Emigrata negli Stati Uniti d’America, lì trascorreva la propria vita senza però mai naturalizzarsi cittadina americana. In particolare, il (omissis) sposava (omissis) cittadino italiano, nato a San Cataldo (CL) il (omissis), che si naturalizzava americano il 29.5.1914 e con lui, il (omissis), aveva una figlia, (omissis).
Il resistente si costituiva in giudizio sostenendo, in applicazione dei principi di diritto sanciti dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 4466 del 25.2.2009 e previa verifica della regolarità della documentazione depositata, che il ricorso andava accolto e chiedendo, altresì, la compensazione delle spese come conseguenza della propria sostanziale non opposizione alla domanda.
All’udienza del 6.12.2023, celebrata in forma scritta ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c., la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni avanti trascritte.
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Nella fattispecie, i ricorrenti hanno agito in giudizio per il riconoscimento della cittadinanza italiana in virtù della loro discendenza dalla cittadina italiana (omissis), a suo tempo emigrata negli Stati Uniti d’America dove, senza mai naturalizzarsi, trascorreva la propria esistenza, anche generando prole.
Nel sistema delineato dal codice civile del 1865, dalla successiva legge sulla cittadinanza n. 555 del 1912 e dall’attuale legge n. 91 del 1992, la cittadinanza per fatto di nascita si acquista a titolo originario iure sanguinis e lo status di cittadino, una volta acquisito, ha natura permanente, è imprescrittibile ed è giustiziabile in ogni tempo in base alla semplice prova della fattispecie acquisitiva integrata dalla nascita da cittadino italiano, occorrendo, quale unica condizione, che la catena di trasmissione della cittadinanza non si sia interrotta per naturalizzazione o per rinuncia di uno degli ascendenti prima della nascita del figlio cui si vorrebbe trasmettere la cittadinanza.
In particolare, l’acquisto della cittadinanza è automatico nel caso di nascita all’interno del matrimonio in cui almeno uno dei genitori sia cittadino italiano, occorrendo invece, ai sensi dell’art. 2 della Legge n. 91 del 1992, in caso di nascita al di fuori del matrimonio, il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale della filiazione.
A chi richieda il riconoscimento della cittadinanza spetta di provare solo il fatto acquisitivo e la linea di trasmissione, mentre incombe sulla controparte che ne abbia fatto eccezione la prova dell’eventuale fattispecie interruttiva.
Dai documenti prodotti, risulta che (omissis) si sia naturalizzato cittadino americano il 29.5.1914 e dunque prima della nascita della propria figlia, (omissis), avvenuta il (omissis). L’avo italiano, (omissis), invece non ha mai rinunciato alla cittadinanza italiana né ha mai acquisito quella americana (cfr. certificato di non naturalizzazione depositato dai ricorrenti) e, pertanto, non è mai incorsa in uno dei casi di perdita della cittadinanza italiana, di cui ai numeri 1) e 2) dell’art. 11, cod. civ. 1865, trasmettendola, piuttosto, “iure sanguinis” ai propri discendenti.
Nessun effetto, infatti, ha prodotto la naturalizzazione di (omissis) sulla di lui moglie, (omissis), in assenza di un atto espresso di questa. La di loro figlia, (omissis), invece acquisiva la cittadinanza italiana in quanto nata da madre italiana.
Del resto, l’art. 11 n. 2 cod. civ. 1865, nello stabilire che la cittadinanza italiana è persa da colui che abbia “ottenuto la cittadinanza in paese estero”, sottintende, per gli effetti sulla linea di trasmissione iure sanguinis ai discendenti, che si accerti il compimento, da parte della persona all’epoca emigrata, di un atto spontaneo e volontario finalizzato all’acquisto della cittadinanza straniera, senza che l’aver stabilito all’estero la residenza o anche l’aver stabilizzato all’estero la propria condizione di vita possa considerarsi bastevole, unitamente alla mancata reazione al provvedimento generalizzato di naturalizzazione, a integrare la fattispecie estintiva dello status per accettazione tacita degli effetti di quel provvedimento (cfr. Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 25317 del 24 agosto 2022).
