Con l’ordinanza impugnata il tribunale di Roma ha respinto la domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis che gli appellanti ripropongono in questa sede.
Il tribunale aveva così motivato: “Con ricorso depositato l’11 ottobre 2018 i ricorrenti hanno chiesto il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis, esponendo di essere discendenti di (omissis), cittadina italiana nata a Gosaldo (BL) il (omissis) ed emigrata in Venezuela, dove si era sposata il 23.12.1939 con (omissis), aveva con esso generato il 25.5.1946 il figlio (omissis), ricorrente, e si era successivamente naturalizzata cittadina venezuelana nel 1954, quando il figlio era ancora minorenne. Hanno dedotto che (omissis), originariamente cittadina italiana, alla luce dell’allora vigente legge n. 555 del 1912, era priva del diritto di trasmettere iure sanguinis la cittadinanza ai propri figli ed ai propri discendenti; che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 30 del 1983 aveva dichiarato l’illegittimità dell’articolo 1 n. 1 della legge n. 555 del 1912 nella parte in cui non prevedeva che fosse cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina; che la Corte di Cassazione, con pronuncia a Sezioni Unite n. 4466 del 25 febbraio 2009, ha riconosciuto che, anche per le situazioni preesistenti all’entrata in vigore della Costituzione, deve ritenersi che il diritto di cittadinanza sia uno status permanente ed imprescrittibile, giustiziabile in ogni tempo se la sua illegittima privazione perdura anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione a causa di una norma discriminatoria dichiarata incostituzionale. 2 La linea di discendenza riportata nel ricorso trova esatto riscontro nella documentazione versata in atti. Risulta però che (omissis) è stata naturalizzata cittadina venezuelana nel 1954, quando il figlio odierno ricorrente, nato il (omissis), era ancora minorenne. Il ricorrente (omissis) è pertanto nato cittadino italiano, ma ha perso la cittadinanza a seguito della perdita della cittadinanza da parte della propria madre quando era ancora minore e con lei convivente (art. 12 L. n. 555 del 1912 che, all’epoca della naturalizzazione del padre, regolava la cittadinanza), essendo invece il padre cittadino venezuelano.”.
Riportata per esteso la motivazione di una pronuncia della Corte di Cassazione (e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9377 del 2011) il primo giudice ha escluso che quei principi fossero “automaticamente applicabili al caso di specie in quanto il ricorrente (omissis) non era nella possibilità di esercitare il diritto previsto dalla legge n. 555/1912 di optare per la cittadinanza italiana al compimento della maggiore età, in quanto la trasmissione iuris sanguinis per via materna non era prevista al momento in cui egli era divenuto maggiorenne (maggio 1964). Tale possibilità è stata infatti riconosciuta solo dalla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 1983, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 1, n. 1, della legge n. 555 del 1912, nella parte in cui non prevedeva che fosse cittadino per nascita anche il figlio da madre cittadina. Egli non sapeva, nemmeno, pertanto, di poter esercitare il diritto di optare per la cittadinanza italiana al compimento della maggiore età. Ritenuto, pertanto, che sia irrilevante ai fini che qui interessano la dichiarazione di scelta in favore della cittadinanza italiana, il ricorrente da ultimo menzionato ed i suoi discendenti avrebbero, però, dovuto dimostrare la sussistenza in capo a (omissis) degli ulteriori sopra menzionati requisiti previsti dalla normativa all’epoca in vigore per poter optare per la cittadinanza italiana (in particolare dall’art 9 L. n. 555/2012 che indicava quale requisito essenziale per il riacquisto della cittadinanza la residenza nel territorio italiano, l’aver prestato servizio militare per l’Italia od aver trasferito la residenza in altro stato estero del quale non si era acquisita la cittadinanza). Tali norme, non solo non sono state dichiarate incostituzionali, ma nemmeno appaiono tali, rientrando, come già ribadito dalla citata pronuncia della Suprema Corte, nella discrezionalità del legislatore. Non avendo i ricorrenti dato prova della sussistenza degli ulteriori presupposti di cui all’art. 9, resta per (omissis) preclusa la possibilità di invocare l’acquisto della cittadinanza iure sanguinis per linea materna da (omissis), con ogni conseguenza relativa ai suoi discendenti ed alla moglie (omissis) (per quest’ultima iure matrimonii), anch’essi odierni ricorrenti. Né è sostenibile che alla fattispecie si applichi la disposizione dell’art. 7 L. 555/1912, secondo cui “il cittadino italiano nato e residente in uno stato estero, dal quale sia ritenuto proprio cittadino per nascita, conserva la cittadinanza italiana, che si riferisce al diverso caso in cui alla cittadinanza per discendenza si aggiunga, sulla base dello ius soli, la cittadinanza dello stato straniero in cui sia venuto alla luce il cittadino italiano; del resto a voler diversamente argomentare, la norma di cui all’art. 12 avrebbe finito per restare priva di ogni applicazione pratica (cfr., da ultimo, Corte Appello di Roma, n. 6222/2020 del 9.12.2020).”.
(omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis) hanno proposto appello proponendo una lettura dell’art. 7 l. 555/1912 diversa da quella adottata dal tribunale e ciò anche sulla scorta di alcune pronunce di questa Corte d’Appello.
Il MINISTRO DELL’INTERNO non si è costituito.
L’appello è stato trattenuto in decisione all’udienza del 21/06/2023, con concessione dei termini di legge per il deposito di memorie conclusionali.
Il gravame non può essere accolto poiché la soluzione adottata da tribunale è in linea con la giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ, sez I, ordinanza 17161/2023).
Nell’affrontare una fattispecie analoga la Suprema Corte così si è espressa: “Al quesito deve darsi risposta affermativa. L’art. 12, comma 3, della legge n. 555 del 1912 – secondo cui “i figli minori non emancipati di chi perde la cittadinanza divengono stranieri, quando abbiano comune la residenza col genitore esercente la patria potestà o la cittadinanza di uno stato straniero. Saranno però loro applicabili le disposizioni degli articoli 3 e 9” – si riferisce proprio al caso in cui il figlio minore di cittadino italiano, se (o proprio perché) ha acquistato la cittadinanza straniera (ad esempio, per nascita nel paese straniero), perde la cittadinanza italiana in conseguenza della perdita della stessa da parte del padre, salva la possibilità di riacquistarla nei casi previsti dagli artt. 3 e 9 che qui non ricorrono. È questo il caso di che, essendo figlio minore di che perse la cittadinanza italiana per naturalizzazione volontaria nel 1924, la perse anche lui, conservando quella americana (acquistata dalla nascita negli U.S.A.). Alla medesima conclusione è pervenuta questa Corte, secondo cui i figli minori di persona che, ai sensi dell’art. 8, n. 1, della legge n. 555 del 1912, abbia perduto la cittadinanza italiana, avendo spontaneamente acquistato la cittadinanza straniera e stabilito all’estero la propria residenza, perdono anch’essi la cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 12, comma 3, della stessa legge del 1912, non rilevando l’esistenza di una valida consapevolezza in capo ai minori di voler rinunciare alla pregressa cittadinanza, potendo i predetti minori riacquistare la cittadinanza italiana mediante dichiarazione di volerla scegliere al compimento della maggiore età, a condizione di risiedere nel Regno, ai sensi degli artt. 3 e 9 della stessa legge (Cass., sez. 1, n. 9377 del 2011), ipotesi non verificatasi nella specie. Infondato è l’argomento difensivo che fa leva sull’art. 7, comma 1, della stessa legge, secondo cui “salvo speciali disposizioni da stipulare con contratti internazionali, il cittadino nato e residente in uno stato estero, dal quale sia ritenuto proprio cittadino per nascita, conserva la cittadinanza italiana, ma divenuto maggiore o emancipato può rinunciarvi”. Disposizione questa non applicabile perché avendo perduto la cittadinanza italiana in quanto figlio minore di cittadino non più italiano, non poteva conservare la cittadinanza italiana per aggiungerla a quella americana e, quindi, nemmeno poteva rinunciarvi o trasmetterla ai discendenti. In altri termini, la citata disposizione, come rilevato dalla Corte territoriale, “si riferisce al caso diverso di doppia cittadinanza che nella specie non sussiste in quanto il ricorrente, come detto, era figlio di cittadino statunitense al momento della nascita”.
La contumacia dell’appellato dispensa dalla pronuncia sulle spese.
Poiché il presente giudizio è iniziato successivamente al 30 gennaio 2013 e l’appello è respinto, sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che dispone l’obbligo del versamento, da parte dell’appellante, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello, ogni altra conclusione disattesa, così provvede:a) respinge l’appello;
b) nulla sulle spese;
dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 come successivamente modificato e integrato, che sussistono i presupposti per il versamento, da parte degli appellanti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma il giorno 25/09/2023.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 28 SET. 2023.
