la domanda, sia le altre disposizioni vincolanti, per i partecipanti al concorso e per la pubblica amministrazione, che regolano la selezione.

Scaduti i termini, l’amministrazione procede, attraverso la commissione giudicatrice, all’esame delle domande dei candidati ed alle prove concorsuali che possono essere di diverso tipo:

  • per esami (scritti e/o orali);
  • per titoli: nel bando vengono indicati i titoli di accesso e quelli che danno un punteggio e le graduatorie vengono effettuate tenendo conto dei titoli di studio posseduti, attestati, pregresse anzianità lavorative, corsi frequentati ecc.
  • per titoli ed esami;
  • per corsi – concorsi: l’amministrazione incarica un soggetto di preparare un corso per la formazione di una graduatoria da cui potere attingere in caso di bisogno;
  • prove pratiche per l’accertamento della professionalità richiesta dal profilo o dalla categoria.

Esistono deroghe all’accesso per concorso e sono stabilite per legge:

  • l’art. 16 della Legge 28 febbraio 1987 n. 56 che consente l’assunzione di lavoratori da adibire a mansioni per le quali non sia previsto titolo professionale da inquadrare nei livelli per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, sulla base di selezioni effettuate tra gli iscritti nelle liste di collocamento ed in quelle di mobilità a condizione che abbiano i requisiti richiesti;
  • la legge 12 marzo 1999 n. 68 che consente l’assunzione obbligatoria dei disabili o vittime del terrorismo;
  • l’art. 36 del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, norma peraltro riformulata dalla legge finanziaria per il 2008 e dal D.L. 112/2008 in tema di forme flessibili di assunzione: contratti a tempo determinato, contratti a contenuto formativo e tirocinio, contratto di somministrazione di lavoro, collaborazioni coordinate e continuative.

Un accenno va fatto a proposito del c.d. concorso interno, questa forma di selezione è largamente utilizzata per consentire la progressione di carriera del personale già dipendente della pubblica amministrazione. All’interno di questa categoria si individuano due specie di concorso:

  • progressioni orizzontali: è consentito il passaggio all’interno della stessa area;
  • progressioni verticali: è consentito il passaggio tra diverse aree.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. La sentenza impugnata: a) ha accolto il ricorso principale proposto dall’odierna parte appellata privata, annullando il D.R. n.2311/2023 del 29 settembre del 2023, con salvezza delle ulteriori determinazioni amministrative, con cui erano stati approvati gli atti della commissione esaminatrice della procedura valutativa ai sensi dell’art. 24, comma 6, della L. n. 240 del 2010 per la chiamata di un professore universitario di ruolo di prima fascia presso il Dipartimento di Scienze Chirurgiche, s.c. 06/E2 – Chirurgia Plastica-Ricostruttiva, Chirurgia Pediatrica e Urologia e s.s.d. MED/24 – Urologia, conclusasi con la proposta di chiamata dell’odierna parte appellante; b) ha respinto il ricorso incidentale proposto da quest’ultima avverso i giudizi resi dalla commissione in relazione ai criteri della produzione scientifica e dell’attività clinica, con riferimento al profilo dell’odierna parte appellata; c) ha dichiarato improcedibile il ricorso incidentale proposto dall’allora ricorrente nei confronti del giudizio riservatogli dalla commissione in relazione al criterio dell’attività clinica, per sopravvenuto difetto di interesse.

A supporto del gravame la parte appellante espone le seguenti circostanze di fatto:

con decreto rettorale n.1987 del 16 novembre del 2020, poi modificato il \9 novembre del 2020 (decreto n.2034) l’Università degli studi Roma “Tor Vergata” indiceva la “PROCEDURA VALUTATIVA AI SENSI DELL’ART. 24, COMMA 6, DELLA L. N. 240 DEL 2010 PER LA CHIAMATA DI N. 1 PROFESSORE UNIVERSITARIO DI RUOLO DI PRIMA FASCIA PRESSO IL DIPARTIMENTO DI SCIENZE CHIRURGICHE DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “TOR VERGATA”, PER IL SETTORE CONCORSUALE 06/E2 E SETTORE SCIENTIFICO DISCIPLINARE MED/24″, alla quale presentavano domanda il prof. S.M. di Stasi e il prof. E.F.A.;

le operazioni concorsuali si concludevano il 20 luglio del 2021, ritenendo l’odierno appellante il candidato maggiormente qualificato;

– con ricorso proposto al TAR del Lazio il D.S. impugnava gli esiti della procedura e, con sentenza n.4699 del 17 marzo del 2023, il ricorso veniva in parte accolto;

secondo il TAR, in particolare, erano meritevoli di condivisione il terzo ed il quarto motivo di ricorso perché dall’allegato A al verbale n.1, contenente i criteri per le valutazioni delle voci del curriculum, si evinceva che la commissione si era limitata a ribadire gli stessi criteri previsti dal bando, senza attribuire specifici pesi o punteggi, né in relazione agli stessi, né per i diversi ulteriori elementi costituenti oggetto della valutazione, e senza effettuare chiarimenti su quali fossero i titoli valutabili;

il tribunale osservava ancora che, mentre il controinteressato non aveva allegato casistica operatoria, al contrario il ricorrente aveva documentato 4164 interventi chirurgici come primo operatore, con attività continua e variegata, e che, di conseguenza, il giudizio di preferenza espresso in favore del F.A. era contraddittorio con riferimento all’attività clinica;

e lo stesso – aggiungeva il TAR – era a dirsi con riferimento alle pubblicazioni, per la netta prevalenza della produzione del ricorrente, in ragione della collocazione editoriale e del numero di citazioni complessive ottenute dai suoi lavori, che era stato un dato ingiustamente ridimensionato grazie dell’introduzione a posteriori, dunque in violazione dell’art.8 comma 4 del bando, del criterio valutativo della maggiore rilevanza dell’attività svolta negli ultimi dieci e cinque anni;

criterio che secondo il TAR era comunque non ragionevole perché, seppure l’intento di favorire docenti con attività di ricerca non troppo risalente nel tempo non fosse irragionevole, comunque il livello della produzione scientifica avrebbe dovuto essere valutato sempre in base a parametri oggettivi e sostanziali;

nonostante la sentenza fosse stata oggetto di appello da parte di entrambi i litisconsorti, l’Università procedeva alla sua esecuzione, nominando una nuova commissione giudicatrice, con decreto rettorale n.1284 del 16 maggio del 2023;

l’organo, durante la prima seduta del 6 luglio del 2023, procedeva alla definizione dei criteri di valutazione delle pubblicazioni scientifiche e dell’attività in campo clinico, esplicitati nell’Allegato A del verbale;

all’esito, riteneva all’unanimità che: a) il candidato maggiormente qualificato era il prof. F., precisando che entrambi i candidati avevano presentato sedici pubblicazioni, un’attività di rilievo nell’ambito dei loro settori di interesse, con buona rilevanza scientifica;

che b) pur essendo editi su riviste di impatto maggiore rispetto a quelle del concorrente, i lavori del D.S. rivelavano una significativa discontinuità temporale, presentando tre anni di assenza di pubblicazioni, nel 2007, nel 2010 e nel 2012;

