Ritengono gli appellanti che il Tribunale non abbia in alcun modo considerato che al momento della sua nascita (avvenuta negli USA nel 1920) la loro ava (omissis) aveva gia’ ottenuto automaticamente sia la cittadinanza americana iure soli, sia al contempo la cittadinanza italiana iure sanguinis, derivatale dal padre all’epoca cittadino italiano.
La naturalizzazione del padre non aveva quindi avuto alcun effetto in capo alla stessa, in termini di perdita di cittadinanza italiana e di acquisizione di quella americana, essendo ella gia’ cittadina americana.
Andava quindi fatta applicazione dell’art. 7 della L. 555/2012, a tenore del quale “il cittadino italiano nato e residente in uno Stato estero, dal quale sia ritenuto proprio cittadino per nascita, conserva la cittadinanza italiana, ma divenuto maggiorenne o emancipato puo’ rinunziarvi”.
Lo stesso Ministero nella Circolare K 31.9 del 27 maggio 1991 (contenente Linee interpretative ed applicative sul tema), in adesione ad alcune pronunce del Consiglio di Stato, avrebbe suggerito tale interpretazione, ritenendo irrilevante, ai fini della conservazione della cittadinanza italiana della loro ava, la circostanza che il proprio padre l’avesse perduta.
L’appello e’ fondato.
Per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 1983 – che come noto ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 1 n. 1 L. 55/1912 per violazione degli artt. 3 e 29 della Costituzione “nella parte in cui non prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina” – e’ possibile l’acquisto della cittadinanza italiana iure sanguinis per via materna da parte dei discendenti diretti da ava cittadina italiana.
L’efficacia erga omnes della sentenza della Corte Costituzionale ha inciso sulla disciplina legislativa dello status civitatis di tutti coloro, cittadini potenzialmente tali, che non avevano acquistato quello status esclusivamente per effetto di legge incostituzionale e che, in quanto legittimati al riconoscimento del loro stato di cittadinanza originario illegittimamente compresso, possono farlo valere incondizionatamente in conseguenza della rimozione dell’illegittimo impedimento legislativo, in considerazione della natura permanente ed imprescrittibile del diritto al riconoscimento della cittadinanza (cfr. Cass. s.u. 4466/2009, 19428/2017, 6205/2014).
Pertanto, in forza degli effetti esplicati dalla sentenza n. 30/1983, dalla data di entrata in vigore della nuova Costituzione, la titolarità della cittadinanza italiana deve ritenersi riconosciuta anche ai figli e, conseguentemente, ai discendenti di donna cittadina italiana.
Il punto nodale della controversia poggia dunque sull’accertamento della circostanza che l’ava degli appellanti (omissis) abbia validamente trasmesso la cittadinanza italiana ai suoi discendenti, dovendosi in particolare verificare se ella avesse o meno perduto la cittadinanza italiana in seguito all’acquisizione della cittadinanza degli USA per naturalizzazione da parte del proprio padre (omissis), avvenuta allorche’ ella (di due anni) era con lui convivente e soggetta alla sua potesta’.
Occorre al riguardo interpretare l’art. 12, comma secondo, della legge 555/1912 sulla cittadinanza vigente all’epoca di entrata in vigore della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 7 della stessa legge.
Ritiene la Corte che l’interpretazione del Tribunale non sia condivisibile.
Il giudice di primo grado ha infatti applicato esclusivamente l’art. 12, comma secondo – sulla base del quale i figli minori non emancipati di chi perde la cittadinanza italiana divengono anch’essi stranieri se hanno in comune la residenza con il genitore che ha perso la cittadinanza italiana, salva la possibilita’ di riacquistarla al compimento della maggiore eta’ – senza tener conto di quanto previsto dall’art. 7 della legge 555/1912, da ritenersi in rapporto di specialita’ con l’art. 12.
Secondo quanto condivisibilmente argomentato dagli appellanti, la specialità dell’art 7 si desume proprio dalla ratio insita nella stessa L. 555/1912 entrata in vigore il 1. luglio 1912.
Fino a quel momento, ai sensi dell’art. 36 della Legge sull’Emigrazione n. 23 del 31 gennaio 1901 e secondo quanto disposto dal codice civile del 1865, il figlio di padre naturalizzato straniero perdeva la cittadinanza italiana in quanto seguiva le medesime sorti del genitore.
Successivamente con la L. 555/1912 questo criterio venne superato, stabilendosi che il discendente minore dell’avo che aveva perso la cittadinanza per naturalizzazione conservasse la cittadinanza italiana, a condizione che la nascita fosse precedente alla data di naturalizzazione.
Mentre quindi la precedente normativa del 1901 non riconosceva la cittadinanza italiana al figlio di italiano naturalizzatosi straniero, indipendentemente dal limite di età, la legge del 1912 stabiliva che nel caso di intervenuta naturalizzazione straniera del padre, il figlio, se all’epoca minorenne, conservava la cittadinanza italiana (appunto iure sanguinis) in quanto figlio di italiano.
Stabilisce infatti l’art. 7 della legge 555 che “salvo speciali disposizioni da stipulare con contratti internazionali, il cittadino nato e residente in uno Stato estero, dal quale sia ritenuto proprio cittadino per nascita, conserva la cittadinanza italiana, ma divenuto maggiore o emancipato può rinunciarvi”.
Solido fondamento giuridico di quanto disposto dall’art. 7 si riscontra anche nella circolare k. 31.9 del 27 maggio 1991 (doc. 1) e nella circolare k. 28.1 del Ministero dell’Interno dell’8 aprile 1991 (doc.2).
