L’attrice a sostegno della propria domanda esponeva:
di essere nata a Gioiania in Brasile il (omissis), e di essere figlia legittima di (omissis) e di (omissis);
che la madre (omissis) era nata in Brasile il (omissis) a Santos Du Mont quale figlia legittima di (omissis), cittadino brasiliano e della cittadina italiana (omissis), nata in Brasile il (omissis) da cittadini italiani, (omissis) e (omissis), che seppur trasferiti in Brasile non avevano rinunciato alla cittadinanze di origine;
che pertanto (omissis), pur essendo nata in Brasile, aveva acquisito per nascita la cittadinanza italiana, essendo figlia di genitori italiani che non avevano mai rinunciato alla relativa cittadinanza e al contempo aveva acquistato anche la cittadinanza brasiliana in forza della legge locale che privilegiava il criterio dello ius soli;
che (omissis) era morta in Brasile il (omissis) senza aver mai rinunciato alla cittadinanza italiana.
Sulla base di siffatte premesse l’attrice richiedeva il riconoscimento dello status di cittadina italiana, quale discendente di cittadina italiana, ai sensi dell’art. 1, primo comma della legge n. 555 del 13 giugno 1912, applicabile al momento della sua nascita così come modificata per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale effettuata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 30 del 9 febbraio 1983 (che aveva emendato l’originaria formula dell’art. 1 della legge n. 555 del 1912 nella parte in cui non prevedeva l’acquisto iure sanguinis della cittadinanza italiana per figlio nato dalla madre cittadina).
Il Ministero dell’Interno non si costituiva in giudizio ed il Pubblico Ministero, intervenuto a seguito di ordinanza del 16.2.2012, concludeva in data 15.5.2012, per l’accoglimento del domanda.
Questi i fatti di giudizio, pacifici e documentali, il Tribunale è quindi chiamato a statuire in ordine alle conseguenze giuridiche della seguente fattispecie in tema di acquisto della cittadinanza italiana: nascita all’estero da madre a sua volta nata da padre straniero e madre italiana in data anteriore al 1 ° gennaio 1948
È necessaria a questo punto una breve ricostruzione del quadro normativo rilevante per la decisione.
L’art. 1, comma primo n. 1 della legge n. 555 del 13 giugno 1912 (Disposizioni in materia di cittadinanza italiana) statuiva che è cittadino “per nascita” il figlio di padre cittadino.
Con sentenza n. 30 del 28 gennaio – 9 febbraio 1983 la Corte Costituzionale, fra l’altro, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, comma primo e 29 comma secondo Cost., dell’art. 1, comma primo n.1 della legge n. 555 del 1912 “nella parte in cui non prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina” e, consequenzialmente (ex art. 27 legge n. 87 del 1953), dell’art. 1, comma primo n. 2 della stessa legge.
L’art. 5 della l. 21 aprile 1983 n. 123 ha poi stabilito che è cittadino italiano il figlio minorenne anche adottivo, di padre cittadino o di madre cittadina; e che, nel caso di doppia cittadinanza, il figlio avrebbe dovuto optare per una sola entro un anno dal raggiungimento della maggiore età (termine poi prorogato dall’art. 1 della l. 15 maggio 1986 n. 180 fino alla data dell’entrata in vigore della nuova legge organica sulla cittadinanza).
Siffatto obbligo di opzione è stato quindi soppresso dall’art. 26 comma 2 della legge n. 91 del 1992.
L’art. 1 comma 1 lett. a della l. 5 febbraio 1992 n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza) dispone, infine, che è cittadino per nascita il figlio di padre e di madre cittadini.
Tale legge abroga espressamente le disposizioni sopracitate (art. 26 comma 1) non contiene disposizioni “transitorie” ed esclude esplicitamente effetti retroattivi della nuova disciplina (art. 20).