che c) in merito all’attività clinica i due candidati avevano ricoperto ruoli significativamente diversi nell’ambito della dirigenza, perché il F. aveva svolto, per nove anni, le funzioni di responsabile di unità semplice a valenza dipartimentale nel Policlinico Tor Vergata, struttura universitaria, mentre il D.S. aveva ricoperto il ruolo di Responsabile di unità semplice, in una struttura privata accreditata;

che d) in particolare, la posizione di F. gli aveva conferito la diretta responsabilità ed autonomia gestionale di risorse umane, economiche e strumentali prospettandosi per questa via un profilo più significativo, ai fini dello svolgimento dell’incarico da conferire;

con decreto rettorale n.2311 del 29 settembre del 2023 venivano approvati gli atti della procedura, e, successivamente il Consiglio di Amministrazione dell’Università validava la proposta di chiamata;

con ricorso del 27 novembre del 2023 il D.S. impugnava il decreto di nomina e gli atti presupposti deducendo i vizi di travisamento dei presupposti, violazione dell’art.4 del D.M. n. 344 del 2011, illogicità del giudizio ed illegittima composizione della commissione di concorso;

l’odierna parte appellante proponeva, dal canto suo, ricorso incidentale chiedendo l’annullamento del verbale n.1.ossia quello della prima riunione della commissione, nella parte in cui aveva definito i criteri di valutazione dei candidati, nonché del verbale n.3 nella parte in cui aveva erroneamente attribuito al D.S. il punteggio di 2pt sui 4 massimi previsti, per la continuità della produzione scientifica, nonché integralmente l’intero punteggio ottenuto dal medesimo per l’attività clinica;

con contro-ricorso incidentale il D.S. chiedeva invece l’annullamento dell’Allegato B al verbale n.3, nella parte in cui attribuiva 2 punti su4 al D.S. per la produzione scientifica;

successivamente, con la sentenza n.6783/2024 il Consiglio di Stato, respinto l’appello incidentale, accoglieva quello principale proposto dal D.S. limitatamente al secondo motivo, ordinando alla nuova commissione di rivalutare i titoli – attività convegnistica, premi e riconoscimenti, dottorato di ricerca e borse di studio – dei quali non si è tenuto conto illegittimamente;

all’esito dell’udienza pubblica del 15 gennaio del 2025 la Sezione terza ter del TAR del Lazio ha accolto il ricorso principale, annullando il D.R. n.2311/2023 del 29 settembre del 2023, con salvezza delle ulteriori determinazioni amministrative ed ha respinto il ricorso incidentale proposto dal contro-interessato, dichiarando improcedibile il ricorso incidentale proposto dal ricorrente per sopravvenuto difetto di interesse;

la sentenza impugnata ha ritenuto fondato il secondo motivo di ricorso, in ragione del fatto che, poiché con la sentenza 6783/2024, il Consiglio di Stato aveva stabilito l’applicabilità dell’art.4 del D.N. alla procedura in questione, quest’ultima rappresentava statuizione coperta da giudicato, alla quale la commissione si sarebbe dovuta attenere, segnatamente avrebbe dovuto considerare, per la valutazione della produzione scientifica dei candidati, i c.d. indici bibliometrici, previsti da detto decreto ai commi 2 e 3 dell’art.4 ;

il primo giudice ha ritenuto altresì fondato il primo motivo di ricorso, nella parte in cui si doleva che, grazie al frazionamento ed al sotto-frazionamento dei criteri per le pubblicazioni scientifiche e per l’attività clinica, aveva reso oggettivamente non conseguibile il punteggio massimo nel primo ambito, perché, potendo le parti presentare sedici pubblicazioni scientifiche, ed essendo sotto-articolati i punteggi, a seconda del se l’articolo o la pubblicazione fossero editi in riviste internazionali o nazionali, con ulteriore sotto-punteggi, non era possibile, sul piano aritmetico, ottenere il massimo di 30 punti previsto per questa voce;

il primo motivo è stato ritenuto fondato anche nella parte in cui la Commissione prima ha statuito di valutare l’apporto del candidato nei lavori in collaborazione sulla base di criteri indicati in ordine di priorità, e poi, saltando gli altri criteri, ha adottato per individuare il contributo il solo criterio del posizionamento del nome sulla pubblicazione, nonostante quest’ultimo fosse solo il terzo, in ordine di importanza, fra i quattro criteri indicati, in sede di auto-vincolo, dalla commissione;

il primo giudice ha altresì ritenuto fondato il terzo motivo, richiamando le precedenti pronunce del TAR del Lazio (4699/2023) e del Consiglio di Stato (6783/2024), rilevando che la commissione non avesse rispettato quanto ivi riscontrato in ordine al divario, sul parametro dell’attività clinica, che presentavano i due candidati;

infine, non è stato esaminato il quarto motivo di ricorso perché era stato proposto in via subordinata dalla parte ricorrente;

per quanto concerne il ricorso incidentale di F.A. il primo giudice ha disatteso il primo motivo, non ravvisando irragionevolezza nella scelta di attribuire, su di un totale di 40 punti per le pubblicazioni, soli 10 punti alla produzione scientifica complessiva e 30 punti per le singole pubblicazioni presentate, ritenendo che nel complesso il peso ponderale assegnato alla pubblicazione scientifica fosse significativo, e che, specificamente, se si fosse valorizzata eccessivamente l’intera produzione, a scapito delle singole pubblicazioni, ciò avrebbe potuto rivelarsi elusivo del bando;

il primo giudice ha altresì disatteso anche il secondo motivo del ricorso incidentale, ritenendo che il criterio della prevalenza, sempre e comunque, dell’attività scientifica più recente risulta intrinsecamente non ragionevole, come statuito dalla sentenza 4699/2023 del TAR Lazio, dunque che comunque le pubblicazioni dovessero essere valutate, in comparazione con le altre, con riferimento a parametri oggettivi e sostanziali, senza attribuirgli, a priori, maggiore rilevanza;

il terzo motivo del ricorso incidentale, con cui si faceva valere l’omesso svolgimento, da parte del ricorrente, dell’incarico di Responsabile della UOSD di Urologia presso il P.C., era smentito dalla documentazione versata in atti dal contro-interessato;

il contro-ricorso incidentale del D.S., stante la declaratoria di infondatezza del ricorso incidentale dell’odierno appellante, è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Avverso la decisione sono dedotti i seguenti motivi di appello:

A) SUL RICORSO PRINCIPALE

A.1 ERROR IN IUDICANDO ED ERROR IN PROCEDENDO – SULLA RITENUTA INFONDATEZZA DELL’ECCEZIONE DI IRRICEVIBILITA’ DEL RICORSO PER TARDIVITA’.

A.2 ERROR IN IUDICANDO ED ERROR IN PROCEDENDO – SULLA RITENUTA FONDATEZZA DEL SECONDO MOTIVO DI RICORSO PRINCIPALE – INGIUSTIZIA ED ERRONEITA’ DELLA SENTENZA PER DIFETTO DI MOTIVAZIONE E TRAVISAMENTO DEI FATTI.

A.3 ERROR IN IUDICANDO ED ERROR IN PROCEDENDO – SULLA RITENUTA FONDATEZZA DEL PRIMO MOTIVO DI RICORSO PRINCIPALE – INGIUSTIZIA ED ERRONEITA’ DELLA SENTENZA PER DIFETTO DI MOTIVAZIONE E TRAVISAMENTO DEI FATTI.

