All’udienza del 17.04.23 il Pubblico Ministero ha presentato dinanzi a questo Tribunale, per la convalida dell’arresto ed il contestuale giudizio direttissimo, (omissis), imputato dei reati trascritti in epigrafe: convalidato il provvedimento restrittivo con l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari presso l’abitazione di (omissis) in Frosinone, via (…), con divieto di comunicazione diretta o indiretta con qualsiasi mezzo con i genitori, il procedimento è stato differito a seguito di richiesta di termine a difesa all’udienza del 03.07.23. A tale udienza, preso atto della istanza della difesa di definire il procedimento con rito abbreviato condizionato alla produzione documentale dell’Ente A.N.C.D.A. con sede a Fiuggi ed all’esame dell’imputato, il processo è stato rinviato al 09.10.23, a cui è seguito altro rinvio, previa produzione documentale da parte della difesa, per consentire all’imputato di rilasciare spontanee dichiarazioni. All’udienza del 7.11.23 (omissis) e (omissis) hanno dichiarato di rimettere la querela nei confronti del figlio e l’imputato ha rilasciato dichiarazioni spontanee. Quindi il Tribunale, sentite le conclusioni delle parti e acquisito il fascicolo del PM, ha pronunciato la seguente sentenza mediante lettura del dispositivo.
Il presente procedimento è stato istruito sulla base degli atti di indagine, resi utilizzabili in forza della scelta del rito abbreviato. Da tali atti, ed in particolare dall’informativa e dal verbale di arresto del NOR – Sezione Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Frosinone, si evince oltre ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità di (omissis) per i reati a lui ascritti. Questi i fatti.
Nel pomeriggio del 15.04.2023 personale della Stazione dei C.C. di Frosinone interveniva presso l’abitazione di (omissis), su richiesta dei genitori, in tre diverse occasioni. Alle ore 14:25 interveniva una prima pattuglia che appurava una lesione al braccio sinistro in danno del padre (omissis) colpito dal figlio con una sedia, che aveva dato in escandescenza per il rifiuto della madre, (omissis), di dargli dei soldi per l’acquisto di sostanza stupefacente. Anche alla presenza della pattuglia il (omissis) inveiva con parole offensive nei confronti dei familiari, ed in particolare, nei confronti della madre frasi del tipo: “Sei una puttana, ti scopi tutti, io mi voglio licenziare dall’Asl perché non voglio stare sotto di te”.
Alle ore 15:50 una seconda pattuglia interveniva presso l’abitazione in via (…) per comportamenti molesti adottati dall’imputato che, cacciato di casa dai genitori, dopo aver rotto i tergicristalli della autovettura (…) del padre, continuava a suonare insistentemente il campanello per avere i vestiti che la madre provvedeva, per il tramite dei Carabinieri, a consegnarli. Alle ore 18:15 una ulteriore pattuglia dei Carabinieri veniva inviata sul posto dove l’imputato continuava ad avere atteggiamenti aggressivi e minacciosi nei confronti dei genitori, culminati con il lancio di un telecomando contro la madre alla presenza degli operanti, colpendola alla testa mentre continuava a gridarle che era “una puttana”. Gli operanti provvedevano, pertanto, a portare il (omissis) in caserma, il quale, dopo la notizia dell’arresto, ricominciava a dare in escandescenza, tentando di uscire dagli uffici e di divincolarsi da ben tre militari che cercavano di trattenerlo e di portarlo nella camera di sicurezza; minacciava di morte sia il padre che la madre per, poi, iniziare ad avere atteggiamenti aggressivi anche nei confronti degli operanti, proferendo, in particolare, frasi offensive e minacciose nei confronti del Brigadiere (omissis) e della di lui famiglia, come risulta dalla registrazione in atti (“sceriffo di merda pupazzo fai schifo tanto ce lo metto un cazzo in bocca a tua figlia, stai zitto non finisce qui”). L’imputato continuava in questo atteggiamento aggressivo e minaccioso nonostante fosse stato messo in contatto, come richiesto, con il proprio difensore di fiducia.
(omissis) ha riferito che il 15.04.23 mentre si trovava in casa con il marito e i due figli, (omissis) e (omissis), riceveva un messaggio da quest’ultimo in cui chiedeva 30 Euro. La (omissis) ha spiegato che si tratta di una modalità consueta con cui il figlio le chiede soldi che utilizza per acquistare droga, per evitare che il padre lo sappia. Il figlio, chiuso in camera, insisteva nella sua richiesta nonostante gli avesse detto che non aveva soldi e dalla stanza sentiva colpire con forza degli oggetti. Quindi interveniva il marito dicendo a (omissis) di smetterla e questi iniziava a bestemmiare, ripetendo più volte che voleva i soldi.