Una simile interpretazione, ormai risalente nel tempo, trova conferma ancora oggi; infatti “in tema di status della persona, in riferimento alle situazioni giuridiche regolate anteriormente all’entrata in vigore dell’attuale codice civile, l’ottenimento della cittadinanza straniera, che ai sensi dell’art. 11 cod. civ. del 1865 comportava la perdita della cittadinanza italiana, presupponeva ontologicamente una preventiva richiesta della predetta cittadinanza straniera da parte dell’interessato; dunque, la perdita della cittadinanza italiana non poteva mai essere l’effetto di un automatismo o di un comportamento meramente negativo del cittadino, non potendo le leggi di un paese straniero derogare alle norme imperative nazionali in ordine all’acquisto ed alla perdita della cittadinanza” (Corte d’Appello di L’Aquila, sentenza n. 1460 del 30.9.2021).
Quanto detto risulta essere in linea, operando una interpretazione storica del citato art. 11, con quella che era la ratio del Legislatore dell’epoca, ossia quella di mantenere l’identità della cittadinanza all’interno del nucleo familiare al fine di mantenere un legame con gli emigrati all’estero, considerati come una possibile risorsa per la nazione; diversamente opinando, ciò avrebbe comportato che tutti i figli degli emigrati italiani nati nei Paesi che prevedano lo ius loci – vale a dire la quasi totalità dei Paesi del continente americano – sarebbero divenuti cittadini stranieri al contrario dei loro genitori.
Orbene, la linea di discendenza riportata dai ricorrenti – e dunque quella originata da (omissis) e non già anche dal di lei marito – trova esatta corrispondenza nella documentazione versata in atti. Inoltre, né i ricorrenti né gli ascendenti hanno mai rinunciato alla cittadinanza italiana interrompendo la catena di trasmissione della cittadinanza, come provato mediante appositi certificati rilasciati dalle competenti Autorità e apostillati.
Giova tuttavia evidenziare che nella linea di discendenza riportata in ricorso si individuano una serie di eventi occorsi in epoca precostituzionale e riguardanti i predecessori degli odierni ricorrenti. Trattasi, in particolare, della nascita di (omissis), figlia dell’avo (omissis), occorsa il 5.12.1915 e dunque della nascita da questa di (omissis), avvenuta il (omissis).
Tale sequenza di atti, sulla base della legge al tempo vigente, determinava l’interruzione della trasmissione della cittadinanza iure sanguinis, sia perché l’art. 10 della l. n. 555/1912 stabiliva la perdita della cittadinanza italiana per la donna che si univa in matrimonio con un cittadino straniero, sia perché a quel tempo l’acquisizione della stessa era prevista, salvi casi marginali, unicamente per via paterna.
Tuttavia, la Corte Costituzionale con sentenza n. 30 del 1983 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art.1 n.1 L. 555/1912 per violazione degli artt. 3 e 29 della Costituzione “nella parte in cui non prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina”, consentendo, in tal modo, la possibilità di acquisto della cittadinanza italiana per via materna.
In precedenza, la medesima Corte, con la sentenza n. 87 del 1975, aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 29 Cost., il sopra citato art.10 della Legge n. 555 del 1912 “nella parte in cui prevede la perdita della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna”.
Secondo un primo orientamento, gli effetti favorevoli di tali pronunce potevano prodursi solo a partire dalla data di entrata in vigore della Costituzione, con “salvezza” delle situazioni già definite all’epoca.