A.4 ERROR IN IUDICANDO ED ERROR IN PROCEDENDO – SULLA RITENUTA FONDATEZZA DEL TERZO MOTIVO DI RICORSO PRINCIPALE – INGIUSTIZIA ED ERRONEITA’ DELLA SENTENZA PER DIFETTO DI MOTIVAZIONE E TRAVISAMENTO DEI FATTI.

B) SUL RICORSO INCIDENTALE

B.1 ERROR IN IUDICANDO ED ERROR IN PROCEDENDO – SULLA RITENUTA INFONDATEZZA DEI MOTIVI DI RICORSO INCIDENTALE – INGIUSTIZIA ED ERRONEITA’ DELLA SENTENZA PER DIFETTO DI MOTIVAZIONE E TRAVISAMENTO DEI FATTI.

B.1.1. SUL PRIMO MOTIVO DI RICORSO INCIDENTALE “VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 1 E 8, COMMA 4, DEL BANDO DI CONCORSO – VIOLAZIONE DEL REGOLAMENTO DI ATENEO PER LA CHIAMATA DEI PROFESSORI DI PRIMA E SECONDA FASCIA – VIOLAZIONE DEL DICTUM GIURISDIZIONALE DI CUI ALLA SENTENZA TAR LAZIO, SEZ. III-TER, N. 4699/2023 – ECCESSO DI POTERE PER IRRAGIONEVOLEZZA ED ILLOCITA’ – VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 97 COST.”

1.2. SUL SECONDO MOTIVO DI RICORSO INCIDENTALE “VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 1 E 8, COMMA 4, DEL BANDO DI CONCORSO SOTTO ALTRO PROFILO – VIOLAZIONE DEL REGOLAMENTO DI ATENEO PER LA CHIAMATA DEI PROFESSORI DI PRIMA E SECONDA FASCIA SOTTO ALTRO PROFILO – VIOLAZIONE DELL’AUTOVINCOLO DERIVANTE DAL VERBALE DELLA RIUNIONE PRELIMINARE DEL 06 LUGLIO 2023 – VIOLAZIONE DEL DICTUM GIURISDIZIONALE DI CUI (…) SENTENZA TAR LAZIO, SEZ. III-TER, N. 4699/2023 – ECCESSO DI POTERE PER IRRAGIONEVOLEZZA ED ILLOCITA’ – VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 97 COST

B.1.3 SUL TERZO MOTIVO DI RICORSO INCIDENTALE “VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 1 E 8, COMMA 4, DEL BANDO DI CONCORSO SOTTO ALTRO PROFILO – VIOLAZIONE DEL REGOLAMENTO DI ATENEO PER LA CHIAMATA DEI PROFESSORI DI PRIMA E SECONDA FASCIA SOTTO ALTRO PROFILO – VIOLAZIONE DELL’AUTOVINCOLO DERIVANTE DAL VERBALE DELLA RIUNIONE PRELIMINARE DEL 06 LUGLIO 2023 – INESISTENZA DEI PRESUPPOSTI -PERPLESSITA’ – ECCESSO DI POTERE PER IRRAGIONEVOLEZZA ED ILLOCITA’ – VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 97 COST.” E SULL’ISTANZA ISTRUTTORIA FORMULATA AI SENSI DEGLI ARTICOLI 64 E 64 C.P.A.

2. Si è costituito in giudizio M.S.D.S., contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame.

3. La parte appellata ha altresì spiegato appello incidentale, affidandolo ai seguenti motivi di appello:

1. ERROR IN IUDICANDO DEL CAPO DELLA SENTENZA DEL TAR CHE HA RIGETTATO LA CENSURA, CONTENUTA NEL PRIMO MOTIVO DI RICORSO, CON CUI (…) STATA DENUNCIATA L’ILLEGITTIMITÀ DELLA PREDETERMINAZIONE DEI CRITERI PER L’INDIVIDUAZIONE E LA VALUTAZIONE DELL’APPORTO INDIVIDUALE DEI CANDIDATI NEI CONTRIBUTI IN COLLABORAZIONE. VIOLAZIONE DEL GENERALE PRINCIPIO CHE VIETA LA DISAPPLICAZIONE DEL BANDO. OMESSA PRONUNCIA

2. 2. RIPROPOSIZIONE DEL CONTRORICORSO INCIDENTALE, DICHIARATO IMPROCEDIBILE PER RIGETTO DEL RICORSO INCIDENTALE PROPOSTO IN PRIMO GRADO DAL PROF. F.A.. DOMANDA DI ANNULLAMENTO DELLA VALUTAZIONE RICEVUTA DAL PROF. DI STASI PER IL CRITERIO DELLA CONTINUITÀ DELLA PRODUZIONE SCIENTIFICA COMPLESSIVA PER VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI IMPARZIALITÀ E BUON ANDAMENTO DI CUI ALL’ART. 97 COST.; ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO, NONCHÉ PER DIFETTO GRAVE DI ISTRUTTORIA; ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITÀ E IRRAGIONEVOLEZZA MANIFESTE; VIOLAZIONE DEL VERBALE PRELIMINARE DI PREDETERMINAZIONE DEI CRITERI.

Motivi della decisione

4. Il primo motivo d’appello contesta alla sentenza impugnata di aver rigettato l’eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado per tardività rispetto all’impugnazione del verbale – quello della prima riunione – nel quale la commissione ha dato atto della predeterminazione dei sub-criteri di valutazione che avrebbe applicato, declinando quelli più generali indicati nel Bando.

Sostiene la parte appellante che – poiché quel verbale era stato immediatamente pubblicato, e dunque era noto ai concorrenti – avrebbe dovuto essere impugnato, a pena di decadenza, nel termine di sessanta giorni dalla sua divulgazione, senza attendere l’esito della procedura.

4.1. Il motivo è infondato.

4.1.1. Per risalente e costante orientamento di questo plesso (cfr. per tutte Consiglio di Stato , sez. VI, 11/07/2013 , n. 3747) infatti “nelle procedure concorsuali l’interesse a ricorrere sorge nel momento in cui vengono adottati i provvedimenti finali di esclusione dal concorso per mancato superamento della prova scritta. Non esiste, pertanto, un onere di impugnazione immediata dei verbali della commissione e comunque degli atti aventi valenza endoprocedimentale.”

4.1.2. Dunque alcuna preclusione si è verificata in danno dell’allora parte ricorrente che, correttamente, ha atteso l’esito della procedura per gravare le determinazioni della commissione in merito ai criteri di valutazione.

Del resto, prima di quel momento, non era prospettabile un interesse concreto ed attuale alla relativa impugnazione, non potendo l’allora ricorrente avere contezza in ordine al se, ed in qual misura eventuale, la ridetta predeterminazione dei criteri gli avrebbe potuto, in concreto nuocere.

5. Il secondo motivo d’appello contesta la sentenza impugnata, nella parte in cui, in accoglimento del secondo motivo proposto dall’odierna parte appellata, ha censurato la scelta della commissione di non applicare i cc.dd. “indicatori bibliometrici”, nonostante che: a) gli stessi fossero prescritti dall’art.4 del D.M. n. 244 del 2011; b) la loro operatività, nel caso di specie, fosse stata espressamente ribadita dalla sentenza del Consiglio di Stato n.6783/2024.