Il marito perdeva la pazienza e prendeva gli occhiali da sole del figlio sul tavolo del salone e li buttava via attraverso la finestra. L’imputato reagiva violentemente: prendeva una sedia che alzava verso il padre, colpendolo al braccio sinistro, all’altezza del gomito, provocandogli una piccola lesione con fuoriuscita di sangue. Quindi il marito chiamava il 112 denunciando l’accaduto, mentre il figlio incolpava la madre dell’accaduto per non avergli dato i soldi.
Intervenivano quindi i carabinieri e i sanitari del 118 che prestavano le cure mediche a (omissis) che rifiutava di essere accompagnato al Pronto Soccorso. La (omissis) ha riferito che, dopo che gli operanti si erano allontanati, il marito diceva al figlio di andare via di casa. L’imputato a quel punto usciva di casa, iniziando poco dopo a suonare insistentemente il campanello. Sul posto interveniva quindi un’altra pattuglia dei Carabinieri ai quali l’imputato diceva che voleva i suoi vestiti per poter andare via di casa, cosa che otteneva. La (omissis) ha dichiarato che, dopo che i carabinieri erano andati via, il figlio iniziava a chiamarla insistentemente nonostante lei non rispondesse. Attraverso la finestra la (omissis) vedeva che il figlio, prima di allontanarsi, si avvicinava all’auto del padre, alla quale spezzava i tergi cristallo. Dopo circa 15 minuti l’imputato tornava a casa iniziando a suonare interrottamente il campanello del citofono senza che nessuno in casa rispondesse. Iniziava quindi a gridare pretendendo la televisione che si trovava nella sua camera da letto. Contattavano quindi nuovamente il 112 e una pattuglia dei carabinieri arrivava dopo circa una decina di minuti. Con l’ausilio dei carabinieri, la (omissis) consegnava al figlio la televisione che poggiava all’esterno della porta d’ingresso di casa. Alla richiesta del figlio di avere anche il telecomando provvedeva a consegnarlo direttamente a lui. L’imputato però iniziava ad insultarla, lamentando che il telecomando era rotto, e le lanciava con forza contro il telecomando, colpendola alla testa. A tale aggressione intervenivano i Carabinieri per evitare che l’imputato potesse continuare ad aggredire la madre. La denunciante richiedeva quindi l’allontanamento del figlio dall’abitazione “perché temo sia sulla mia incolumità personale che su quella di mio marito poichè, ogni giorno, mio figlio (omissis), mi chiede soldi per acquistare la droga e quando io non sono in grado di assecondare queste continue richieste di denaro, (omissis) inizia ad insultarmi, ad alzare la voce, a colpire violentemente gli oggetti ed i mobili di casa, sino a quando non assecondo, per paura, la richiesta di denaro”. La (omissis) ha precisato che in passato lei e il marito avevano già denunciato i comportamenti violenti ed aggressivi del figlio sempre finalizzati ad avere denaro per acquistare droga e che numerosi erano stati gli interventi delle forze di polizia. Esplicitava infine la preoccupazione per la propria incolumità, per il fatto che il figlio l’avesse minacciata anche dinanzi ai carabinieri.
L’odierno imputato, in sede di convalida dell’arresto, ha dichiarato di aver avuto una discussione in famiglia per il rinvenimento di una vecchia lettera di dimissioni dal lavoro a cui i genitori si opponevano ed ha sostanzialmente negato ogni addebito, ammettendo di aver soltanto alzato la voce e detto parolacce. Lo stesso ha, altresì, negato di essere attualmente assuntore di cocaina, riferendo di avere solo problemi legati al suo stato di ex tossicodipendente. All’udienza del 07.11.2023, nel corso delle dichiarazioni spontanee, l’imputato ha dichiarato che aveva solo chiesto i soldi che gli spettavano per la vendita della sua autovettura e che nel corso del processo aveva fatto un percorso terapeutico che gli era giovato, tanto che continuava a frequentare due volte a settimana un centro di recupero. Ha negato ogni addebito riferendo di non aver adottato alcuna condotta minacciosa o violenta nei confronti dei carabinieri.
Ciò detto, dagli atti contenuti nel fascicolo del P.M. si evince senza ombra di dubbio la responsabilità penale di (omissis) per i reati a lui ascritti.
