Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. A.A., cittadino a. nato nel (Omissis), e B.B., cittadina a. nata nel (Omissis), hanno con ricorso notificato il 1.8.2024 impugnato per cassazione il decreto emesso il 31.5.2024 dalla Corte d’Appello di Bologna, sezione civile per i minorenni, notificato il 3.7.2024 con cui è stato respinto in reclamo dai medesimi proposto avverso il diniego dell’autorizzazione prevista dall’art. 31 comma 3 D.Lgs. 286/1998 per inammissibilità del ricorso statuita dal Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna.
2. La Corte d’Appello bolognese ha rigettato il reclamo argomentando l’insussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda in ragione della tenera età della minore, che al momento della decisione aveva solo un anno e mezzo e non frequentava altri che i propri genitori e la famiglia di una cugina paterna, cosicché sarebbe del tutto indifferente vivere in Albania, pur sempre con i propri genitori e con i nonni, dai quali oltretutto il nucleo familiare è ancora sostenuto e con il quale mantiene il legame maggiore.
3. A seguito del presente ricorso è stata comunicata ai ricorrenti la seguente proposta di definizione anticipata ex art. 380-bis cod. proc. civ.:
Ritenuto che:
Con un unico motivo A.A. e B.B. hanno impugnato per cassazione il decreto della Corte di appello di Bologna con cui è stato rigettato il reclamo avverso il provvedimento del Tribunale dei minori dell’Emilia – Romagna avente ad oggetto la richiesta di autorizzazione a permanere nel territorio italiano.
In particolare, i ricorrenti hanno denunciato la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 31 co. 3 dlg.286/98 per non avere la Corte di
Appello di Bologna tenuto in alcun conto la situazione giuridica, nonché il superiore interesse della minore in questione. Sostengono infatti che la motivazione su cui si basa il diniego, sarebbe incentrata unicamente sul fatto che per la tenera età della bambina, che ad oggi ha solo un anno e mezzo e non frequenta altri che i propri genitori e la famiglia di una cugina paterna, sarebbe del tutto indifferente vivere in Albania”. Evidenziano, altresì, che il sig. A.A.e la sig.ra B.B.hanno concretamente costruito in Italia, da ormai quasi 2 anni, una famiglia, nella quale è nata la loro figlia C.C. a F. il (Omissis) cresciuta in questi anni di vita in un ambiente idoneo, che le ha permesso un iniziale sviluppo cognitivo e sociale; che si tratta di una famiglia, oggettivamente inserita e radicata nel territorio considerati gli anni trascorsi in Italia, e che entrambi i genitori sono impegnati a garantire tutto ciò che serve alla piccola C.C..
In relazione a tale motivo occorre rilevare l’inammissibilità dei profili oggettivi evidenziati dagli odierni ricorrenti in quanto le censure lamentate si traducono in censure di merito dirette a sollecitare un riesame dei fatti su cui il Giudice di secondo grado si è già insindacabilmente pronunciato in sede di reclamo, peraltro fornendo adeguata motivazione in ordine al non pregiudizio derivante nei confronti della minore nel caso di rientro in Albania.
Più precisamente, la Corte di Appello ha rilevato che “Alla luce di quanto emerso dall’istruttoria svolta dal Servizio e dalla documentazione in atti, non pare configurarsi, nel caso di specie, il presupposto indefettibile, ai fini del rilascio dell’autorizzazione in esame, del “grave pregiudizio” che la minore subirebbe nel caso di rientro in Albania a seguito dei suoi genitori atteso che l’assai minimo periodo intercorso dal momento della nascita della minore ad oggi, non permette di ritenere che la stessa abbia consolidato abitudini di vita e affetti tali da subire un pregiudizio nel suo percorso di crescita in caso di allontanamento dal territorio nazionale. Inoltre, neppure può dirsi maturato un sufficiente livello di radicamento da parte dei genitori i quali, come sopra riportato, non svolgono alcuna attività lavorativa, conseguentemente non sono riusciti, dal loro ingresso in Italia, a reperire un’autonoma soluzione abitativa e non risulta che gli stessi abbiano sviluppato relazioni sociali nel territorio in cui vivono. Quanto appena rilevato non contraddice il principio di diritto enunciato dalla recente ordinanza nella quale la Suprema Corte n.22027/2023 ha affermato che, quanto al pregiudizio per il minore, occorre tenere conto, oltre che del disagio cui lo stesso sarebbe esposto in caso di distacco dal luogo in cui si trova il centro dei suoi interessi e relazioni, “a) del radicamento della famiglia nel territorio nazionale e dello sforzo di inserimento nella società italiana”, e altresì valorizzare l’impegno dimostrato dai genitori nella ricerca di un lavoro e di un’adeguata e stabile soluzione abitativa, quali indici di una loro crescente integrazione nel locale contesto socio abitativo. Si osserva infatti che dalle indagini approfondite svolte da questa Corte a mezzo del Servizio sociale (appunto la relazione aggiornata) non emerge alcun radicamento della minore nell’ambiente italiano e neppure dei suoi genitori.” La motivazione risulta del tutto logica e coerente e non collide con i principi di diritto sopra enucleati dalla Suprema Corte (Cass.773/2020), che ha ribadito che i “gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico” del minore, che consentono la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del suo familiare, secondo la disciplina prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31 devono consistere “in situazioni oggettivamente gravi, comportanti una seria compromissione dell’equilibrio psicofisico del minore, non altrimenti evitabile se non attraverso il rilascio della misura autorizzativa”, non potendosi intendere la normativa in esame come volta ad assicurare una generica tutela del diritto alla coesione familiare del minore e dei suoi genitori, cosicché sul richiedente l’autorizzazione incombe, pertanto, l’onere di allegazione “della specifica situazione di grave pregiudizio che potrebbe derivare al minore”. propone la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. “.
5. I ricorrenti hanno nei termini di legge chiesto la decisione ai sensi dell’art. 380-bis, comma 2, cod. proc. civ. e, conseguentemente è stata fissata la presente adunanza camerale.
6. Il Collegio ritiene che la sopra trascritta proposta di definizione anticipata debba essere confermata in quanto del tutto condivisibile sia perché si pone in linea di continuità con la citata giurisprudenza della Corte (cfr. Cass.25662/2022;id.335/2023) sia perché la prospettata inammissibilità non è inficiata dalle considerazioni integrative svolte nella memoria di parte, dal momento che la Corte d’Appello ha svolto un esame complessivo della effettiva situazione familiare avendo riguardo non isolatamente ed astrattamente alla tenera età della minore ma al grado di integrazione sociale ed economica dei genitori (che non svolgono alcuna attività lavorativa, non godono di autonoma soluzione abitativa e non hanno sviluppato relazioni sociali nel territorio in cui vivono) ed escludendo, alla luce di tutto ciò, che il rimpatrio in Albania potesse costituire un oggettivo grave pregiudizio per la minore.
7. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.
8. In applicazione dell’art. 380-bis, comma 3, cod. proc. civ. i ricorrenti sono condannati al pagamento a favore della Cassa delle ammende della complessiva somma di Euro 1500,00 ai sensi dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. (cfr. Cass. 19641/2025).
9. Il processo risulta esente e non si applica l’art. 13, comma 1 quater D.P.R. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 3 al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della complessiva somma di Euro 1500,00.
Il processo risulta esente e non si applica l’art. 13, comma 1 quater D.P.R. 115/2002.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri elementi identificativi a norma dell’art.52, comma 2, D.Lgs. 196/2003.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 03 luglio 2025.
Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2025