Sostiene la parte appellante che tale statuizione sarebbe erronea perché il D.M. n. 344 del 2011 – riguardando la diversa fattispecie della valutazione dei ricercatori ai fini della chiamata in ruolo di professore associato – non troverebbe applicazione nel caso di specie; mentre la suddetta pronuncia del giudice d’appello che ha ritenuto applicabile il predetto decreto si riferiva ad altro aspetto della procedura, ossia riguardava una questione precisa e circoscritta, e dunque non poteva estendersi alle altre disposizioni ivi contenute, diversamente da come opinato dal primo giudice.

Del resto, aggiunge, poiché, ai sensi del comma 5 dell’art.24 della L. n. 240 del 2010, la valutazione va svolta in conformità a standard qualitativi, riconosciuti a livello internazionale, ed individuati con apposito regolamento di ateneo, e la parte ricorrente non ha, illo tempore, ritualmente (e tempestivamente) contestato il regolamento, le sarebbe preclusa qualsivoglia doglianza in merito.

5.1. Il motivo è infondato.

5.1.1. Innanzitutto, con riferimento al giudicato riveniente dalla sentenza n.6783/2024 del Consiglio di Stato, ed all’applicabilità del D.M. n. 344 del 2011 da questa ritenuta, la sentenza gravata ha escluso che detto decreto potesse essere oggetto di un’applicazione frammentaria, e, sul punto, la parte appellante non ha sollevato specifica doglianza.

Il che potrebbe anche prefigurare un’inammissibilità, per sopravvenuta acquiescenza, della doglianza in esame.

5.1.2. In ogni caso, anche in diritto, l’obiezione è infondata perché non è sostenibile che, per il fatto che il citato D.M. non sia stato espressamente richiamato dal Regolamento di Ateneo, non sarebbe applicabile alla procedura de qua.

Infatti, nella parte in cui, all’art.4 comma 4, prevede che la valutazione del curriculum e delle competenze scientifiche e didattiche debba essere ispirarsi a standard internazionalmente riconosciuti, ove applicabili – con previsione riproposta tal quale nel bando – il regolamento rinvia evidentemente agli indici bibliometrici che corrispondono a detti standard, i quali, a loro volta, trovano nel D.M. n. 344 del 2011 la loro compiuta regolamentazione.

Di conseguenza non è vero che il Regolamento di Ateneo non contemplasse la ridetta regolazione ministeriale, almeno nella parte riferibile ai suddetti indici; pertanto correttamente il primo giudice ha prescritto alla commissione che li dovrà applicare in occasione della attività di rivalutazione, che le ha contestualmente imposto di svolgere, dei profili curriculari dei candidati.

Il che esclude – e anche sotto questo profilo va disattesa la prospettazione della parte appellante – che l’allora ricorrente avrebbe dovuto gravare, a pena di decadenza, il Regolamento di Ateneo con un autonomo motivo di illegittimità che ne evidenziasse il contrasto con il citato decreto ministeriale.

6. Il terzo motivo d’appello contesta alla sentenza impugnata di avere censurato il criterio adottato dalla commissione per valutare le singole pubblicazioni dei candidati, seguendo la primigenia regola indicata dal bando che prevedeva, come voce generale, di valutare il profilo scientifico dei candidati, onde individuare quello più meritevole, in ragione dell’incarico da ricoprire.

6.1. In sostanza, essendo previsto che potessero essere attribuiti 40 punti in relazione a questo parametro, la commissione aveva previsto un massimo di 25 punti per gli articoli su riviste internazionali, 3 punti per quelli su riviste nazionali, e 2 punti per ulteriori pubblicazioni, ossia un massimo di 30 punti per la voce relativa alle singole pubblicazioni, indicabili in max 16 lavori, oltre 10 punti per la produzione scientifica complessiva, per raggiungere appunto il totale di 40 punti previsto, per questa voce generale, dal bando.

6.2. La commissione ha sotto-frazionato il punteggio per le singole pubblicazioni, attribuendo un peso ponderale diversificato ai lavori, a seconda del se l’articolo fosse stato pubblicato su rivista internazionale, 1,6 punti per articolo, con un massimo di 25 punti, su rivista nazionale, massimo 1,4 punti, con un massimo di 3 punti, o si trattasse di altre pubblicazioni, 1,2 punti, massimo 2 punti.

6.3. Il primo giudice, dopo aver rilevato che il bando consentiva di presentare massimo sedici pubblicazioni scientifiche, ha concluso che questa ripartizione del punteggio non consentiva di conseguire i 40 punti complessivi, perché, al di fuori dei 10 punti massimi per la produzione scientifica, non vi era alcuna possibilità, su di un piano aritmetico, di ottenerne 30 per le singole pubblicazioni, quanto meno nel caso, che si è venuto a verificare nella specie, che uno o entrambi i candidati presentassero pubblicazioni solo su riviste internazionali per le quali, essendo previsto un punteggio massimo di 25, giammai avrebbero potuto ottenere i 30 punti massimi previsti per questa voce.

6.4. Sostiene la parte appellante che le considerazioni del primo giudice, in merito, sarebbero erronee perché, con le 16 pubblicazioni presentate, tutte edite su riviste internazionali, i candidati avrebbero potuto ottenere il massimo punteggio in ognuno dei sotto criteri, potendo ottenere addirittura un punteggio superiore a quello di 25 previsti per gli articoli di respiro internazionale, cioè pari a 25,6 complessivo.

7. Il motivo è infondato.

7.1. L’irragionevolezza del criterio adottato non consiste, infatti, diversamente da quanto opinato dalla doglianza in esame, da un tetto aritmetico che, involontariamente, la commissione avrebbe imposto, in termini aritmetici, alla valutazione, a causa dell’incongruenza dei punteggi attribuiti alle sub-voci nelle quali ha inteso articolare il parametro delle pubblicazioni scientifiche.

Al contrario la criticità dell’operato della commissione, che lo rende illegittimo è, al tempo stesso, più semplice e più ampia perché involge il tetto in sé che essa ha posto alla valutabilità delle pubblicazioni su riviste internazionali, il cui punteggio – stoppato inderogabilmente a 25 – giammai avrebbe potuto consentire ai candidati (rectius: al candidato più meritevole sotto questo profilo) di raggiungere quello massimo di 30 previsto per questa voce.

7.2. La delimitazione apposta dalla commissione rivela tutta la sua incongruenza proprio nel caso di specie, laddove – avendo entrambi presentato solo pubblicazioni su riviste internazionali – i candidati non avrebbero giammai potuto ottenere il punteggio massimo di 30, punteggio, quest’ultimo, che sarebbe stato astrattamente ottenibile da loro solo “costringendoli”, in modo per l’appunto illogico e contrario al principio del merito, a presentare, fra le 16 proponibili, anche pubblicazioni edite su riviste nazionali ed altri lavori, diversi, questi ultimi, dalle prime due tipologie di pubblicazioni.

In altre parole, se anche avesse voluto mantenere fermo il suddetto sotto-frazionamento, la commissione avrebbe dovuto al contempo prevedere che, nel caso in cui tutte le pubblicazioni avessero presentato carattere omogeneo, ossia fossero state tutte edite su riviste internazionali o tutte su riviste nazionali, il tetto massimo complessivo di punteggio sarebbe tornato ad essere quello massimo previsto di 30, e cioè, in questo caso, l’organo ausiliario avrebbe dovuto contemplare, quale regola residuale, che i suddetti limiti (in particolare soprattutto quello di 25) potessero/dovessero essere bypassati, onde rispettare la lettera del bando.

