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Cassazione civile sez. trib. 23/08/2025, n. 23746

Massima

In materia di ricorso per cassazione contro sentenze tributarie, è dichiarato inammissibile il motivo che: a) deduca l’invalidità del mandato al difensore in grado di appello per mutamento del legale rappresentante della società senza specificare, allegare o localizzare gli atti processuali rilevanti (mandati alle liti), e senza che una precedente sentenza su fattispecie analoga ma diversa, e di natura meramente processuale, possa costituire vincolo di giudicato sostanziale; b) censuri la carenza di motivazione di un atto amministrativo (come il diniego di disapplicazione della disciplina sulle società non operative) senza adempiere all’onere di specifica indicazione, allegazione o trascrizione, anche solo dei passaggi essenziali, dell’atto stesso, come richiesto dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.; c) contesti la valutazione delle prove fornite dalla società a sostegno della richiesta disapplicazione, qualora la sentenza impugnata abbia già fornito una motivazione congrua e sufficiente sugli elementi probatori addotti. La mancanza di tale specificità comporta l’inammissibilità del ricorso nella sua interezza, con conseguente condanna alle spese per la parte soccombente.

Supporto alla lettura

RICORSO PER CASSAZIONE

Il ricorso per cassazione (artt. 360 e ss. c.p.c.) è un mezzo di impugnazione ordinario che consente di impugnare le sentenze pronunciate in unico grado o in grado d’appello, ma solo per errori di diritto, non essendo possibile dinanzi alla Suprema Corte valutare nuovamente il merito della controversia come in appello. Di solito è ammessa solo la fase rescindente in quanto il giudizio verte sull’accertamento del vizio e sulla sua eventuale cassazione, il giudizio rescissorio spetta al giudice di rinvio. Solo nel caso in cui non dovessero risultare necessari ulteriori accertamenti in cassazione, avvengono entrambi i giudizi.

La sua proposizione avviene nel termine (perentorio) di 60 giorni (c.d. termine breve), è previsto un ulteriore termine (c.d. lungo) che scade 6 mesi dopo la pubblicazione della sentenza.

Per quanto riguarda i motivi di ricorso l’art. 360 c.p.c dispone che le sentenze possono essere impugnate:

  • per motivi attinenti alla giurisdizione,
  • per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza;
  • per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro;
  • per nullità della sentenza o del procedimento;
  • per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Inoltre può essere impugnata con ricorso per cassazione una sentenza appellabile del tribunale se le parti sono d’accordo per omettere l’appello (art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.), mentre non sono immediatamente impugnabili per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio, in questo caso il ricorso può essere proposto senza necessità di riserva quando sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente il giudizio.

Il ricorso per cassazione è inammissibile (art. 360 bis c.p.c) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, oppure quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.

A pena di inammissibilità sono previsiti determinati requisiti di forma:

  • la sottoscrizione da parte di un avvocato iscritto in apposito albo e munito di procura speciale;
  • l’indicazione delle parti;
  • l’illustrazione sommaria dei fatti di causa;
  • l’indicazione della procura se conferita con atto separato e dell’eventuale decreto di ammissione al gratuito patrocinio;
  • l’indicazione degli atti processuali, dei contratti o accordi collettivi o dei documenti sui quali si fonda il ricorso;
  • i motivi del ricorso con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano.

Il ricorso va depositato, a pena di improcedibilità, entro 20 giorni dall’ultima notifica fatta alle parti contro le quali è proposto.

Chi intende resistere al ricorso per cassazione può depositare controricorso e deve essere fatto entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso, insieme agli atti e ai documenti, e con la procura speciale se conferita con atto separato.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTI DI CAUSA

Gogò Spa (d’ora in poi, anche “la contribuente”) presentò istanza per la disapplicazione per l’anno 2012 della disciplina sulle società non operative, di cui all’art. 30 della legge n. 724 del 1994, ma con nota prot. n. 2013/C3/57050 del 6 agosto 2013, l’amministrazione rigettò l’istanza, denegando la richiesta disapplicazione.

Proposto ricorso da parte della contribuente, il giudice di primo grado lo rigettò.

Su appello della contribuente, nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, la CGT-2 della Sicilia riformò la sentenza di primo grado, annullando il diniego impugnato in primo grado.

Avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

Resiste la contribuente con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c. e dell’art. 12D.Lgs. n. 546 del 1992 con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”, l’Agenzia delle Entrate per quello che in questa sede rileva, deduce che l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile in quanto il mandato ad litem al difensore dinanzi alla CGT-2 sarebbe stato conferito da un soggetto (S.d.B.), nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante pro tempore, diverso da quello che aveva conferito il mandato alla lite in primo grado (S.M.).

Questo vizio sarebbe già stato rilevato, in relazione ad una fattispecie analoga anche se non del tutto coincidente, dalla sentenza n. 6208/19/2022 della stessa CGT-2, passata in giudicato perché non impugnata.

Innanzitutto, esso manca di specificità: non sono né indicati, né allegati, né localizzati gli atti (mandati alle liti conferiti in primo e in secondo grado) rilevati ai fini della decisione.

In secondo luogo, per stessa ammissione dell’Agenzia delle Entrate, la controversia sulla quale ebbe a pronunciare la sentenza n. 6208/19/2022 della CGT-2 della Sicilia è diversa, seppur analoga, rispetto a quella per cui è ora causa, e la questione risolta dalla citata sentenza è una questione processuale, attinente alla legittimazione a stare in giudizio in nome e per conto della società in capo al soggetto che aveva conferito il mandato alle liti in grado di appello al difensore, e dunque all’esistenza di un presupposto attinente alla regolare costituzione del rapporto processuale, sicché quella sentenza, relativa a quello specifico rapporto processuale, non può costituire alcun vincolo di giudicato sostanziale nel presente giudizio (arg. ex Cass, Sez. 3, n. 16274 del 31/07/2015, Rv. 636619–01, tra le varie).

In terzo luogo, si deve rilevare che la capacità di stare in giudizio, e dunque di conferire mandato difensivo, in nome e per conto di una società, è un presupposto processuale soggetto a mutare nel tempo, sicché non può escludersi che nelle more tra l’introduzione del giudizio in primo grado e la proposizione dell’appello sia cambiato il legale rappresentante della società, legittimato a conferire il mandato alle liti in nome e per conto della stessa.

2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”, l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per aver ritenuto non motivato il diniego opposto dall’amministrazione all’istanza di disapplicazione della disciplina antielusiva.

2.1. Il motivo è inammissibile.

L’atto di diniego è stato solo genericamente indicato nel corpo del motivo, senza puntuale e localizzato riferimento alla sua eventuale produzione nel merito, e non è stato allegato al ricorso, né trascritto, almeno quanto al suo contenuto rilevante, sicché a questa Corte non è data la possibilità di verificare l’esistenza dei vizi dedotti in rubrica.

Il mezzo non adempie pertanto l’onere di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., di specifica indicazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito. (Cass., 15/01/2019, n. 777; Cass., 18/11/2015, n. 23575; Cass., S.U., 03/11/2011, n. 22726).

Tale onere (ribadito ed aggravato, con l’inserimento altresì della necessaria illustrazione del contenuto rilevante degli stessi atti processuali e documenti, dall’ art. 3, comma 27, del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, applicabile tuttavia ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1 gennaio 2023, ex art. 35, comma 5, del medesimo D.Lgs.), anche interpretato alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU, sez. I, 28 ottobre 2021, r.g. n. 55064/11, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso non indichi specificamente i documenti o gli atti processuali sui quali si fondi; non ne riassuma il contenuto o ne trascriva i passaggi essenziali; né comunque fornisca un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui essi siano stati prodotti o formati (cfr. Cass. Sez. U., 18/03/2022, n. 8950; Cass. 14/04/2022, n. 12259; Cass. 19/04/2022, n. 12481; Cass. 02/05/2023, n. 11325).

3. Con il terzo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 30 della legge n. 724/1994 e dell’art. 2697 c.c. con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”, l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata perché non avrebbe indicato le prove fornite dalla società a sostegno del suo diritto a vedersi riconoscere la disapplicazione della disciplina antielusiva.

3.1. Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata esamina gli elementi probatori addotti dalla società a sostegno del suo diritto alla disapplicazione della disciplina antielusiva e con motivazione congrua e sufficiente è giunta ad annullare il diniego di disapplicazione opposto dall’amministrazione.

4. In conclusione, il ricorso è inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore della Gogò Srl, delle spese del giudizio, che si liquidano in Euro tremila per compensi, oltre al rimborso delle spese generali, iva e c.p.a. come per legge, ed oltre ad Euro duecento di spese vive.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 giugno 2025.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2025.

Allegati

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