È quindi chiaro che la disciplina applicabile alla fattispecie è rappresentata dall'(abrogato) art. 1, comma primo n. 1 della legge n. 555 del 1912, nel testo risultante dalla sentenza di illegittimità costituzionale n. 30 del 1983.
Per effetto della decisione di illegittimità costituzionale n. 30 del 1983 il testo dell’art. 1, comma primo n. 1 della legge n. 555 del 1912 applicabile alla fattispecie, dispone che è cittadino per nascita i figlio di padre cittadino o di madre cittadina (disposizione poi trasporta nel vigente art. 1 della legge n. 91 del 1992).
Il primo problema da affrontare attiene al dubbio se la dichiarazione di incostituzionalità esplichi effetti nelle ipotesi in cui come nella fattispecie, il soggetto sia discendente da madre reclamante lo status civitatis italiano nata in data anteriore all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana.
La conseguenza della pronuncia di incostituzionalità – ai sensi degli artt. 136, comma primo Cost. e 30, comma 3^ della legge n.87 del 1953 – è che dal 17 febbraio 1983 (giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Uff. della decisione), tutte le persone nate da madre cittadina hanno acquistato ex lege (art.1, comma primo n.1 della legge n.555 del 1912 nel testo risultante dalla decisione della Corte) la cittadinanza italiana jure sanguinis, fin dal momento della nascita, per discendenza materna.
Tale conseguenza però, secondo un primo orientamento, non si produce nel caso in cui il reclamo dello status civitatis si riferisca a nascite avvenute in data anteriore a quella dell’entrata in vigore della Costituzione, data, che rappresenterebbe il limite estremo all’efficacia “retroattiva” della predetta dichiarazione di illegittimità costituzionale avente ad oggetto una legge anteriore alla Costituzione ed applicabile ad una situazione sorta prima del 1 gennaio 1948.
Tale tesi rinviene un preciso riscontro sia nella giurisprudenza di legittimità anteriore alle sentenze n. 6297 e n. 10086 del 1996 (cfr. Cass., n.2222/1971, n. 1287/1972, n. 2022/1974 e n. 903/1978), sia nella prassi amministrativa.
Il Ministro dell’Interno 1’11 novembre 1992 ha emanato una circolare (n.K 60.1, recante: “Legge 5 febbraio 1992 n.91 – Nuove norme in materia di cittadinanza”, pubblicata in Gazz. Uff., n.279 del 26 novembre 1992), in cui si legge: “L’articolo in parola, art. 1 legge n. 91 del 1992, in primo luogo, conferma il tradizionale istituto dell’acquisto della cittadinanza per discendenza, in base al criterio dello jus sanguinis, recependo definitivamente il principio della parità tra uomo e donna per quanto attiene a siffatta trasmissione del nostro status civitatis, in conformità alla sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 28 gennaio 1983. Al riguardo, resta fermo il principio che è possibile attribuire dalla nascita la cittadinanza italiana solo a quelle persone nate dopo il 1 gennaio 1948 da donna che a tale momento era in possesso dello status civitatis italiano. Come infatti chiarito dal Consiglio di Stato, l’efficacia del giudicato costituzionale non può in ogni caso retroagire oltre il momento in cui si è verificato il contrasto tra la norma di legge o di atto avente la forza di legge – anteriore all’entrata in vigore della Costituzione – dichiarata illegittima, e la norma o il principio della Costituzione, cioè non può retroagire oltre il 1 gennaio 1948, data di entrata in vigore di quest’ultima (cfr. parere n. 105, Sez. V, 15 aprile 1983).
La contraria opinione è stata argomentata nelle sentenze della 1^ Sezione civile del 1996 (n. 6297 e n. 10086) circa l’inesistenza del limite temporale alla “retroazione” degli effetti della pronuncia caducatrice della Corte Costituzionale oltre il 1 gennaio 1948, sulla scorta di una pluralità di considerazioni: vale a dire, sinteticamente, l’altrimenti conclamata irrilevanza delle questioni di costituzionalità sulle leggi anteriori alla Costituzione applicabili a rapporti sorti prima della sua entrata in vigore; riconduzione dell’ammissibile sindacato di costituzionalità sulle leggi anteriori alla Costituzione alla figura dell’annullamento piuttosto che alla figura dell’abrogazione; paradossalità della conseguenza dell’esistenza nell’ordinamento di una norma contemporaneamente valida ed invalida.