7.3. Tanto la commissione era obbligata a prevedere perché, altrimenti, come invece è dato registrarsi nel caso di specie, il criterio delle pubblicazioni scientifiche più rilevanti avrebbe subìto un indebito ridimensionamento rispetto agli altri criteri generali dettati dal Bando, finendo per essere, senza ragione, sub-valente rispetto a questi ultimi, perché è ovvio che se la lex generalis ha attribuito al criterio del profilo scientifico dei candidati il punteggio massimo di 40 punti, l’organo ausiliario non poteva, arbitrariamente, restringerne la portata ponderale, come fece, a 35 punti.

7.4. Aggiungasi che, nel caso di specie, la stessa commissione ha riconosciuto che il profilo della parte appellata, sotto questo parametro, dovesse prevalere rispetto a quello della parte appellante.

Dunque, se (l’ipotetica è d’obbligo perché la relativa valutazione spetterà alla commissione di concorso, in sede di riedizione del potere) la prima avesse raggiunto il punteggio di 30, avrebbe ottenuto una valutazione numerica maggiore di quella invece riportata, a maggior ragione laddove si fosse registrata, sempre con riferimento a questo criterio, una forbice più ampia rispetto al competitore, che le avrebbe, in ipotesi, consentito di colmare la distanza, in termini numerici, da quest’ultimo con riferimento al punteggio finale ottenuto.

8. Il sub-motivo al terzo motivo d’appello contesta alla sentenza impugnata di aver ritenuto illegittimo, per contrasto con l’art.4 comma 14 del bando, l’operato della commissione, nella parte in cui ha attribuito esclusiva rilevanza, per ricostruire l’apporto fornito da ciascuno dei candidati, al posizionamento del nome, con riferimento alle pubblicazioni in collaborazione presentate dai candidati.

8.1. In particolare il primo giudice ha censurato l’organo valutativo perché, malgrado avesse precisato che il posizionamento del nome era solo uno dei criteri adottabili, lo ha applicato come fosse l’unico previsto, escludendo l’operatività degli altri e favorendo, in ciò, la parte appellante, che, a differenza della parte appellata, allora ricorrente, non aveva presentato la prevista auto-dichiarazione esplicativa del contributo fornito all’opera collettiva.

8.2. La parte appellante deduce l’erroneità della statuizione di primo grado in parte qua, rilevando che il comma 14 dell’art.4 del Bando prevedeva che, in mancanza di autodichiarazione del candidato in ordine al proprio contributo, per le pubblicazioni in collaborazione sarebbe stato possibile enucleare l’apporto individuale del candidato, sulla base della coerenza con l’attività scientifica da lui complessivamente svolta, e che la commissione si era limitata a declinare queste previsioni, prevedendo, prima di iniziare le attività valutative del contributo in opere collettanee, quattro sub-criteri per giungere ad individuare l’apporto (rectius: il segmento di pubblicazione attribuibile a) fornito dai candidati alle pubblicazioni da loro presentate, a firma di più autori, criteri che la commissione ha poi puntualmente rispettato.

Al contrario, il criterio cd. del posizionamento del nome – secondo la doglianza in esame – sarebbe stato utilizzato dalla commissione di concorso esclusivamente per valutare l’apporto dato all’opera dal singolo candidato, e in definitiva per valutarne il rilievo scientifico, la cui entità era invece stata precedentemente individuata grazie ai criteri indicati in ordine di priorità dal bando, che pertanto non sarebbe stato, nell’occorso, violato.

9. Il motivo è infondato per due ordini di ragioni, primo dei quali è che esso propone un’inedita distinzione – non presente nel bando, che disciplina solo la prima attività, ossia l’individuazione dell’apporto del candidato all’opera co-autoriale rinviando, per la seconda, ai più generali criteri di valutazione del profilo scientifico – fra lo strumento a disposizione della commissione per individuare quale sia stato l’oggetto dell’apporto del candidato all’opera collettanea, e quello per valutarne la rilevanza scientifica.

9.1. In secondo luogo, e comunque, il motivo propone una soluzione operativa per la commissione, che, se accolta, comporterebbe l’applicazione di un metodo irrealistico, perché presuppone che esista una netta differenza tra l’individuazione dell’apporto del concorrente all’opera collettanea e sua valutazione sotto il profilo scientifico.

Distinzione, quest’ultima, che non trova corrispondenza nella realtà. Infatti non è praticabile un’operazione valutativa fondata su due fasi, tra loro autonome, perché, una volta individuato l’apporto del concorrente, dopo aver valutato l’intera opera, la commissione deve attribuire un peso ponderale al primo, in ragione del giudizio complessivo sul lavoro unitariamente inteso, ma anche in relazione/proporzione al contributo riferibile al candidato, quindi è impossibile atomizzare i due giudizi, ripartendoli in due valutazioni fra loro indipendenti, perché queste vanno invece poste in connessione e coordinamento tra loro.

Se è vero, infatti, che una tendenziale bi-fasicità del giudizio, in caso di opere collettanee, è inevitabile, perché prima di valutarne la rilevanza, la commissione deve identificare il singolo apporto, è anche vero, che, una volta eseguita, questa prima fase di giudizio è destinata a confluire in un unicum valutativo che non può essere artificiosamente differenziato.

9.2. In ragione dell’indiscutibile connessione esistente fra queste due fasi, la procedura adottata per individuare l’apporto individuale del candidato all’opera collettiva indubbiamente influenza la successiva valutazione della rilevanza scientifica di quest’ultimo, dunque, se la prima è erroneamente eseguita, o comunque, come pure accade in questo caso, è svolta in modo approssimativo, ciò falsa inevitabilmente il complessivo giudizio finale. Ossia una volta che la commissione ha errato nella prima valutazione (rectius: nel metodo utilizzato per esperirla), anche la seconda valutazione finisce per essere irrimediabilmente viziata.

E poiché peraltro, nel caso di specie, la commissione aveva anche preannunciato che, per individuare l’apporto del singolo candidato all’opera collettanea, avrebbe seguito i criteri che essa stessa si era autoassegnata, ponendoli in applicazione graduata e decrescente fra loro, mentre, al contrario, ha poi applicato solo quello detto del “posizionamento del nome”, e poiché, come appena osservato, la prima valutazione condizionava anche la seconda, ne deriva che l’operato della commissione, oltre ad essere approssimativo, è stato anche contraddittorio, come correttamente rilevato dal primo giudice che ha imposto una rivalutazione che, sotto questo profilo, dovrà avere ad oggetto, e l’individuazione dell’apporto dato dai due candidati alle opere collettanee da loro indicate, con precisa indicazione dei metodi adottati per ricostruirlo, e la rilevanza scientifica attribuibile a tali elementi, in ragione del contributo redazionale da essi dato alla singola opera, correttamente e compiutamente individuato.

9.3. In definitiva le valutazioni della commissione qui gravate, nella parte in cui hanno individuato l’apporto individuale alle opere collettanee di entrambi i candidati sono doppiamente viziate. Lo sono, innanzitutto, perché l’organo ha proceduto in modo approssimativo e non motivato, ad attribuire i ruoli ricoperti da entrambi i candidati nelle opere co-autoriali da loro indicate e, in secondo luogo, perché comunque non ha rispettato i criteri di individuazione dell’apporto individuale per come dettati dal bando e dettagliati dalla stessa commissione in sede di auto-vincolo.

