Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. La società semplice Azienda (omissis) di (omissis) e (omissis) convenne in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Agenzia del Demanio, (omissis) e (omissis) e (omissis), perché, previo esperimento di c.t.u., fosse accertato il diritto di proprietà in capo all’esponente del (…), nella parte in cui attraversava il fondo dell’attrice, nonché il confine con il terreno di proprietà di (omissis), (omissis) e (omissis).
Soggiunse l’attrice che nel 2006 aveva convenuto in giudizio (omissis), del quale aveva chiesto la condanna al ripristino del canale irriguo denominato (…), “tombinato” dal convenuto, che in tal modo aveva impedito all’attrice il prelievo di acqua. L’adito Tribunale, con la sentenza n. 268/2013, divenuta definitiva, aveva accolto la domanda, affermando la natura privata del (…), di proprietà dell’attrice e condannato il convenuto al ripristino. Inoltre, il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, adito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel contraddittorio con l’esponente, con la sentenza n. 516 del 26/2/2020, aveva distinto “fra la proprietà delle acque, definendole pubbliche, ancorché correnti in acquedotto privato, e la proprietà del sedime dello stesso acquedotto, dichiarando che l’accertamento della natura pubblica dell’acqua non equivaleva a riconoscere anche la demanialità del sedime su cui scorreva, ma non riportava tale pronuncia nella parte dispositiva del provvedimento”.
Precisò inoltre che il (…) aveva perso la natura demaniale in quanto da decenni era privo di acqua e, di conseguenza, il relativo sedime di proprietà dell’attrice.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio chiesero, in via di preliminarietà, dichiararsi l’inammissibilità della domanda per l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza n. 516/2020 del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, la quale aveva accertato che nella vena fluviale scorreva ancora acqua pubblica e, pertanto, il canale aveva natura demaniale.
In subordine chiesero affermarsi “la carenza di giurisdizione” (rectius: L’incompetenza) del Tribunale ordinario in favore di quello specializzato.
(omissis) sostenne la natura pubblica del canale, evocando, oltre alla già citata sentenza n. 516/2020, la sentenza n. 73/2023 del Tribunale di Piacenza resa in sede di opposizione all’esecuzione. A conforto di ci ciò evidenziò che il canale era iscritto in catasto nella parte speciale “acque esenti di estimo” ed era ricompreso nell’elenco dei canali del “Piano Classifica del Consorzio di Bonifica” approvato nel 2016 dalla Regione Emilia-Romagna.
(omissis) chiese dichiararsi la competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche.
(omissis), anche quale coerede di (omissis), chiese integrarsi il contraddittorio nei confronti di (omissis), anche quest’ultima coerede di (omissis).
Nel merito anche costei affermò la natura pubblica del corso d’acqua, la quale continuava a svolgere funzione irrigua.
2. Il Tribunale dichiarò il proprio difetto di competenza in favore del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche.
3. L’azienda Agricola (omissis) propone ricorso per regolamento necessario di competenza.
4. Dopo l’esposizione del fatto, da pag. 7 fino al primo capoverso di pag. 9 del ricorso, vengono riportate le conclusioni dell’esponente formulate davanti al Tribunale.
Di poi si richiama il contenuto della sentenza n. 268/2013, che, a dire della ricorrente, avrebbe affermato la natura di demanio accidentale del canale.
Ulteriormente viene precisato che il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, “in relazione alla domanda dei Ricorrenti che avevano chiesto dichiararsi la natura pubblica e demaniale del (omissis) e non, se poteva qualificarsi di demanio accidentale 0 eventuale, rilevava che dovendosi pronunciare sulla sola domanda che invocava la declaratoria della natura demaniale del rivo, rendeva ogni ultra indagine ultronea perché estranea all’oggetto del processo e si limitava a pronunciarsi sulla domanda della parte ricorrente, che accoglieva”, la quale, sempre secondo la ricorrente, non aveva chiesto accertarsi “il genere di demanialità del rivo né chi avesse la titolarità dell’alveo”. Poiché il canale era stato in un tempo assai risalente scavato per libera iniziativa di proprietari terrieri, al fine di “ricavare un acquedotto che portasse l’acqua ai loro terreni”, era da presumere “più probabile che non” “l’assenza di acque provenienti dal Trebbia”.