Rispetto alla denuncia resa da (omissis), appare brevemente opportuno richiamare, sul piano generale, l’orientamento consolidato secondo cui affinchè la testimonianza della persona offesa possa essere legittimamente utilizzata come fonte ricostruttiva del fatto per il quale si procede, essa non necessiti di per sé di altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità (cfr. Cass. SS.UU. 19.7.2012 n. 41461), ma anzi, al pari di qualsiasi altra testimonianza, sia sorretta da una presunzione di veridicità, secondo la quale il giudice, pur essendo tenuto a valutarne criticamente il contenuto, verificandone l’attendibilità, non può assumere come base del proprio convincimento l’ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso, salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere, in assenza dei quali egli deve presumere che il dichiarante, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza.
In ogni caso, le dichiarazioni della persona offesa, anche se costituita parte civile, possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica – corredata da idonea motivazione – della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve essere, in tal caso, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, sotto entrambi i profili, soggettivo ed oggettivo (cfr. Cass. 8.7.2014 n. 1666, Cass. 24.9.2015 n. 43278), sia pur ciò non legittimando un aprioristico giudizio di inaffidabilità della testimonianza stessa (espressamente vietato come regola di giudizio), che non consente di fatto di collocarla sullo stesso piano delle dichiarazioni provenienti dai soggetti indicati dall’art. 192 commi 3 e 4 c.p.p., con violazione del canone di giudizio imposto dall’art. 192 comma 1 c.p.p.
Rimane imprescindibile una attenta e dettagliata verifica dell’intrinseca credibilità delle dichiarazioni della p.o., che verta sull’analisi del resoconto ricostruttivo valutato nel suo complesso, non rivestendo rilievo eventuali lacune o contraddizioni riguardanti aspetti secondari del fatto o che, pur attenendo ad elementi rilevanti, possono trovare superamento in ulteriori dati indicati dal dichiarante od acquisiti agli atti; altrimenti detto, solamente contraddizioni rilevanti ed apprezzabili sono in grado di inficiare la credibilità del teste-persona offesa.
Nel caso di specie, le dichiarazioni rese dalla madre dell’imputato appaiono precise, prive di contraddizioni o carenze e della volontà di aggravare la situazione del figlio. Al contrario la (omissis) e il marito, come già avvenuto in passato in altro processo per analogo reato, hanno espresso la volontà di rimettere la querela nei confronti del figlio, comparendo personalmente all’udienza del 7.11.2023.
Le dichiarazioni rese dalla persona offesa hanno trovato poi puntuale riscontro nella documentazione prodotta, ed in particolare dalle fotografie della autovettura danneggiata e delle lesioni riportate dal marito a seguito della aggressione subita, nonché dalle annotazioni di servizio degli operanti intervenuti ben tre volte.
Ciò posto, le dichiarazioni della persona offesa, così come riscontrate dalla documentazione in atti e dalle relazioni di servizio degli operanti, inducono a ritenere ampiamente dimostrato il compimento di condotte vessatorie e maltrattanti da parte di (omissis) nei confronti dei genitori, tali da rendere insostenibile la convivenza familiare.
Com’è noto, il reato di maltrattamenti in famiglia integra una ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica) ovvero non perseguibili (ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), ma acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo; esso si perfeziona allorché si realizza un minimo di tali condotte (delittuose o meno) collegate da un nesso di abitualità (v. Cass. sez. VI sentenza n. 4636 del 27.04.1995). Per la configurabilità del reato non è poi richiesta una totale soggezione della vittima all’autore del reato, in quanto la norma, nel reprimere l’abituale attentato alla dignità e al decoro della persona, tutela la normale tollerabilità della convivenza e per la sussistenza dell’elemento soggettivo non si richiede una intenzione di sottoporre il familiare in modo continuo ed abituale ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell’agente di persistere in una attività vessatoria e prevaricatoria, già posta in essere altre volte, la quale rilevi, attraverso l’accettazione dei singoli episodi, una inclinazione della volontà a maltrattare una o più persone conviventi (v. Cass. sez. VI, sentenza n. 4015 del 17 aprile 1996; sez. VI sentenza n. 6319 del 30 maggio 1994).
Ciò detto, non possono nutrirsi dubbi sulla reiterata commissione da parte dell’imputato di atti vessatori, offensivi, aggressivi, violenti e minacciosi ai danni dei genitori, costretti a richiedere l’intervento delle forze di polizia per cercare di arginare l’aggressività del figlio, nonostante fosse stato obbligato ad allontanarsi della abitazione. E’ emerso infatti che la (omissis), per evitare che la situazione degenerasse ulteriormente, era solita assecondare le continue richieste di denaro da parte del figlio per acquistare sostanza stupefacente.
Il reato risulta perpetrato attraverso reiterate condotte offensive, aggressive e minacciose, attuate in rapida sequenza temporale ed interrotte solo grazie all’allontanamento forzato dell’imputato da parte degli operanti, descritte dalla persona offesa e percepite direttamente anche dagli operanti intervenuti, che evidenziano la chiara intenzione dell’imputato di sottoporre i genitori a sofferenze fisiche e morali. L’imputato, anche una volta in caserma, ha continuato a minacciare di morte la madre e il padre e ad inveire contro di loro.
