Massima

In materia di protezione internazionale, è inammissibile il ricorso per cassazione volto a sindacare l’apprezzamento di fatto del giudice di merito sulla credibilità del racconto del richiedente asilo e sull’assenza di una situazione di violenza generalizzata nel paese d’origine. Per il riconoscimento della protezione umanitaria, non sono sufficienti mere allegazioni sulle condizioni generali del paese di provenienza, essendo richiesta la prova di una specifica e personale condizione di vulnerabilità del richiedente.

Supporto alla lettura

PROTEZIONE INTERNAZIONALE

La protezione internazionale è la categoria generale delle figure del diritto di asilo, che l’art. 10 Cost. riconosce allo straniero che nel suo Paese non può esercitare le libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

Il nostro sistema prevede tre figure di protezione:

  • status di rifugiato: riguarda il cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può, o non vuole, avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le medesime ragioni sopra esposte e non può, o non vuole, farvi ritorno (nell’ambito di tali forme di persecuzione, sono state ricomprese alcune specifiche ipotesi fra cui la condizione degli omosessuali incriminati o a rischio di incriminazione perché nei loro Paesi gli atti omosessuali sono reato; la condizione delle donne a rischio di mutilazioni genitali femminili; la condizione dei fedeli di pratiche religiose proibite);
  • protezione sussidiaria:  concerne il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati  motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe il rischio effettivo di subire un grave danno, da individuarsi nella condanna a morte o nell’esecuzione della pena di morte, oppure nella tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante oppure, infine, nella minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale;
  • protezione umanitaria: non è uno status, è prevista da leggi nazionali che attuano il suggerimento europeo di proteggere persone in stato di vulnerabilità, per le quali sussistano gravi motivi umanitari (es. le ipotesi di minori non accompagnati; persone a rischio di epidemie nel proprio Paese; persone provenienti da paesi in cui vi è un conflitto armato non così grave da giustificare la protezione sussidiaria; richiedenti che, avendo in attesa della decisione sulla domanda avuto modo di inserirsi stabilmente nella società nazionale, non vanno sradicate dal nuovo contesto di vita).

Lo status di rifugiato è tendenzialmente permanente mentre la protezione sussidiaria dura cinque anni rinnovabili; entrambi possono essere revocati per seri motivi (es. commissione di reati gravi) oppure per il miglioramento radicale della situazione del Paese di origine. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari dura di solito due anni rinnovabili ed è rilasciato dal Questore (non dal giudice o dall’organo amministrativo, che si limitano a dichiarare che ve ne sono le condizioni).

La domanda di protezione è proposta in via amministrativa alle forze di polizia ed esaminata dalle Commissioni territoriali insediate nelle sedi stabilite dalla legge. La domanda è istruita con l’ascolto del richiedente asilo (la c.d. intervista) sulla vita passata e sulle ragioni dell’emigrazione, esaminati alla luce delle informazioni sul Paese di origine, le country of origin information (Coi). Decide poi con provvedimento motivato sia rispetto alla credibilità intrinseca che ai riscontri e alle Coi disponibili. Il richiedente può impugnare il provvedimento in tutto o in parte sfavorevole davanti al tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello dove ha sede la commissione territoriale o la sua sezione distaccata che ha emesso il provvedimento, oppure il Cara che ospita il richiedente asilo.

Il giudice decide sul rapporto; non può annullare l’atto perché mal motivato o viziato, ma esamina il merito. Avendo pieni poteri ufficiosi, può ricercare le Coi attraverso riviste, rapporti di ong, siti Internet specializzati (ma non deve chiedere al Paese di provenienza, il quale potrebbe fornire informazioni falsate o svolgere attività intese a perfezionare la persecuzione dedotta dal richiedente). E’ obbligatorio l’intervento del Pm.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

che:

1. Il Tribunale di Roma, con decreto del 10 aprile 2020, rigettava il ricorso proposto da (omissis), cittadino dell’Azerbaigian, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento della protezione internazionale.

In particolare, il Tribunale, una volta ritenuto non credibile il racconto del migrante, osservava che in Azerbaigian non esisteva una situazione di violenza generalizzata tale da far ragionevolmente ritenere che il migrante, se rimpatriato, avrebbe corso un rischio effettivo di minaccia grave e individuale alla vita per la sola presenza nel territorio.

Il collegio di merito, inoltre, escludeva la sussistenza di una condizione di menomata dignità o fragilità per motivi di salute che giustificasse il riconoscimento della protezione umanitaria, rilevando nel contempo che il migrante non aveva raggiunto un livello di integrazione tale da far ritenere che un rimpatrio avrebbe comportato una regressione delle sue condizioni personali e sociali.

2. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso (omissis) prospettando due motivi di doglianza.

Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c. al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Motivi della decisione

che:

3. Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, e del D.Lgs. n. 251 del 2007art. 14, non essendo possibile comprendere come il giudicante – tenuto alla valutazione dell’esistenza di una condizione di violenza generalizzata – non avesse potuto considerare, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria o umanitaria, la situazione di grave violazione dei diritti umani esistente in Azerbaigian. 3. Il motivo è nel suo complesso inammissibile.

3.1 Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 17075 del 2018).

Il Tribunale si è ispirato a simili criteri, prendendo in esame informazioni sulla situazione in Azerbaigian risalenti all’anno 2020. Queste valutazioni non paiono superate da quelle a cui fa riferimento il motivo di ricorso, di epoca antecedente e il cui contenuto, comunque, non attesta l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato.

La critica in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati dal Tribunale, malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 32064 del 2018).

3.2 Quanto invece al mancato esame della situazione esistente in Azerbaigian sotto il profilo del diritto alla salute e all’alimentazione ai fini della domanda relativa alla concessione della protezione umanitaria, se è ben vero che il giudizio di non credibilità della narrazione del richiedente non precludeva di per sè la valutazione di diverse circostanze che concretizzassero una situazione di vulnerabilità (Cass. n. 10922 del 2019), occorre tuttavia rilevare che a tal fine non erano sufficienti allegazioni sulla sola situazione generale esistente nel paese di origine (che peraltro non risulta neppure che siano state fatte in sede di merito).

In vero, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, quale misura atipica e residuale, è il frutto della valutazione della specifica condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente.

Ne consegue che non è sufficiente – in funzione dell’accoglimento della protezione umanitaria – la mera allegazione delle condizioni generali del paese di origine a cui non si accompagni l’indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità.

4. Il secondo motivo denuncia la violazione della Dir. Europea 29 aprile 2004, e del D.Lgs. n. 251 del 2007art. 3, in relazione all’onere probatorio, in quanto il ricorrente aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per dimostrare i fatti allegati, di modo che non erano accettabili diagnosi di non credibilità che non tenessero conto dei limiti del suo livello culturale, dovendosi piuttosto avere riguardo al livello di pericolosità del paese di origine.

5. Il motivo è inammissibile.

Il giudice di merito si è ispirato ai criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007art. 3, comma 5, laddove, all’esito dell’esame delle dichiarazioni rese dal migrante in sede amministrativa e giudiziaria, ha rilevato che il racconto offerto dal richiedente asilo risultava contraddittorio, non plausibile e in contrasto con il contenuto della documentazione prodotta e delle fonti internazionali disponibili.

Tale valutazione costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, censurabile in questa sede solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

Si deve invece escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente asilo, nel senso proposto in ricorso, trattandosi di censura attinente al merito; censure di questo tipo si riducono infatti all’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che però è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce invece alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

6. In forza delle ragioni sopra illustrate il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c., ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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