Il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, si precisa ancora, aveva affermato che il Tribunale ordinaria ben avrebbe potuto, “incidenter tantum”, pronunciarsi sulla demanialità.
Infine, l’accertamento dei confini e l’apposizione di termini con 1 fondi confinanti, era pienamente ammissibile.
5. Il ricorso, che si pone al limite della scrutinabilità a cagione della sua esposizione scarsamente aderente al modello processuale evocato, è privo di fondamento.
Il Tribunale correttamente perimetra l’oggetto della causa, in concreto, “sulla scorta del petitum sostanziale – che riguarda il preteso riconoscimento, in capo all’Azienda Agricola (omissis), della proprietà del tratto del (omissis) che attraversa il podere della stessa, stante la perdita della sua natura di bene demaniale in quanto oramai da decenni privo dia acque pubbliche, e sulla definizione del confine tra la proprietà della società ricorrente e quella adiacente dei convenuti eredi di (omissis) e (omissis)”.
L’accertamento di un tale “petitum”, conclude il Tribunale, “incide sul regime delle acque pubbliche, con la conseguenza che la competenza appartiene al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche”. Giudice, quest’ultimo, al quale si appartiene qualsiasi accertamento volto a verificare la “perdita del carattere di demaniale del (omissis), (che) coinvolgendo la tutela di interessi pubblici (omissis) non può ritenersi di competenza del Tribunale Ordinario, bensì del giudice specializzato in materia”.
La decisione è conforme ai principi di diritto più volte enunciati in materia da questa Corte.
Si è, infatti, chiarito che, ai fini del riparto di competenza fra giudice ordinario e Tribunale regionale delle acque pubbliche, in caso di contestazioni che attengono ai limiti dell’alveo e/o alle sponde di corsi d’acqua pubblici, il criterio di discrimine sta nella necessità, o meno, di indagini tecniche per stabilire se l’area di terreno della cui natura pubblica si discute rientri nel demanio idrico fluviale o lacuale, in quanto solo ove non sia necessaria una siffatta indagine sussiste la competenza del giudice ordinario senza che rilevi che la questione abbia carattere pregiudiziale, o meramente incidentale, o sia stata proposta in via di eccezione, in quanto solo ove non sia necessaria una siffatta indagine sussiste la competenza del giudice ordinario (nella specie relativa ad un giudizio di usucapione avente ad oggetto un terreno coincidente con l’alveo di un torrente e con le relative aree spondali, la S.C. ha respinto il ricorso per essere competente il Tribunale regionale delle acque pubbliche in considerazione della necessità di un’indagine tecnica volta a stabilire se l’area rientrasse ancora nel demanio idrico ovvero avesse perso tale qualità per effetto del ritiro delle acque del predetto torrente o di una sdemanializzazione tacita) – Sez. 2, n. 21495, 31/07/2024, Rv. 671986; conf. Cass. n. 9279/2017, 16807/2014, 1916/2011, 18333/20061, 291/1996, 9376/1994).
In disparte merita osservare che l’incidenza di un eventuale giudicato, la cui esistenza e contenuto non è in questa sede neppure formalmente allegato, non può che essere apprezzata dal giudice competente.
Né la ricorrente ha ragione di dolersi della mancata statuizione sulla dedotta mancanza d’integro contraddittorio. L’incompetenza del giudice, per vero, attiene qui a profilo del tutto distinto ed estraneo all’eccepita necessità d’integrare il contraddittorio nei confronti di altri proprietari, al fine di un compiuto regolamento dei confini. Pronuncia, questa, che riguardando la spartizione del letto del canale, che si assume aver perduto la qualità di “res” demaniale, deve, per ovvia ragione di priorità logico-giuridica, essere preceduta dall’accertamento dell’appartenenza o meno di questo al demanio idrico.
Rigettato, pertanto, il ricorso e dichiarata la competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e dichiara la competenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche, davanti al quale dispone riassumersi la causa nel termine di legge; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese anticipate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 6 marzo 2025.
Depositata in Cancelleria il 30 giugno 2025.