Con tali pronunce la Corte è pervenuta pertanto alla conclusione che “anche la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di leggi anteriori a Costituzione esplica gli effetti propri di tale tipo di pronuncia: e cioè la cessazione di efficacia erga omnes con effetto retroattivo (che implica il generale divieto di applicazione) della norma dichiarata costituzionalmente illegittima relativamente a situazioni o rapporti, cui sarebbe ancora applicabile la norma stessa, ove non fosse intervenuta la pronuncia di incostituzionalità”.
Tale orientamento è stato peraltro rimeditato dalla Suprema Corte a sezioni unite con la decisione n. 12061, assunta in data 26 giugno-27 novembre 1998, che, richiamata la pronuncia n.58 del 1967 della Corte Costituzionale e disattese le osservazioni svolte dalla I sezione civile, ha ribadito la validità dell’orientamento tradizionale e, con essa, il principio per cui la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge anteriore all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (pacificamente ammissibile in virtù del consolidato insegnamento per cui, con l’entrata in vigore di un nuovo ordinamento costituzionale, l’intero ordinamento giuridico viene “rinnovato” ed ogni norma precedente in tanto resta valida in quanto rinvenga nella nuova Costituzione un nuovo titolo di legittimazione) trova un invalicabile limite temporale, storico, prima ancor che giuridico, nella data di entrata in vigore della Costituzione. La norma incompatibile con la Carta Costituzionale si applica pertanto ai fatti posti in essere sino al 31 dicembre 1947 (e cioè sino a quando è sopravvenuta la situazione di inconciliabilità della norma con la Costituzione non retroattiva).
Il Tribunale di Teramo ritiene di prestare adesione alle ragioni esposte nell’ultima decisione del Supremo Collegio, stante l’autorevolezza della decisione assunta dalla Cassazione nella suprema sede di nomofilachia per fissate un preciso principio in ordine alla corretta interpretazione di una questione assai dubbia e controversa nella stessa giurisprudenza del Custode delle leggi, oltretutto attinente ad una questione di grande importanza circa il momento di operatività delle decisioni caducatrici della Corte Costituzionale.
Reputa pertanto di decidere la presente controversia attenendosi al principio di diritto, solennemente affermato dalle Sezioni Unite secondo cui “costituisce ormai diritto vivente che l’efficacia retroattiva della sentenza declaratoria dell’illegittimità costituzionale di una norma sin dal momento in cui è entrata in vigore trova piena applicazione solo con riferimento alla categoria delle norma incostituzionali ab initio; e che, invece, allorquando la norma stessa sia venuta a collidere con i parametri costituzionali solo successivamente alla data della sua entrata in vigore (la incostituzionalità sopravvenuta), allora il termine di decorrenza degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità coincide (e deve coincidere) con il momento in cui il vizio di incostituzionalità si è concretizzato: infatti è solo in questo momento che si determina l’antinomia costituzionale della legge, il che significa che sino a quel momento la legge stessa era legittima e valida, sicché sarebbe necessariamente illogica e contraddittoria una retroattività che si estendesse a colpire la norma anche nel presupposto della sua validità”.
Il Tribunale procede quindi dal presupposto che la caducazione ad opera della Consulta con sentenza n.30 del 1983 di quella parte dell’art. 1 della legge n.555 del 1912 che escludeva la trasmissione della cittadinanza da parte della madre italiana non abbia effetto che dal 1 gennaio 1948.
In conseguenza, al momento della nascita di (omissis), madre dell’attrice, il 17 marzo 1943, l’ordinamento giuridico vigente non prevedeva affatto l’attribuzione della cittadinanza in linea di discendenza materna se non nelle ipotesi residuali considerate dal n. 2 del primo comma dell’art. 1 della legge n. 555 del 1912.