Di conseguenza, in parte qua, va condiviso e confermato, quanto alla sua portata prescrittiva, l’arresto di primo grado, con l’ulteriore precisazione che la commissione, in sede di rivalutazione, dovrà meglio ricostruire l’apporto fornito dai candidati alle opere collettanee da loro indicate, adeguatamente motivando in proposito, ed altresì applicando tutti i criteri che essa stessa, in sede di auto-vincolo, e declinando quelli generali contenuti nel bando, si è prefissata di seguire.

10. Il quarto motivo d’appello contesta alla sentenza impugnata di avere ritenuto illegittimo il giudizio serbato dalla commissione, con riferimento al parametro di valutazione riferito all’attività clinica svolta dai due candidati.

10.1. Il primo giudice ha ritenuto che, a fronte della documentata esecuzione, da parte della parte appellata, di 4164 interventi chirurgici quale primo operatore, a fronte della mancata documentazione di analoghe attività da parte dell’appellante, il giudizio della commissione risultava sul punto gravemente contraddittorio, perché avrebbe indebitamente marginalizzato, nella valutazione del parametro rappresentato dalla complessiva attività svolta dai candidati, l’attività clinica, rispetto a quella didattica e scientifica, senza considerare che queste ultime si integrano necessariamente con la prima, come previsto dal D.Lgs. n. 517 del 1999.

10.2. La parte appellante contesta i suddetti approdi cui è giunto il giudice di prime cure, rilevando come l’incarico di responsabile U.O.S.D. (Unità Operativa Semplice Dipartimentale) da lei svolto, fosse molto più rilevante – attribuendole una responsabilità gestionale che non aveva quella di responsabile U.O.S. (Unità Operativa Semplice) ricoperta in passato dalla parte appellata.

Quanto alla casistica operatoria, la doglianza in esame sostiene che la commissione correttamente l’avrebbe sub-valutata rispetto alla rilevanza che aveva, nella procedura concorsuale, il criterio del profilo scientifico dei candidati, tenendo conto della natura specificamente accademica del posto che era messo a concorso.

11. Il motivo è infondato.

11.1. Innanzitutto va premesso che, sia nella sentenza del TAR n. 4699/2023, che nella sentenza del Consiglio di Stato n. 6783/2024 era stata già rilevata l’omessa valutazione dell’attività clinica svolta dalla parte appellata.

Dunque la commissione, nella parte in cui ha (nuovamente) sottovalutato quest’ultimo aspetto, si è anche posta in contrasto col giudicato riveniente da detti pronunciamenti.

11.2. A prescindere dal rilievo, per vero assorbente, di cui al punto che precede, l’obiezione, opposta nel merito dalla parte appellante, secondo cui il suo il curriculum complessivamente prevaleva su quello dell’appellata, non è convincente innanzitutto perché la commissione le ha riconosciuto un punteggio aggiuntivo per questa voce, riferendola al criterio “altri titoli”, ossia alla terza voce che componeva il criterio in esame riferibile all’attività professionale complessivamente svolta dai candidati.

Dunque si tratta di esperienza che è stata adeguatamente valorizzata e non può quindi valere, altresì, e quale elemento valutato due volte, come contrappeso, per così dire, rispetto all’attività clinica svolta e documentata dal competitore.

11.3. L’obiezione è comunque infondata nel merito perché in relazione a questo parametro – ossia la complessiva attività professionale svolta dai candidati – i criteri che la stessa commissione si era data erano i seguenti 1. numero di anni di attività dirigenziale e 2. incarichi di direzione di unità operativa complessa e/o semplice o incarichi di alta specializzazione, da valutare con riferimento al numero di anni in cui l’incarico o gli incarichi sono stati svolti 3. altri titoli.

Or bene quest’ultimo, essendo un criterio residuale, era senz’altro atto a ricomprendere anche l’attività clinica assistenziale riferibile ai candidati, considerando la natura dell’incarico oggetto della procedura concorsuale.

Dunque condivisibilmente il primo giudice ha ritenuto irragionevole ed illogica la scelta della commissione di omettere completamente la valutazione del significativo numero di interventi chirurgici che la parte appellata ha dichiarato di aver svolto, con il compito di primo operatore, anche considerando che il contraddittore, odierno appellante, alcuna indicazione aveva prodotto in proposito e, dunque, tenendo conto del netto divario che è dato registrare fra i due curriculum che non poteva non essere rilevato in una competizione concorsuale.

Anche in questa parte, dunque, l’arresto di primo grado va confermato.

12. Il quinto motivo d’appello contesta alla sentenza impugnata di avere, disattendendo il primo motivo di ricorso incidentale proposto dall’allora intimato, escluso l’illegittimità della scelta della commissione di attribuire, al criterio della consistenza complessiva della produzione scientifica, il peso di soli 10 punti su 40 totali attribuibili per la voce “profilo scientifico” del candidato.

La parte appellante ritiene che il peso ponderale attribuito, nell’ambito di questo criterio, alla consistenza complessiva, sia troppo esiguo se comparato al ben più consistente punteggio di 30 punti riservato alla valutazione delle singole pubblicazioni, che infatti è risultato essere determinante per la valutazione dei candidati espressa sulla base di questo parametro.

Se avesse meglio calibrato il rapporto tra i due sub-criteri – aggiunge la doglianza in esame – la commissione avrebbe senz’altro rilevato la netta superiorità della produzione scientifica della parte appellante, rispetto a quella dell’appellata; il primo infatti prevaleva sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello della continuità temporale, potendo il prof. F.A. vantare una media di 4,3 lavori per anno, mentre vi sono significative lacune temporali nei lavori di ricerca dell’altro candidato.

12.1. Il motivo involge il delicato problema dei metodi valutativi adottabili nelle procedure concorsuali con riferimento alla produzione scientifica dei candidati, metodi che possono essere differenziati, fondamentalmente sulla base di due approcci, rispettivamente costituiti dal metodo analitico-induttivo e dal metodo sintetico deduttivo, entrambi astrattamente validi.

Il primo privilegia un’attività valutativa della commissione che, partendo dal dato individuo rappresentato dalla singola pubblicazione prodotta dal candidato, le attribuisce un punteggio specifico per giungere, solo all’esito dell’esame di ciascuna di esse, ad una valutazione complessiva del profilo scientifico dello scrutinato.

In base al secondo approccio, invece, la commissione, prima procede ad una valutazione complessiva, per così dire con vista panoramica su tutti i lavori prodotti dal candidato, quindi, successivamente provvede a riscontrare il giudizio particolareggiato cui è pervenuta, riferito ai lavori che solo successivamente analizza in modo più puntuale.

12.2. Si tratta di epistemologie entrambe valide, che presentano, in egual misura, inconvenienti e pregi.

12.2.1. Quanto alla prima, comporta innanzitutto il rischio di sottovalutare, nell’esperire un giudizio globale, le opere del candidato che, in tesi, presentino un valore particolare, distinguendosi per innovatività e/o originalità dei risultati raggiunti. In secondo luogo, questo approccio, basandosi su di una valutazione unitaria, che, in certi limiti, può astrarsi dai singoli dati curriculari, finisce inevitabilmente per conferire all’organo valutativo un più ampio potere discrezionale suscettibile di sconfinare nell’arbitrio.