Secondo quanto disposto dalla circolare “La prole nata sul territorio dello stato di emigrazione da padre cittadino italiano acquisiva dalla nascita il possesso tanto della cittadinanza italiana quanto della cittadinanza dello stato di nascita e permaneva nella condizione di bipolidia anche nel caso in cui il genitore, durante l’età minorile, mutasse cittadinanza naturalizzandosi straniero”.
Sul punto il Consiglio di Stato con parere n. 1820/1975 del 24 ottobre 1975 ha stabilito che “l’acquisto della cittadinanza italiana da parte del genitore comporta l’acquisto della cittadinanza italiana da parte del figlio minorenne, ma la perdita della cittadinanza italiana da parte del genitore non comporta senz’altro la perdita della cittadinanza suddetta da parte del figlio minorenne, e ciò, appunto ad evitare per quest’ultimo la situazione di apolidia”.
L’illustrato regime di perdita della cittadinanza derivato dal disposto dell’art. 12 può trovare applicazione quando l’acquisto della cittadinanza straniera da parte del minore sia effetto automatico dell’acquisto della cittadinanza da parte del genitore convivente ed esercente la potesta’.
Di converso l’art. 12 non si estende a coloro i quali siano destinatari della disciplina prevista dall’art. 7 vale a dire a quanti, nati all’estero da genitore italiano, siano considerati dallo stato di nascita propri cittadini per nascita nel territorio dello Stato secondo il principio dello ius soli.
Di ulteriore conforto a tale interpretazione deve ritenersi la stessa interpretazione letterale dell’art. 12 della legge del 1912, avuto riguardo alle parole “..e acquistino la cittadinanza di uno Stato straniero..”.
E’ infatti palese l’intento del legislatore di collegare la perdita della cittadinanza da parte del figlio minore, quale effetto automatico della perdita da parte del genitore convivente ed esercente la potesta’, al fatto che il figlio stesso “acquisti” la cittadinanza straniera. Con la conseguenza che ove invece il figlio minore sia gia’ per nascita, iure soli, in possesso della nuova cittadinanza del genitore non possa nuovamente acquistarla.
La lettura congiunta delle due norme (artt. 7 e 12, comma secondo) induce quindi a ritenere fondata la prospettazione degli appellanti.
Deve infatti ritenersi che l’ava degli appellanti, nata negli USA nel 1920, fosse cittadina americana iure soli ed al contempo cittadina italiana iure sanguinis, essendole stata la cittadinanza italiana trasmessa dal padre al momento della nascita
A nulla rileva ai fini della perdita della cittadinanza italiana da parte dell’ava degli attori/appellanti l’intervenuta naturalizzazione di (omissis) avvenuta nel 1922 durante la minore età della figlia, in quanto successiva alla sua nascita, avendo egli trasmesso alla figlia al momento della nascita la cittadinanza italiana ed avendo la minore autonomamente conseguito la cittadinanza americana. La naturalizzazione del padre non ha dunque avuto effetti su di lei ai fini della perdita della cittadinanza italiana.
Non puo’ quindi trovare applicazione la fattispecie di cui all’art. 12 della già menzionata Legge, posto che dalla lettura sistematica degli artt. 12, 9 e7 della L. 555/1912 e’ da ritenersi che la norma di carattere generale di cui all’art. 12 della citata legge sia stato derogato dal principio speciale di cui al precedente art. 7, secondo cui al figlio del cittadino italiano nato in uno Stato estero che gli aveva attribuito la cittadinanza secondo lo ius soli, era consentito conservare la cittadinanza italiana anche se il genitore durante la sua minore età ne fosse incorso nella perdita, così quindi riconoscendo all’interessato la facoltà di rinunciarvi al raggiungimento della maggiore età, se residente all’estero. Tale principio speciale deroga non solo al principio dell’unicità della cittadinanza, ma anche a quello della dipendenza delle sorti della cittadinanza del figlio minorenne da quella del padre, sancito invece in termini generali dall’art. 12 della medesima legge.
Ne consegue che tutte le vicende relative alla eventuale perdita della cittadinanza italiana da parte del genitore non incidono sullo stato di cittadinanza del figlio, salva la facoltà di rinuncia alla cittadinanza italiana al conseguimento della maggiore eta’.
Sulla base di tali principi, tenuto conto delle allegazioni e della documentazione prodotta dagli appellanti (che ha esattamente ricostruito la linea generazionale diretta derivata dall’avo (omissis) sino a giungere a loro) e della mancata dimostrazione che (omissis) abbia rinunciato alla cittadinanza italiana – circostanza quest’ultima non provata, ne’ tantomeno contestata, essendo il Ministero dell’Interno rimasto contumace – deve quindi ritenersi che la naturalizzazione americana del padre intervenuta in epoca successiva alla nascita della figlia (omissis) non abbia prodotto effetti preclusivi né in capo alla stessa né di conseguenza in capo ai suoi discendenti, ai quali va quindi riconosciuto, in totale riforma della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 1 della Legge 555/1912 come integrato dalla Corte Costituzionale, il possesso della cittadinanza italiana iure sanguinis.
Le spese del presente grado di giudizio vanno compensate, non avendo il Ministero in alcun modo contrastato la domanda.
b) ordina alle competenti autorita’ di procedere alle relative annotazioni negli atti dello Stato Civile;
c) dichiara integralmente compensate le spese del grado.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 luglio 2020.