In buona sostanza e per effetto della maturata condivisione del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite , la situazione normativa da valutare agli effetti delle controverse conseguenze giuridiche non è difforme dall’ipotesi che si sarebbe verificata se in data 1 gennaio 1948 fosse entrata in vigore una legge innovatrice che testualmente dicesse: “E’ cittadino italiano per nascita il figlio di madre cittadina”.
Si tratta di stabilire se una norma siffatta si applichi o meno anche a favore dei soggetti già nati anteriormente all’entrata in vigore della norma e figli di una donna che al momento della nascita fosse a tutti gli effetti cittadina italiana.
Tale applicazione non comporterebbe alcuna efficacia retroattiva poiché l’effetto giuridico dell’acquisizione della cittadinanza si dispiegherebbe solo con decorrenza dall’entrata in vigore della norma e non retroagirebbe quanto al pregresso periodo.
Indubbiamente, peraltro, occorre superare l’obiezione di chi tende a circoscrivere l’attribuzione dello status civitatis al momento dell’acquisto della capacità giuridica (e quindi al momento della nascita), qualificando coerentemente come rapporti “esauriti” quelli inerenti ai soggetti nati in data anteriore all’entrata in funzione della norma.
Ciò indubbiamente configura un problema di interpretazione del diritto positivo. La prestata adesione all’insegnamento delle Sezioni Unite non risolve infatti definitivamente il problema in discussione.
Fermo restando il fatto che al momento della nascita l’ascendente dell’attrice non ha acquistato la cittadinanza poiché la legge 555 del 1912 all’epoca vigente non permetteva la trasmissione in linea materna della cittadinanza, se non nei casi residuali considerati dal n. 2 del primo comma dell’art. 1, e poiché l’irretroattività della Costituzione repubblicana non consente di far risalire gli effetti della dichiarazione di incompatibilità costituzionale oltre il 1h gennaio 1948, va accuratamente valutato se l’acquisto della cittadinanza siasi verificato per l’ascendente dell’attrice proprio in tale data (e cioè quella di entrata in vigore della Costituzione) per effetto della sopravvenuta incompatibilità della previgente disciplina e ciò in diretta conseguenza della dichiarazione di incostituzionalità della norma che l’ha espunta dall’ordinamento con effetto dalla data di coesistenza con la Costituzione repubblicana.
In altri e più chiari termini, si tratta di verificare se l’acquisita “idoneità” della donna cittadina italiana a “trasmettere” lo status civitatis al figlio iure sanguinis possa produrre i suoi effetti anche con riferimento alle nascite avvenute in data anteriore; ovvero, se si preferisce, nel rispetto di una terminologia giuridicamente più rigorosa, se l’attribuzione del diritto di cittadinanza debba avvenute con esclusivo riguardo all’istante della nascita, unico momento temporale considerato dalla fattispecie, sicchè il relativo rapporto debba essere considerato “esaurito” agli effetti dell’applicabilità delle norme successive, ovvero se la norma si limiti a presupporre la nascita ma non la sussurra nella fattispecie a cui è ricollegato l’effetto giuridico (ossia l’attribuzione dello status, quale compendio di diritti ed obblighi giuridici).
È infatti noto che l’unico limite intrinseco alla c.d. efficacia retroattiva della dichiarazione di illegittimità costituzionale è costituito dai rapporti chiusi in modo irretrattabile, ovvero “esauriti” (cfr. Corte Cost. n. 139 del 1984 e n, 3 del 1996; Cass. S.U. 806 del 1975), salva, ovviamente, l’espressa deroga prefigurata dall’art., 30 comma 4 della legge n. 87 del 1953, in ordine alla cessazione dell’esecuzione e di tutti gli effetti penali della sentenza irrevocabile di condanna.