Quale indubbio vantaggio il metodo sintetico dà la possibilità alla commissione di esperire una valutazione, per così dire, a “tutto tondo” del candidato, consentendole di calibrare meglio il giudizio sull’intero profilo scientifico di costui, per come si è rivelato nel corso degli anni da lui dedicati alla ricerca universitaria.

12.2.2. Il criterio analitico-induttivo, invece, nel partire da un’atomizzazione del giudizio, rischia di sottodimensionare quest’ultimo aspetto, facendo perdere la complessiva fisionomia del ricercatore sottoposto a esame.

Quale contrappeso positivo, tuttavia, onerando la commissione di un obbligo motivazionale più gravoso, dovendo per l’appunto il relativo giudizio essere espresso in termini analitici, può ridurre il pericolo che essa eserciti arbitrariamente il potere tecnico- discrezionale che le è conferito.

12.3. D’altro canto è evidente che, così ricostruiti i due diversi metodi, attraverso un’opportuna graduazione dei sub-criteri ponderali, la commissione può, indirettamente orientare i suoi lavori prediligendo un approccio rispetto ad un altro, che è quello che è accaduto nel caso di specie, dove l’attribuzione di soli 10 punti, rispetto ai 40 disponibili per questa voce, alla consistenza complessiva della produzione scientifica dei candidati, rivela la tendenziale opzione dell’organo per l’approccio analitico-induttivo.

12.4. Del resto, come detto, costituendo ambedue approcci metodologici validi, la relativa scelta rientra nella discrezionalità tecnica riservata alla commissione che può essere sindacata, in questa sede, solo in caso di abnormità o di palese irragionevolezza, connotazioni che possono essere entrambe pacificamente escluse in questo caso.

Come detto, infatti, la scelta di attribuire maggiore peso ponderale alle pubblicazioni, rispetto a quello riservato al giudizio sulla consistenza complessiva della produzione scientifica, corrisponde ad un approccio epistemologico analitico-induttivo, valido quale criteriologia e del tutto ragionevole, perché in quanto teso a valorizzare elementi curriculari desumibili dai singoli lavori prodotti, esso è senz’altro idoneo ad offrire all’organo ausiliario tratti concreti e specifici della fisionomia del candidato, consentendogli di esprimere un giudizio informato ed appropriato su costui, anche, e specificamente, con riferimento alle mansioni connesse all’incarico posto a concorso.

In tali sensi, pertanto, va disattesa la censura di illogicità opposta dalla parte appellante.

12.5. Inoltre, tale censura è vieppiù infondata perché la scelta operata nell’occorso dall’amministrazione- come ha rilevato anche il primo giudice – si rivela come la più coerente con le disposizioni del bando di concorso che, prevedendo che i candidati dovessero indicare un numero minimo di pubblicazioni pari a 16, indirettamente imponeva, per l’appunto, di vagliare in termini particolareggiati i singoli lavori, e quindi di riservare a ciascuno di essi un apposito giudizio.

Dunque, anche sotto questo profilo, la scelta della commissione di riservare peso ponderale maggiore alla voce relativa alle singole pubblicazioni, rispetto a quella rappresentata dalla consistenza complessiva della produzione scientifica – che comunque non risulta del tutto negletta, dando la possibilità all’organo di attribuire, in relazione ad essa, 10 punti – non si rivela incoerente, ma anzi consonante rispetto alla lex generalis.

13. Il sesto motivo d’appello contesta alla sentenza impugnata di non avere ritenuto illegittimi i due punti assegnati alla parte appellata in relazione al criterio della continuità scientifica, nonostante per più anni costei non avesse prodotto pubblicazioni, aggiungendo che il divario fra i due curriculum sotto questo profilo, era ben più ampio rispetto al differenziale di 2 punti, individuato dalla commissione, che aveva assegnato quattro punti, per questa voce, alla parte appellante.

13.1. Il motivo è infondato.

13.1.1. Innanzitutto, la doglianza impinge in materia riservata alla discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione e, anche per come è formulata – dal momento che critica uno specifico punteggio attribuito alla parte appellata, per di più inferiore a quello riportato dalla parte appellante- è inammissibile perché con essa la parte chiede a questo giudice di sostituire la propria valutazione, a quella espressa dall’organo valutatore.

13.1.2. Peraltro neppure è vero che la commissione d’esame non abbia colto il divario fra i profili dei due candidati, tant’è vero che ha assegnato un punteggio alla parte appellante corrispondente al doppio di quello attribuito alla parte appellata.

13.1.3. Infine è anche dubitabile che, nei suoi presupposti di fatto, la doglianza sia fondata.

Difatti la parte appellata, valendosi dei documenti da lei prodotti sin nella fase concorsuale, ha contestato che, nelle sue pubblicazioni, sia riscontrabile una discontinuità e che, in particolare, non è vero che la sua produzione sia stata nulla, come affermato, negli anni 2007, 2010 e 2012, deducendo che, nell’elenco allegato alla domanda contenente i lavori pubblicati, non si riscontra detta lacuna.

Anche questa circostanza – e fermo restando che il motivo qui in esame va rigettato, perché, anche in considerazione di quanto precede, l’attribuzione di 2 punti per questa voce non può dirsi incongrua- dovrà dunque essere rivalutata al momento della riedizione dell’esercizio del potere da parte della commissione, ordinata dal primo giudice, con statuizione che questo giudice d’appello intende confermare in toto.

14. Il settimo motivo d’appello contesta alla sentenza impugnata di non aver dichiarato l’illegittimità del punteggio attribuito alla parte appellata con riferimento all’attività di Responsabile di Unità Operativa Semplice di Urologia presso il P.C., nonostante non fosse provato in atti lo svolgimento di tale incarico da parte di costei.

La parte appellante contesta la sentenza gravata ritenendo che, contrariamente a quanto ivi ritenuto, non vi sarebbe alcuna prova di tale esperienza professionale.

In particolare, la doglianza in esame confuta i singoli elementi documentali in base ai quali il primo giudice ha ritenuto provata la suddetta circostanza, segnalando, tra l’altro, che il certificato n. 83 prodotto, che attesta, al 29 luglio del 2008, il conferimento al D.S. di detto incarico da parte del Direttore Generale del Policlinico di Tor Vergata (all.8 della produzione di primo grado del ricorrente del 13 novembre del 2024) non sarebbe sufficiente a provare il dato storico dell’effettivo svolgimento della relativa attività.

Tanto meno il documento n.9 (sempre della medesima produzione del ricorrente in primo grado) – ossia l’attestazione di servizio del 22 agosto del 2012 sarebbe in tal senso probante, anche perché lo stesso giudice del lavoro, nel contenzioso avviato dalla parte appellata per il riconoscimento del servizio prestato presso il Policlinico, non lo avrebbe ritenuto idoneo a comprovare lo svolgimento del rapporto.

14.1. Il motivo è infondato.

14.1.1. Il ricordato certificato n.83 del 2008, che attesta il conferimento dell’incarico è, di per sé, probante, del fatto storico in esso rappresentato, al contempo consente altresì di presumere che quell’incarico sia stato effettivamente svolto, dunque sarebbe semmai spettato all’odierno appellante, che non ha adempiuto al relativo onere, di fornire la prova contraria.

