FATTI DI CAUSA
Gr.Al., sull’assunto di rientrare fra i soggetti ammessi a beneficiare delle agevolazioni fiscali stabilite dall’art. 16, comma 1, del D.Lgs. n. 147 del 2015 in favore dei lavoratori “impatriati”, chiedeva alla Direzione Provinciale II di Milano dell’Agenzia delle Entrate il rimborso della maggior IRPEF e delle relative addizionali versate per l’anno 2018.
Formatosi il silenzio-rifiuto, il contribuente lo impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la quale, in accoglimento del suo ricorso, annullava il diniego tacito opposto dall’Amministrazione, ordinandole di procedere al chiesto rimborso.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, che con sentenza n. 297/2024 del 29 gennaio 2024 respingeva l’appello erariale.
Contro questa sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a un solo motivo.
Il Gr.Al. ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015.
1.1 Si assume che avrebbe errato la CGT-2 lombarda nel riconoscere al Gr.Al. l’invocato diritto al rimborso delle maggiori imposte versate per l’anno 2018, sebbene egli non avesse rivolto al proprio datore di lavoro alcuna richiesta scritta finalizzata ad ottenere l’applicazione delle agevolazioni di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015 in fase di calcolo delle ritenute da effettuare, né esercitato, in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, l’opzione per il regime speciale fissato dalla detta norma.
1.2 Viene, al riguardo, obiettato che trattavasi di “adempimenti non altrimenti surrogabili”, tenuto conto della “natura agevolativa,
e dunque eccezionale”, della citata disposizione.
1.3 Il motivo è infondato.
1.4 Come segnalato dalla stessa Agenzia delle Entrate nella memoria illustrativa ex art. 380-bis.1, comma 1, terzo periodo, c.p.c., la questione posta dal motivo in esame è già stata affrontata da questa Corte con ordinanza n. 34655/2024.
1.5 In essa è stato anzitutto ricordato che:
– a tenore dell’art. 16, comma 4, del D.Lgs. n. 147 del 2015, ai lavoratori indicati dall’art. 2, comma 1, della L. n. 238 del 2010 trasferitisi in Italia entro il 31 dicembre 2015 si applica, per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016 e per quello successivo, la disciplina recata dalla predetta legge, ferma la possibilità alternativa di optare per il regime di cui al medesimo art. 16, “secondo le modalità definite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione”;
– in base all’art. 3, comma 5, della L. n. 238 del 2010, “il beneficio attribuito ai lavoratori dipendenti, su specifica richiesta di questi ultimi, è computato dal datore di lavoro ai fini del calcolo delle ritenute fiscali”, con l’osservanza delle modalità applicative da determinare, anche in questo caso, mediante apposito provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate.
1.6. Si è poi evidenziato che:
– il meccanismo per la fruizione del beneficio non è, quindi, mutato con l’introduzione dell’art. 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015, il quale ha semplicemente previsto che con domanda diretta al datore di lavoro -necessaria in ogni caso a mente dell’art. 3, comma 5, della L. n. 238 del 2010- il lavoratore possa esercitare la propria opzione per il regime stabilito dallo stesso art. 16, rimanendo altrimenti applicabile nei suoi confronti la citata legge n. 238, qualora egli inoltri la richiesta senza precisare che intende avvalersi di tale regime;
– l’art. 5, comma 1, lettera d) del D.L. n. 34 del 2019, convertito in L. n. 58 del 2019 (rubricato “Rientro dei cervelli”), ha aggiunto al menzionato art. 16 il comma 5-ter, il quale, con riferimento al regime fiscale relativo ai lavoratori “impatriati”, dispone che “non si fa luogo, in ogni caso, al rimborso delle somme versate in adempimento spontaneo”;
– tale norma non è applicabile retroattivamente, come può ricavarsi dal successivo comma 2 dello stesso art. 5;
– l’assenza di un divieto di rimborso antecedentemente all’introduzione del menzionato comma 5-ter consente, dunque, di affermare che la scadenza del termine indicato nei provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle Entrate non comporta la decadenza dal beneficio fiscale, ma semplicemente impedisce di attivare la procedura di opzione per il regime speciale tramite il sostituto di imposta, ponendo a carico del contribuente l’onere di richiedere il rimborso della maggiore imposta versata;
– anche la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 14/E del 4 maggio 2012, dopo aver rammentato che la richiesta di cui all’art. 3, comma 5, della L. n. 238 del 2010 deve essere inoltrata entro “tre mesi dall’assunzione”, giusta quanto statuito dall’art. 1.1 del provvedimento direttoriale del 29 luglio 2011, ha precisato che, “in via residuale, il soggetto interessato può presentare richiesta di rimborso ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 602/1973 a un Ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate, allegando la documentazione rilevante a dimostrare la sussistenza dei presupposti per la fruizione del beneficio” (art. 2.2);
– la puntualizzazione contenuta nella circolare dell’Agenzia n. 17/E del 23 maggio 2017 -ove si specifica che, “nelle ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia potuto riconoscere l’agevolazione, il contribuente può fruirne, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, direttamente nella dichiarazione dei redditi” (art. 4.2.1)-, da un lato, non esonera il lavoratore dalla formulazione della richiesta al datore di lavoro, ma gli offre unicamente una strada alternativa percorribile in caso di impossibilità di provvedere da parte del medesimo; dall’altro, non sancisce (né potrebbe farlo, perché priva di valore di legge) alcun divieto di rimborso, operante soltanto a sèguito dell’entrata in vigore del comma 5-ter dell’art. 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015.
1.7 Ciò posto, va osservato che l’impugnata decisione si conforma ai suenunciati princìpi di diritto, ribaditi da questo Supremo Collegio nell’ordinanza n. 15234/2025.
1.8 I giudici regionali hanno, infatti, affermato che “la decadenza dall’agevolazione per i rimpatriati (recte: impatriati – n.d.r.) per la mancata richiesta al datore di lavoro, o tramite la denunzia dei redditi, non è prevista da alcuna norma, né può farsi riferimento, come sostenuto dall’Ufficio, al comma ter-quater (recte: 3-quater -n.d.r.) dell’art. 44 del DL 78/2010, il quale prevede che “non si fa luogo in ogni caso al rimborso delle imposte versate in adempimento spontaneo””, in quanto esso è stato “inserit(o) con una modifica successiva (D.L. 34/2019)” e “dunque, ratione temporis, non si può applicare al caso in esame, che riguarda tassazioni per annualità precedenti alla sua entrata in vigore”.
1.9 In proposito, è utile rimarcare che:
(a) il richiamato comma 3-quater dell’art. 44 del D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010, e il comma 5-ter dell’art. 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015 recano, nell’ultimo periodo, una disposizione di identico tenore;
(b) entrambe le predette norme sono state inserite dall’art. 5 del D.L. n. 34 del 2019, il quale ha espressamente escluso la loro efficacia retroattiva (si vedano i commi 2 e 5 dell’articolo in questione).
1.10 Non sussiste, pertanto, il lamentato “error in iudicando”.
2. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
3. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
4. Non si fa luogo all’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), essendo l’Agenzia delle Entrate esentata dal pagamento delle imposte e tasse gravanti sul processo (cfr. Cass. n. 4752/2025, Cass. n. 28204/2024, Cass. n. 27301/2016).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 4.300 Euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte Suprema di Cassazione, in data 3 luglio 2025.
Depositata in Cancelleria il 19 agosto 2025.