Il Tribunale ritiene corretta la seconda impostazione nell’alternativa illustrata.
Sul punto è illuminante l’argomentazione svolta da Cassazione n.6297 del 1996, che, esattamente in termini, ha osservato: “Deve essere precisato, in proposito, che il titolo di siffatto modo di acquisto – tradizionalmente definito “originario” o di “stagione” della cittadinanza italiana è costituito, non già dall’evento “nascita” (che, in quanto tale rappresenta un mero presupposto della fattispecie acquisitiva), bensì dalla situazione di filiazione da genitore cittadino; sicché, sussistendo tale situazione (titolo), l’acquisto della cittadinanza consegue, automaticamente (effetto ex lege), fin dal momento della nascita (si fa riferimento, ovviamente e con riguardo alla fattispecie, all’ipotesi – base del rapporto di filiazione legittima).
Acquisita (riconosciuta), in tal modo, la cittadinanza fin dalla nascita in ragione della filiazione (iure sanguinis), il cittadino è tutelato in quanto appartenente alla comunità statale, come tale, e cioè per il fatto stesso di questa appartenenza, riconosciuta secondo le norme dell’ordinamento giuridico relativo, o, in altri termini, per il suo status.
In tale prospettiva, la dichiarazione di illegittimità costituzionale contenuta nella sentenza n. 30 del 1983 operando la reductio ad constitutionem della previsione dell’art. 1, comma primo, n.1, legge 555 del 1912, in ossequio ai principi di eguaglianza, davanti alla legge senza distinzione di sesso e di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi – ha, in realtà, “aggiunto” un distinto titolo di acquisto della cittadinanza italiana iure sanguinis, (discendenza materna, appunto) rispetto a quello (discendenza paterna) originariamente previsto quale unico (e, perciò, incostituzionale) criterio di attribuzione dello status civitatis in ragione della situazione di filiazione legittima”.
A supporto dell’accolta argomentazione non par fuori luogo esporre alcune ulteriori notazioni:
l’art. 1, punti 1 e 2 della legge n. 555 del 1912, al pari del vigente art. 1 lett. a della legge 5 febbraio 1992 n.91 non include nella fattispecie il fatto storico della nascita, ma piuttosto la situazione di filiazione, come evidenzia l’uso dell’espressione “il figlio” a differenza dell’ipotesi considerata nel punto 3 dell’art. 1 comma primo della stessa legge n.555/1912 e nella lettera b dell’art. 1, comma 1, della legge 91/1992 (che nell’ipotesi residuale di attribuzione della cittadinanza iure soli, contempla effettivamente quale elemento della fattispecie, l’azione del nascere, rendendo così ad esempio irrilevanti le successive modificazioni del territorio nazionale);
l’espressione “cittadino per nascita” di cui la parte iniziale dell’art. 1 della vecchia (e nuova legge) sulla cittadinanza presuppone il fatto della nascita ma non equivale necessariamente all’espressione “cittadino dal momento della nascita”;
la madre dell’attrice era “figlia di madre cittadina” al momento della nascita, ma ciò, in quel momento, stante la formulazione della norma, non comportava l’acquisto della cittadinanza italiana, poiché la madre era “inidonea a trasmettere” la cittadinanza al proprio discendente ovvero, più correttamente, poiché l’ordinamento giuridico non ricollegava alla situazione di filiazione da madre cittadina lo status di cittadino italiano;
dal 1° gennaio 1948, per effetto della modifica dell’art. 1 della legge n. 555 del 1912 imposta dalla dichiarazione di incostituzionalità emessa nel 1983 dalla sentenza n. 30 della Corte Costituzionale, la madre italiana ha acquisito l’idoneità a trasmettere la cittadinanza ai propri figli a prescindere dalla cittadinanza paterna ed in quel momento si è integrata la fattispecie prevista dalla norma così ricostruita ed emendata, sicché la madre dell’attrice, figlia di madre italiana, ha acquisito lo stato di cittadino italiano per discendenza materna;
tale interpretazione risulta del resto avallata dalla sua compatibilità costituzionale, poiché una diversa ricostruzione fondata su di una differente interpretazione delle norme giuridiche che regolano la successione delle leggi nel tempo ed in particolare una diversa interpretazione dell’art. 1 della legge 555 del 1912 che ascriva valore solo alla situazione normativa esistente al momento preciso della nascita porterebbe ad una radicale difformità di trattamento fra fattispecie del tutto assimilabili, non sorretta da alcun criterio ragionevole di discriminazione, con la conseguente lesione dell’art. 3 della Costituzione. Non si vede infatti sulla base di quali ragionevoli considerazioni, diverse dal mero arbitrio di un casuale discrimen, sia possibile negare la cittadinanza a soggetti versanti nell’identica situazione (nati da madre italiana e padre straniero), a seconda che siano nati prima o dopo il 1 gennaio 1948.