14.1.2. In ogni caso, oltre che dal documento appena menzionato vi sono ulteriori elementi documentali che confortano l’effettivo svolgimento dell’incarico di responsabile dell’unità operativa presso il Policlinico da parte dell’appellato.

Tra questi va innanzitutto menzionato il carteggio che attesta il dialogo intercorso tra quest’ultimo e la Direzione del Policlinico nell’agosto/settembre del 2008, (documento 3 della produzione di primo grado del D.S. 11 novembre 2024) e in particolare che per l’unità specialistica da attivare erano già disponibili i posti letto dedicati. Così come anche va menzionato, al medesimo fine, il certificato rilasciato dal Dirigente del Dipartimento Affari Istituzionali Generali il 22 agosto del 2012 che attesta che la parte appellata (come leggesi, n.9 della medesima produzione di primo grado del ricorrente) “presta servizio come incarico assistenziale ex art.5 del D.Lgs. n. 517 del 1999 quale Responsabile della U.O.S. “Urologia Oncologica” ….del P.C.”.

E, avuto riguardo a questo specifico documento, non è esatta l’affermazione della parte appellante, secondo la quale il giudice del lavoro non ha ritenuto il suddetto documento idoneo a provare lo svolgimento del suddetto servizio da parte dell’appellato.

Al contrario, quel giudice specializzato si è limitato a ritenerlo non utilizzabile, in quanto prodotto tardivamente, pur avendone riconosciuta la rilevanza ai fini della dimostrazione dei fatti di causa.

15. In definitiva, tutti i motivi dedotti dalla parte appellante principale sono infondati.

Ne consegue che va confermato l’arresto del primo giudice, ivi compreso l’effetto conformativo da esso delineato per la futura condotta dell’amministrazione intimata, nella parte in cui ha disposto che la commissione di concorso deve nuovamente riunirsi, onde rivalutare, tenendo conto delle criticità rilevate, i profili professionali degli originari candidati. In tali sensi, si rinvia, in particolare, a quanto statuito nella sentenza gravata, al par.II.5. pag.26, alle cui indicazioni l’Università intimata, e, per suo conto, la commissione di concorso dovra(nno) attenersi.

16. Venendo all’appello incidentale proposto dal D.S., il primo motivo contesta alla sentenza impugnata di non aver riconosciuto il ruolo determinante che la parte appellata avrebbe svolto, con riferimento alle tre pubblicazioni indicate ai nn.8, 11 e 12 dell’elenco allegato al CV.

L’appellante incidentale, dopo aver ricordato di essere stato, in relazione a queste ultime, co-investigatore principale, come da sua autodichiarazione, lamenta che al contrario la commissione gli ha riconosciuto la mera qualifica di coautore, di conseguenza assegnandogli un punteggio minore di quello che gli sarebbe spettato.

Benché avesse in parte qua gravato il giudizio della commissione – aggiunge il D.S. – il primo giudice ha omesso qualsiasi statuizione al riguardo. Viceversa, se avesse valutato la doglianza, l’avrebbe senz’altro accolta.

Inoltre, aggiunge ancora, la commissione in questa parte del giudizio, oltre a non valutare il suddetto ruolo di co-investigator dell’appellante incidentale, applicando un criterio inedito e non previsto dal bando – ossia quello delle dichiarazioni rese dai coautori delle opere collettanee- ha valutato le pubblicazioni n.8 e n.10 dell’elenco allegato alla domanda di F.A., benché in queste ultime il nome di costui non compare né come primo (primo autore) né come ultimo (posizione che di norma corrisponde a quella del coordinatore).

Dunque, l’unico strumento grazie al quale è stato attribuito all’appellante principale – che, nonostante l’espresse indicazioni nel bando, nulla aveva dichiarato in proposito – il ruolo di coautore, è stato l’inedito criterio delle dichiarazioni rilasciate dagli altri coautori. Criterio quest’ultimo che, oltre che creato in modo indebito, ex novo dalla commissione, nel caso di specie sarebbe altresì in contrasto con altro criterio che invece la commissione si era autovincolata ad osservare, ossia quello della coerenza del lavoro collettaneo indicato rispetto ai settori di ricerca praticati dal candidato che rivendica il co-autoraggio.

Le opere indicate ai nn.8 e 10 dell’elenco di F.A., infatti, attenendo alla materia biologia molecolare, risulterebbero del tutto estranee agli abituali campi di ricerca battuti da costui.

16.1. Il motivo è inammissibile perché omette di considerare che la sentenza di primo grado non ha respinto il relativo motivo di ricorso, oggi riproposto con appello incidentale.

Infatti, il primo giudice, come ricordato nei precedenti paragrafi, in relazione ai lavori coautoriali, con una prescrizione che questo giudice d’appello ha confermato, ha disposto che la commissione, adottando i criteri indicati dal bando ed i sottocriteri che essa stessa si era data per individuare l’apporto dei candidati alle opere collettanee, ne ricostruisca in dettaglio l’entità e provveda nuovamente, e più accuratamente, a rivalutare i due profili professionali con riferimento a tale voce.

Il che significa, innanzitutto, che la parte appellante incidentale non era soccombente, con riferimento a questo capo di sentenza, con conseguente carenza di legittimazione ad impugnare e che, in ogni caso, non vanta un interesse attuale e concreto a gravare il relativo capo, dovendo attendere, al più, l’esito degli ulteriori lavori che la commissione dovrà svolgere nel rispetto delle prescrizioni emergenti dal presente giudizio.

Peraltro, lo stesso giudice di primo grado ha rilevato il vizio logico in cui è incorso l’argomentare della Commissione consistente nell’aver “reso le dichiarazioni degli interessati prive di qualsivoglia utilità ai fini della procedura” e in sede di riesercizio del potere si dovrà quindi tenere conto di tali dichiarazioni; ciò conferma l’inammissibilità del motivo.

17. Il secondo motivo dell’appello incidentale contesta, in relazione al profilo della valutazione della continuità della produzione scientifica del prof. D.S., il punteggio di 2 attribuito a quest’ultimo, sostenendo che detto curriculum meritava un punteggio maggiore, anche perché il giudizio si è fondato su di un’asserita lacuna che esisterebbe nella produzione scientifica dell’appellante incidentale, che in realtà è documentalmente smentita.

17.1. Il motivo – che era stato proposto in via subordinata, in caso questo giudice d’appello avesse accolto l’eguale e contrario motivo di appello principale, che lamentava la sopravvalutazione data, con l’attribuzione del punteggio di 2, al profilo del D.S. rispetto a questo identico – è divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, non avendo questo giudice accolto la ridetta principale doglianza.

18. In definitiva, l’appello principale va rigettato, e, per l’effetto, deve essere confermata, anche nella sua parte ordinativa/conformativa, la sentenza di prime cure.

L’appello incidentale va dichiarato inammissibile con riferimento al primo motivo proposto e va dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, con riferimento al secondo motivo proposto.

Non devono invece essere esaminati i motivi assorbiti in primo grado e riproposti in sede di appello, non essendo gli stessi stati oggetto di ricorso incidentale ed essendo stato respinto il ricorso in appello principale.

L’esito della controversia, unito alla sua oggettiva complessità, rappresentano una giustificata ragione per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello principale e sull’appello incidentale, come in epigrafe proposti, così provvede: 1. rigetta l’appello principale; 2. in parte dichiara inammissibile e in parte dichiara improcedibile l’appello incidentale.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Conclusione

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2025.

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