Tale sostanziale disparità di trattamento è stata poi superata dalla Corte di Cassazione, la quale, pronunciandosi a Sezioni Unite, ha affermato che “pur condividendo il principio dell’incostituzionalità sopravvenuta, secondo il quale la declaratoria di incostituzionalità delle norme pre-costituzionali produce effetto soltanto sui rapporti e le situazioni non ancora esaurite alla data del 1° gennaio 1948, non potendo retroagire oltre l’entrata in vigore della Costituzione, la Corte afferma che il diritto di cittadinanza in quanto “status” permanente ed imprescrittibile, salva l’estinzione per effetto di rinuncia da parte del richiedente, è giustiziabile in ogni tempo (anche in caso di pregressa morte dell’ascendente o del genitore dai quali deriva il riconoscimento) per l’effetto perdurante anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione dell’illegittima privazione dovuta alla norma discriminatoria dichiarata incostituzionale”. (Cass. Sez. Unite sent. n. 4466 del 25/02/2009). Ed ancora “lo stato di cittadino è permanente ed ha effetti perduranti nel tempo che si manifestano nell’esercizio dei diritti conseguenti; esso, come si è rilevato, può perdersi solo per rinuncia, così come anche nella legislazione previgente (art.8 n.2 L. 555 del 1912) [. . .] Perciò correttamente si afferma che lo stato di cittadino, effetto della condizione di figlio, come questa, costituisce una qualità essenziale della persona, con caratteri d’assolutezza, originarietà, indisponibilità ed imprescrittibilità, che lo rendono giustiziabile in ogni tempo e di regola non definibile come esaurito o chiuso, se non quando risulti denegato o riconosciuto da sentenza passata in giudicato”.
Pertanto, in forza della efficacia di tutte le pronunce appena ricordate, dalla data di entrata in vigore della nuova Costituzione, la titolarità della cittadinanza italiana deve ritenersi riconosciuta a (omissis) ed al di lei figlio, (omissis), per essere nati entrambi da madre cittadina italiana ante 1948. E così, dunque, di seguito anche a tutti i loro discendenti.
Si rileva, inoltre, che nessuna conseguenza può avere il fatto che i ricorrenti, per il riconoscimento della status de quo, abbiano adito direttamente l’autorità giudiziaria senza prima eventualmente formulare la relativa istanza per via amministrativa, stante l’assenza, ad oggi, di una legge che abbia recepito il dettato della sopra citata sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 4466 del 25/02/2009) e, pertanto, l’amministrazione non può ricevere domande di richiesta della cittadinanza italiana iure sanguinis presentate dai discendenti di donna (avente diritto alla cittadinanza italiana), sposata con cittadino straniero prima del 1948 e che abbia avuto figli prima di tale data, in ciò dovendosi conformare alle disposizioni contenute nella Circolare del Ministero dell’Interno K28.1 dell’8 aprile 1991, la quale afferma, rifacendosi al contenuto delle predette sentenze della Corte Costituzionale (n. 30 del 1983 e n. 87 del 1975), che “pure i discendenti di nostra emigrante sono da reputarsi cittadini italiani iure sanguinis in derivazione materna purché nati dopo il I° gennaio 1948, data di entrata in vigore della Costituzione repubblicana.”
In ogni caso, il procedimento volto al riconoscimento della cittadinanza italiana per via amministrativa non è previsto quale condizione di procedibilità del connesso procedimento giudiziale; pertanto, alcun effetto può derivare dalla sua mancata conclusione.
Ne consegue che la domanda deve essere accolta con riconoscimento in capo ai ricorrenti della cittadinanza italiana.
Le spese di lite vanno compensate, posto che la decisione discende dall’applicazione di principi di derivazione giurisprudenziale e che la parte convenuta non si è opposta all’accoglimento della domanda.
– ordina al Ministero dell’Interno e, per esso, all’ufficiale dello Stato civile competente, di procedere alle iscrizioni, trascrizioni e annotazioni di legge, nei registri dello stato civile, della cittadinanza delle persone indicate, provvedendo alle eventuali comunicazioni alle autorità consolari competenti;
– spese di lite compensate.
Si comunichi.
Caltanissetta, 5 gennaio 2024