Deve poi evidenziarsi che la (omissis) non ha perso la cittadinanza italiana per effetto del matrimonio contratto con cittadino straniero in data anteriore al 1 gennaio 1948.
Invero per effetto delle sentenze della Corte costituzionale n. 87 del 1975 e 30 del 1983, la cittadinanza italiana deve essere riconosciuta in sede giudiziaria alla donna che l’abbia perduta ex art. 10 della legge n. 555 del 1912, per aver contratto matrimonio con cittadino straniero anteriormente al 1° gennaio 1948, indipendentemente dalla dichiarazione resa ai sensi dell’art. 219 della legge n. 151 del 1975, in quanto l’illegittima privazione dovuta alla norma dichiarata incostituzionale non si esaurisce con la perdita non volontaria dovuta al sorgere del vincolo coniugale, ma continua a produrre effetti anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione, in violazione del principio fondamentale della parità tra i sessi e dell’uguaglianza giuridica e morale tra i coniugi, contenuti negli art. 3 e 29 Cost. Ne consegue che la limitazione temporale dell’efficacia della dichiarazione d’incostituzionalità al 1° gennaio del 1948 non impedisce il riconoscimento dello “status” di cittadino, che ha natura permanente ed imprescrittibile ed è giustiziabile in ogni tempo, salva l’estinzione per effetto della rinuncia del richiedente. In applicazione del principio, riacquista la cittadinanza italiana dal 1° gennaio 1948 anche il figlio di donna nella situazione descritta, nato prima di tale data e nel vigore della legge n. 555 del 1912, e tale diritto si trasmette ai suoi figli, determinando il rapporto di filiazione, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, la trasmissione dello “status” di cittadino, che gli sarebbe spettato di diritto in assenza della legge discriminatoria (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 4466 del 25/02/2009)
La domanda attrice è pertanto fondata e va accolta avendo l’attrice acquisito la cittadinanza italiana per nascita da (omissis), nata in Brasile il (omissis) dalla cittadina italiana (omissis), nata in Brasile il (omissis) da cittadini italiani, (omissis) e (omissis).
Consequenzialmente va disposta anche la trascrizione nei registri dello stato civile competenti ed in particolare in quelli del Comune di origine degli avi materni (omissis), nato a Franca Villa (Potenza) e (omissis) nata a Castelluccio Inferiore (Potenza), a norma dell’art. 60 n. 3 del r.d. 9 luglio 1939 n. 1238.
Le spese di lite sono da dichiararsi irripetibili in assenza di opposizione del Ministero convenuto.
b) ordina la relativa trascrizione, con tutti gli adempimenti di legge nei registri dello stato civile competenti ed in particolare in quelli del Comune di origine degli avi materni (omissis), nato a Franca Villa (Potenza) e (omissis) nata a Castelluccio Inferiore (Potenza), a norma dell’art. 60 n. 3 del r.d. 9 luglio 1939 n. 1238;
c) compensa integralmente le spese di lite.
Teramo li 5.7.2012
Depositata in cancelleria il 31 luglio 2012.