Le condotte vessatorie di (omissis), incapace di controllarsi anche in presenza degli operanti, si sono ripetute in rapida sequenza temporale, in tre distinti momenti, e sono state da ultimo interrotte solo quando l’imputato è stato portato in caserma, nonostante, come detto, anche in quel momento abbia continuato a minacciare di morte i genitori. La ripetizione di distinte condotte vessatorie, seppure in un limitato contesto temporale, appare sufficiente ad integrare il reato di cui all’art. 572 c.p.
Peraltro la denunciante ha affermato che le richieste di denaro del figlio sono continue e che si vede costretta ad assecondarle per paura delle reazioni dello stesso. Già in passato sia la (omissis) che il marito hanno denunciato il figlio per condotte maltrattanti e si sono visti costretti a richiedere l’intervento delle forze di polizia. In siffatto contesto la reazione esasperata del padre dell’imputato che ha gettato i suoi occhiali fuori dalla finestra non incide sulla sussistenza del reato, in quanto, come visto dalla richiamata giurisprudenza, lo stesso non è escluso da eventuali reazioni, in questo caso peraltro del tutto isolata, della vittima.
Appare inoltre integrata la contestata aggravante dei futili motivi in quanto la condotta criminosa del Br. è stata determinata dal rifiuto della madre di consegnargli la somma di Euro 30,00. Peraltro anche la motivazione della lite addotta dall’imputato individuata nell’opposizione dei genitori ad un suo licenziamento, non giustifica in alcun modo il comportamento adottato, apparendo palesemente sproporzionato.
Secondo infatti il condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, la circostanza aggravante dei futili motivi sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante l’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento (v. Cass. sez. 5 sentenza n. 25940 del 11.09.2020). Parimenti integrato il reato di cui all’art. 337 c.p.
L’odierno imputato infatti, nel momento in cui è stato reso edotto dell’arresto per il reato di maltrattamenti, ha tentato dapprima di allontanarsi dalla caserma, tanto che i militari sono dovuti intervenire e condurlo con la forza verso la camera di sicurezza, e poi ha cominciato a tenere comportamenti aggressivi nei confronti dei carabinieri, offendendoli e minacciando in particolare il brig. (omissis) e la sua famiglia.
Possono essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche all’imputato in considerazione della delicata situazione personale del (omissis), dipendente da sostanze stupefacenti, del percorso terapeutico per la riabilitazione dalla tossicodipendenza di tre mesi seguito presso la struttura residenziale (…) e della volontà manifestata dai genitori di rimettere la querela, evidentemente indicativa di un miglioramento della situazione familiare (v. documentazione prodotta dalla difesa all’udienza del 9.10.2023).
Quanto al trattamento sanzionatorio, visti i criteri di cui all’art. 133 c.p., riconosciute all’imputato le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza con la contestata aggravante anche al fine di calmierare la pena al caso concreto tenuto conto che le condotte sono state poste in essere in un lasso temporale circoscritto, applicata la continuazione in quanto i reati appaiono frutto di un medesimo disegno criminoso, più grave il reato di cui all’art. 572 c.p., stimasi equa la pena finale di anni 1 e mesi 8 di reclusione, così determinata: pena base anni due e mesi tre di reclusione, previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto alla contestata aggravante, aumentata di mesi tre di reclusione per il reato di cui al capo 2 dell’imputazione, ridotta di un terzo per la scelta del rito.
Segue di diritto la condanna del (omissis) al pagamento delle spese processuali.
Non sussistono i presupposti di legge per la concessione del beneficio della sospensione alla luce delle pendenze del Br. che denotano una non trascurabile capacità a delinquere che non permettono di formulare una prognosi comportamentale positiva in ordine all’astensione in futuro dalla commissione di ulteriori illeciti e dell’assenza di qualsivoglia rivisitazione critica dei propri comportamenti.
Si dà atto che, a seguito della lettura del dispositivo, questo giudice non ha dato avviso alle parti ai sensi dell’art. 545 bis c.p.p. in quanto l’imputato non era presente e il difensore non era munito di procura speciale.
Visti gli artt. 442, 533 e 535 c.p.p.,dichiara (omissis) responsabile dei reati a lui ascritti e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto alla contestata aggravante e ritenuta la continuazione, applicata la diminuente di rito, lo condanna alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Frosinone il 7 novembre 2023.
Depositata in Cancelleria il 13 novembre 2023.
