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Cassazione penale sez. I, 07/03/2014, n. 11135

Massima

Il Tribunale di Sorveglianza non può negare misure alternative alla detenzione basandosi su precedenti penali risalenti nel tempo e sulla gravità del reato, senza una valutazione completa e attuale della pericolosità sociale che consideri il lungo lasso di tempo trascorso, l’esiguità della pena inflitta e l’assenza di condotte antisociali successive al fatto. La motivazione del diniego deve essere esaustiva e coerente con tutti gli elementi del caso, inclusi quelli favorevoli al condannato.

Supporto alla lettura

PENE SOSTITUTIVE

Le pene sostitutive, introdotte dalla riforma Cartabia con l’art. 20 bis c.p., demandando la disciplina alla legge speciale, e precisamente al nuovo Capo III della L. 689/1981, sono un insieme di sanzioni alternative alla reclusione che permettono di sostituire la pena detentiva in alcuni casi.

Queste pene prevedono:

 la semilibertà (in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a 4 anni): il condannato può uscire di casa per svolgere attività lavorative, scolastiche, familiari o di pubblica utilità, con specifiche limitazioni;

 la detenzione domiciliare (in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a 4 anni): il condannato deve rimanere in casa, con alcune eccezioni per attività specifiche;

 il lavoro di pubblica utilità (in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a 3 anni): il condannato svolge un lavoro non retribuito per enti pubblici o associazioni di volontariato;

 la pena pecuniaria (in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a 1 anno): il condannato è obbligato a pagare una somma di denaro al fisco

L’applicabilità delle pene sostitutive è valutata dal giudice in base alle circostanze del reato, alla personalità del condannato e alla necessità di garantire l’effettività della pena. Il condannato deve dimostrare di essere una persona meritevole e di voler seguire il percorso rieducativo.

Le pene sostitutive possono essere applicate anche nei procedimenti pendenti, a condizione che sia stata fatta richiesta da parte dell’imputato. 

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza resa in data 22 maggio 2013 il tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava le istanze di affidamento in prova al servizio sociale e di detenzione domiciliare proposte da (omissis).

Costui risulta condannato alla pena di mesi uno e giorni venti di reclusione per lesioni e violazione della legge sulla disciplina delle armi.

In motivazione si ritiene che l’esistenza di due precedenti risalenti al 1993 (oltraggio) e al 1995 (lesione e danneggiamento) unitamente alla considerazione delle modalità del fatto giudicato (avvenuto nel mese di giugno del 2009 e consistito in una aggressione portata ad un operaio intento a sistemare il manto stradale, con uso di un coltello) non consentono di formulare prognosi favorevole in punto di pericolosità sociale del condannato, mancando anche concreti segni di resipiscenza.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del difensore – (omissis), deducendo erronea applicazione della normativa di riferimento e vizio di motivazione.

Il ricorrente osserva che nella valutazione in tema di pericolosità il Tribunale ha ritenuto di valorizzare due precedenti penali per fatti commessi ben 14 anni prima del fatto in espiazione. Inoltre nella valutazione non si è tenuto conto della modesta entità della pena inflitta per il fatto avvenuto nell’anno 2009, dovuta anche all’intervenuto risarcimento del danno e dell’assenza di carichi pendenti. Da ciò la violazione del principio di completezza e congruità della motivazione assunta in rapporto ai parametri normativi applicabili al caso di specie.

3. Il ricorso è fondato e va accolto, per le ragioni che seguono.

La motivazione emessa non risponde al principio di necessaria completezza circa la verifica dei dati istruttori disponibili e non esplica in modo adeguato le ragioni del diniego.

Vero è che l’affidamento in prova al servizio sociale, così come la detenzione domiciliare, implicano la formulazione di una prognosi positiva in tema di prevenzione dal pericolo di commissione di ulteriori reati e di esito positivo del percorso di risocializzazione.

Tuttavia nel formulare tale giudizio prognostico il Tribunale di Sorveglianza ha l’obbligo di indicare in modo analitico e coerente i dati indicativi della pericolosità, senza trascurare – pena la violazione del dovere di completezza motivazionale (su cui, in termini generali, Sez. 4, n. 14732 del 1.3.2011, Molinario, rv 250133 nonchè Sez. 1, n. 25117 del 14.7.2006, Stojanovic, rv 234167) eventuali elementi conoscitivi favorevoli all’istante. Va inoltre considerato che l’esistenza di una specifica manifestazione di condotta antisociale è ovviamente presupposta in virtù della intervenuta condanna e il livello di pericolosità va sempre valutato in concreto, tenendo conto del fatto che l’istituto dell’affidamento in prova mira, anche attraverso le prescrizioni di cui al comma 5 dell’art. 47 Ord.pen. a favorire il recupero de. condannato. Non può pertanto affermarsi che dette prescrizioni siano inidonee – in ipotesi – a raggiungere l’effetto (in presenza delle ulteriori condizioni di accesso) senza compiere una verifica approfondita ed esaustiva dei pretesi indicatori di permanente antisocialità (in tal senso Sez. 1 27.10.1994, ric. Bonicoli, nonchè di recente, Sez. 1 n. 31809 del 9.7.2009 ove si è precisato che la gravità del reato commesso non è di per sè sola ostativa alla concessione del beneficio). Nel caso in esame, dunque, non appare adeguatamente valutato:

a) il decorso del tempo, pari a circa 14 anni, tra le pregresse manifestazioni di pericolosità (di cui non viene esplicata la obiettiva valenza) e l’episodio verificatosi nel (omissis). Trattasi di un dato che non appare – di certo – neutro in quanto depone, tendenzialmente, per la occasionalità delle violazioni;

b) l’esito del giudizio relativo all’episodio delittuoso del (omissis) con quantificazione della pena (mesi uno e giorni venti di reclusione) in termini tali da far dedurre ragionevolmente una modesta lesività della condotta;

c) la condotta susseguente al reato, che non vede l’emersione di elementi di segno contrario alla episodicità del comportamento.

Ne deriva l’accoglimento del ricorso, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2014.

Allegati

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